Lo Spaventapasseri resuscitato

Il guardiano del grano – di Carmela De Pilla

Foto di Vien Hoang da Pixabay

Era tutto pronto per la giornata del martedì grasso, già una settimana prima Piero aveva preso dalla cantina lo spaventapasseri, imbronciato per essere stato buttato  in mezzo a mille cianfrusaglie, per lungo tempo dimenticato da tutti.

Era da ringiovanire un po’ così si mise in un angolo del porticato e incominciò il trattamento, prima di tutto lo imbottì di paglia fresca poi gli abbottonò la camicia a quadri gialli e rossi e gli tirò su i pantaloni stretti in vita da una corda, due grandi tappi di sughero dipinti di rosso li mise al posto degli occhi e la bocca ricavata dalla buccia di una zucca la cucì sul viso con il fil di ferro.

Un vecchio cappello di panno verde e un fucile di legno a tracolla completavano l’ opera, si allontanò per osservarlo meglio e soddisfatto  disse a suo nipote Tommaso   – Con quegli occhi di brace e il fucile farà buona guardia al grano, quest’anno tra merli, passeri, gazzelle e cinghiali non ci si salva, sono sicuro che farà il suo dovere!!!

Dovevano preparare ancora i lunghi pennacchi per la “Carbonchiata” e Tommaso che non perdeva di vista nonno Piero lo guardava incuriosito e incantato e si dette un gran da fare, dovevano essere almeno una decina così presero dieci lunghi pali, fecero delle fascine di paglia e rami e li legarono all’estremità, dovevano essere folti perché il fuoco durasse a lungo.

Nella fattoria c’era un gran fermento per il grande evento, Piero portò lo spaventapasseri in mezzo al campo di grano già abbastanza alto e lussureggiante e lo piantò ben saldo, doveva resistere alle piogge primaverili e al vento mentre le donne preparavano al canto del camino gli spiedini per l’arrosto della sera.

Per lo spaventapasseri che tutti chiamavano Grassone era una giornata memorabile quella, finalmente era ritornato in vita, aveva ritrovato se stesso e con il petto in fuori e il suo smisurato pancione si dava grandi arie di “Guardiano del grano”

Ecco giunto il grande momento,  verso l’imbrunire tutti, donne, uomini, ragazzi e bambini si ritrovarono nel campo, erano tanti, almeno una ventina, i ragazzi facevano a gara per portare i lunghi pennacchi, se ne vantavano, voleva dire che stavano diventando grandi mentre gli uomini accendevano le ciocche di paglia.

Come per incanto il cielo s’illuminò, lingue di fuoco danzavano nell’aria tra nuvole di fumo e intorno si spandeva un’atmosfera di mistero e di allegria, tutti applaudivano e all’unisono incominciarono a cantare a squarciagola

“ Carbonchio, carbonchio il grano lascia stare  in quest’ultima sera di carnevale….”

Era importante per loro ripetere tutti gli anni questo rito che si tramandava dalla notte dei tempi, il fuoco, amico da sempre, li rassicurava e li aiutava a sperare che il grano non venisse attaccato dal carbonchio, malattia letale che distruggeva intere coltivazioni e vanificava il duro lavoro di un anno.

Camminavano in fila indiana lungo tutto il perimetro del campo urlando e cantando, c’era anche chi accompagnava con la fisarmonica e fra loro si creava un desiderio di pace e fraternità che li univa ancora di più.

Quando le fiaccole stavano per esaurirsi gli uomini con lunghi coltelli staccavano con un colpo secco i pennacchi dal palo e li lanciavano più in alto che potevano, dieci palle di fuoco si scagliarono nel buio ritornando a terra ormai esauste.

Ci fu un attimo di silenzio interrotto dalla voce di Tommaso che urlò “Grassone, ora tocca a te, sei tu il guardiano del grano! “

Grassone se ne stava lì, aveva seguito con passione la lunga sfilata e aveva sentito la voce del bambino, si riempì di orgoglio per essere utile a quella piccola comunità, era felice della vita ritrovata e gli piaceva credere che quella festa fosse dedicata anche alla sua rinascita.

Il coraggio dell’acquarello

SMERALDINA – di Tina Conti

Ringraziamo Tina per questa pagina che ci permette di incontrare Pedro Cano

“A SMERALDINA, CITTA’ ACQUATICA, UN RETICOLO DI CANALI E UN RETICOLO DI STRADE SI SOVRAPPONGONO E S’INTERSECANO. PER ANDARE  DA UN POSTO ALL’ALTRO HAI SEMPRE LA SCELTA  TRA IL PERCORSO TERRESTRE E QUELLO IN BARCA..E POICHÉ  LA LINEA  PIU BREVE  TRA DUE PUNTI A SMERALDINA NON E’ UNA RETTA  MA UNO ZIG ZAG CHE SI RAMIFICA IN TORTUOSE  VARIANTI,LE VIE CHE S’APRONO A OGNI PASSANTE NON SONO SOLTANTO DUE  MA MOLTE, E ANCORA AUMENTANO PER CHI ALTERNA TRAGHETTI IN BARCA E TRASBORDI ALL’ASCIUTTO.”

foto di Tina Conti

Pedro Cano  a Roma esponeva una serie dei suoi magici acquarelli.

Grandi formati, colori caldi e freddi ,trasparenze, contrasti, immagini da indovinare e altre svelate.

Era il 1984, Italo Calvino si presentò all’esposizione attratto da un’opera raffigurata nel volantino con immagini di ortaggi.

Arrivo’ prima che iniziassero a presentarsi i visitatori, accompagnato da una signora con gli occhi color del mare Chichita,la moglie. Pedro, emozionato e affascinato non trovava parole per dialogare.

Le trovarono Calvino e sua moglie che in spagnolo e italiano con “un’intrigante cadenza argentina” lasciarono un ricordo indelebile  nel pittore.

Chichita rincontrò Pedro  nell’89, il marito era morto, ma aveva completato “Le città invisibili “e dono’ una copia della prima edizione suggerendo di provare a  trarre ispirazione leggendo le parole del testo.

Il libro accompagno’ Pedro per molti anni, le parole lo affascinavano ma faticava a trasferire in immagini quelle suggestioni.

Racconta  di aver visitato ISIDORA; DIOMIRA; DOROTEA; “percorrere questi luoghi attraverso lo scritto  di Calvino e dar loro colore e forma è stato una delle più intense avventure  della mia vita”

Stregata dalla pittura di Cano lo sono stata anche io, prima visitando in una galleria fiorentina  le sue opere, poi, nel 2005, viaggiando nel  mondo fantastico descritto da Calvino e illustrato da Pedro nella nostra bella città. A palazzo Vecchio.

“Non c’è luogo più pertinente di Firenze per esporre i fogli dove Pedro Cano ha 

illustrato le  le CITTA INVISIBILI di Italo Calvino..Perché Firenze avrebbe potuto essere una  di quelle.” Così Antonio Natali presenta il lavoro del pittore.

Visitata la mostra, incantata e emozionata, stupita per quella tecnica  calda, trasparente, sognata, ho chiesto a questo giovane , bello, cordiale e sorridente uomo una dedica sul catalogo, la conservo con affetto e stima, cercando di carpire qualche segreto da queste forme così intriganti e fantastiche.

Due uomini fantastici, che insieme ci fanno sognare. Grazie PEDRO grazie ITALO.

Lo Spaventatasti

LO SPAVENTATASTI di Simone Bellini

Foto di b1-foto da Pixabay

Un Bar. Un bar di periferia. Un bar come tanti, un po’ trasandato, in una stradina anonima, quattro tavoli per accogliere i soliti quattro amici o poco più, un mazzo di carte, i soliti argomenti, le solite ordinazioni, nuvolette di fumo degli accaniti giocatori (in barba alle disposizioni ), un arredamento minimo, senza mai un cambiamento. Da quando Armando aveva comprato il locale, tutto era rimasto come lo aveva lasciato il vecchio proprietario, compreso quel pianoforte verticale che nessuno aveva mai sentito suonare.

Le giornate passavano tutte uguali, fra le solite battute sarcastiche degli amici, che comunque gli garantivano un incasso minimo per portare avanti la sua attività.

– Ehi Armando, da quando hai assunto uno spaventapasseri per il bar ! –

Davanti al grande vetro si era fermato un tizio secco allampanato, alto almeno un metro e novanta, con un volto scavato dalla fame ( si direbbe). Un cappellaccio di paglia dal quale spuntavano ciuffi di capelli di un biondo ormai antico. Indossava un trench avana che aveva conosciuto tempi migliori, sopra dei pantaloni di tela marrone che largheggiavano su quelle gambe ossute ed una camicia a quadri. Uno spaventapasseri in carne e ossa ! Era lì fermo da quasi dieci minuti con lo sguardo fisso all’interno del Bar.

– Senti amico – disse Armando uscendo – o entri o te ne vai, mi stai allontanando la clientela con il tuo aspetto trasandato. –

Traballò un po’ , poi entrò puntando deciso verso il pianoforte. Si soffermò sfiorando la polvere che vi si era depositata con un gesto di rispetto, quasi mistico, poi alzò il coperchio della tastiera lentamente con un’emozione che gli riempiva gli occhi.

– Ehi sai suonare ?-

Non rispose,  preso com’era ad osservare quel reperto musicale, mentre le sue dita simulavano una melodia sfiorando i tasti. Ne toccò qualcuno, forse per capire se l’ accordatura aveva retto al tempo, ne uscirono delle note scollegate e stonate.

Armando e i suoi amici si scambiarono sguardi di scherno.

– Ora il nostro amico Spaventatasti ci delizierà  con Mozart, Beethoven e quant’altro di meglio ! – disse facendo scoppiare una risata generale.

Non riuscì a finire la frase che, dopo averle scrocchiate, le sue mani si avventarono sulla tastiera dando vita ad un turbinio di note, di emozioni, alimentate da un virtuosismo magico. Tutti restarono a bocca aperta e occhi spalancati, increduli di ciò che stavano ascoltando.

Era un fiume di note in piena che inondava tutti gli avventori che, attratti da quelle melodie, stavano man mano riempiendo l’ angusto locale.

Armando, euforico, stava impazzendo nella foga di prendere nuove ordinazioni dei clienti, sistemati con dei tavolini improvvisati, mentre scroscianti applausi salutavano la fine di ogni esibizione.

– Ehi Spaventatasti, puoi tornare qui anche tutte le sere se vuoi suonare. Per te ci sarà sempre un posto per bere e mangiare!