Rimodernare il cappello

Il taglio nuovo – di Cecilia Trinci

Faceva tutto come un guerriero con la lancia in resta, fosse una battaglia morale, un colloquio scolastico o la difesa di un gatto randagio o la polemica con un cacciatore troppo vicino a casa col fucile spianato. Affrontava, mordeva e non mollava. Era sempre all’erta. Poi c’erano i momenti creativi come quando all’improvviso smetteva di ascoltarci e  fissava lo sguardo in un punto lontano….allora non solo non rispondeva, ma neppure era più con il pensiero nella stanza. Era in uno di quei deliri creativi che a volte, in preda a un raptus, raggiungeva l’armadio in camera e dall’ultimo ripiano in alto ne sceglieva uno da sacrificare. Credo che là dentro i cappelli, se avessero potuto, sarebbero scesi al ripiano di sotto, si sarebbero nascosti…ma lei ne afferrava uno, in genere quello più grande e lo portava in cucina, sul tavolone di marmo, come su un tavolo operatorio….

Era giunto il momento di RIMODERNARE un cappello! Le modiste costavano care e il cappello era un accessorio troppo obbligatorio, allora. Quindi via con le forbici.

Quello era il momento dell’ineluttabile. Con mia nonna e mia sorella ci facevamo da parte, non si poteva fare nulla di diverso che aspettare che la furia si sgretolasse, omertose e silenziose. Impossibile salvare il cappello che era già nelle mani di lei, guardato storto, come un fagotto diventato vecchio.

Sicuramente aveva in mente un modello bellissimo da realizzare, solo che il primo taglio era sempre troppo deciso, una ferita troppo ampia nel feltro morbido che non poteva neppure urlare di dolore e meraviglia. Quindi un altro taglio doveva rimediare dall’altra parte del cappello!

Era così che dopo il primo taglio incauto, abbondante, ne seguiva una serie sempre più vorticosa, precipitosa, accanita, ansiogena fino a un crescendo di zac e zac e ancora zac per pareggiare, per armonizzare, controbilanciare….le larghe falde cadevano, il feltro morbido si riduceva e ad ogni prova allo specchio appeso contro la finestra lei storceva le labbra e riprendeva a tagliare zac e rizac fino a che il bel cappello da rimodernare si riduceva a una piccola calotta anonima.

Quando poi la mattanza si placava….dopo un breve silenzio, guardando con delusione lo scempio con il capo piegato su un lato,  “Ci metterò una veletta”, diceva lei e lo riportava dove lo aveva preso, nel ripiano in alto dell’armadio, un po’ più nascosto di prima.

Poi dopo un paio di giorni si usciva.

Dove si va?

Si va a comprare un cappello, diceva, lo voglio grande, ampio, con una bella tesa larga e qualche piuma o un bottone, o un fiocco, così magari l’anno prossimo si può anche RIMODERNARE meglio……

Cappello con pappagallo

Cappello con pappagallo – di Rossella Gallori

La vidi arrivare dal canto de Nelli, piccola , leggera, un vestitino al polpaccio di San Gallo quasi bianco, una piccola liseuse rosa pallido le proteggeva  spalle minute, guantini di pizzo, calze rosa  e scarpine da ballo un po’ sbucciate in punta, ma quello che mi folgorò fu l’enorme cappello di paglia, coperto in parte da una nuvola di tulle azzurro, qualcosa si nascondeva tra le pieghe del tessuto….da lontano non lo distinguevo bene…nascosta come ero da quei banchi che facevano da paravento ad una scalinata, che, sinceramente avrebbe meritato una cornice migliore…

Io jeans  a campana camicia hawaiana  ma non troppo, gustavo il mio gelato seduta sui gradini di San Lorenzo, giornale sotto il culo…e voglia di nulla.

Il mio nulla fu interrotto da una voce cantilenante: mi posso sedere accanto a te?

Diffidente biascicai un si, mentre il gelato spariva…si presentò, disse di chiamarsi Cora, di abitare là, lo fece indicando un posto indefinito, scosse la testa e nel brusco movimento apparve lui nell’ immensa isola di paglia, il pappagallo.. un po’ spennacchiato in verità, ma magico nelle sue mille sfumature…

Cora iniziò la sua storia mi   parlò di amori sbagliati, di viaggi inverosimili, di incontri  straordinari…di conti, marchesi, di un principe che la voleva sposare, della sua villa a Settignano, ad ogni episodio, il povero uccello perdeva penne, ma mai dignità, un po’ come lei, fragile e forte, viva e morta al tempo stesso.

Ringraziò Antonio, l’ortolano, con un largo sorriso, che le porgeva un cartoccio di frutta un po’ partita… poi si alzò di colpo mi sorrise sussurrano un a domani, mia cara.

Io mani in tasca, cervello altrove, mi avviai al lavoro, togliendo il basco turchese di cotone leggero, sentii  una berciare  dietro di me: oh nina un tu migliori miha se tu stai con la Mirna…l’è pazza.

Una mia alzata di spalle fu la risposta, un pensiero solo: Ma non si chiamava Cora?

Ci furono altri incontri, non chiese mai niente di me…forse il nome, che storpiò continuando a chiamarmi Raffaella, poi eran tutti racconti…racconti… noi, io ed il pappagallo ascoltavamo, io sui gradini, lui sul cappello…sempre più in bilico, sempre più nudino.

Poi un giorno sparì, nel grosso bidone  di Borgo la noce, vidi il cappello, la nuvola di tulle strappata ed una piccola coda…un necrologio chiaro, mi fece capire che Cora/Mirna/Claudette….una bimba vecchia che io credevo eterna, era morta…non ebbi il coraggio di prendere il cappello tra i rifiuti…ed ancora oggi me ne pento…oggi che avrei bisogno di lei, dei suoi racconti fantastici e di quel magico cappello con il pennuto arcobaleno….

Oggi, che ho regalato i miei cappelli più belli a chi li meritava…oggi che mi nascondo dentro berretti di maglia che in un eccesso di follia posson essere grigi, ma di solito son neri o  blu.

Vorrei avere il tuo cappello, Cora, per avere il coraggio di esser pazza fuori e non solo dentro, per sedermi su una altalena fiorita e dondolare insieme al tuo pappagallo, per scrivere poesie e regalarle, per avere lunghi capelli biondosole, come i tuoi…per avere mille nomi diversi, per indossare con coraggio quello che non riesco a farmi entrare, più in testa che addosso….per ridere, vivere, indossare guanti di pizzo, ed enormi cappelli colorati….per portare ballerine leggere anche con la pioggia….per gridare piano che amo… ma non ho il coraggio di dirlo.

Vorrei quella nuvola azzurra in testa, poggiata sull’ enorme vassoio di paglia di Firenze, con un Loreto grasso ed invecchiato, come me, ma cinguettante…allegro…senza picchetti, senza pacchetti pesanti come ferri da stiro di vecchia generazione…

PS: Domani vado in piazza San Lorenzo ti aspetto, sono passati solo cinquanta anni….chissà, forse sentirò una voce… Raffaella… non ti correggerò….ma ti prego imprestami anche solo per un’ora il tuo cappello…..