Spaventapasseri felice

Lo Spaventapasseri felice – di Patrizia Fusi

Una leggera brezza mattutina fa muovere tutto quello che c’è intorno:  le rosse ciliegie fanno capolino muovendosi tra le foglie verdi, il grano si muove dolcemente facendo apparire i papaveri rossi, l’azzurro dei fiordalisi in quella distesa dorata pronta per la raccolta. Anche lo spaventapasseri sente i mille  profumi frizzanti di terra e di tutte le erbe e fiori della campagna che con  l’umidità della notte si sprigionano nell’aria…. Sente che ne è ristorato e anche per lui inizia un nuovo giorno dopo la serenità della notte trascorsa dove si è lasciato andare a tutto quello che lo circondava e questo  non lo ha fatto sentire solo: il canto dei grilli,il fruscio della vita notturna, il volo degli uccelli rapaci,  in lontananza l’ abbaiare dei cani, segno di vita, il cielo luminoso e bellissimo pieno di piccole stelle, la luna piena splendente che fa luce su tutto. Ora inizia un nuovo giorno di lavoro per lui: deve far paura agli uccellini per  allontanarli dalle succose ciliegie lui è stato creato e messo lì per questo, ma a lui non piace far paura quegli animaletti così graziosi che gli svolazzano intorno e gli fanno compagnia; si è fatto conoscere dagli uccellini e loro gli passano sulle grandi braccia aperte senza più paura gli raccontano quello che fanno durante il giorno… Lui è contento e non gli importa se mangiano le ciliegie! da quando ha fatto amicizia con loro è uno spaventapasseri felice

Dal passato: sei anni fa

Girellando nel web, una scrittura di sei anni fa, il 18 febbraio 2015

La cravatta – di Rossella Gallori

Foto di Mira Cosic da Pixabay

Camminavamo piano per ritardare il nostro rientro  casa, eravamo in tre: lui, io e la nostra straordinaria capacità di stare insieme; la sua grande mano, le sue dita forti ed  ahimè, ingiallite dalla nicotina, mi stringevano così forte, che ancor oggi ne avverto il calore.

Le nostre giornate erano lunghe ma mai faticose, partivamo all’alba: lui,il suo profumo, le sue Turmac, la sua valigia di pelle pesante  e la sua bambina con la borraccetta di plastica rossa

Chiudevamo in fretta la porta di casa , salutavamo  la mamma, lui con un bacio ed io con un frettoloso “ ciao “  che non mi so ancora perdonare.

Un’ultima occhiata al campionario “i nostri cencini “… e via per la Toscana

Il rappresentante e la bambina per parafrasare una canzone di Ron.

Spesso entravo anche io nei piccoli laboratori, nelle fabbrichette,  altre volte lo aspettavo fuori in macchina … spesso per ore.. ma per magia non avevo né freddo né caldo né fame né sete ..e mai che mi fosse scappata la pipì; continuavo a parlare con lui anche quando non c’era, gli facevo domande e ricevevo risposte.

Lui  era un acuto osservatore di persone ….di sguardi …di sensazioni e lo aveva insegnato a me, la sua unica eredità .

Ci fermavamo a mangiare dove capitava: una fetta di berlingozzo, un neccio, un panino con la salsiccia, qualche ricciarello a volte i suoi clienti ci invitavano a casa,  un piatto caldo …..non so se questo mi piaceva; troppa gente intorno, ma spesso ci guardavamo: occhi uguali, il labbro superiore appena accennato da peli ondulati che si differenziavano dai miei solo nel colore. Lui la mia matrioska per sempre….Non ci volevamo dimenticare e ci siamo riusciti.

Poi se la stagione lo permetteva fermava la  1100 grigia vicino ad uno spazio verde  stendeva  il plaid scozzese per terra e li “ si ragionava “  come diceva lui ..Strano ripensandoci non abbiamo mai fatto progetti per il futuro; non mi ha insegnato ad essere felice senza di lui, ma non gliene faccio una colpa.

Se faceva freddo ci fermavamo per un caffè , in qualche barretto di campagna, un caffè in due…me ne lasciava un po’ nella grossa tazzina, un sapore come quello non lo sentirò mai più ed è giusto che sia così.

Cresciuta al profumo del Tabacco d’Harar al fumo delle Turmac  ed al sapore del caffè….

Calcolare il rientro era difficile ..ma forse poco ce ne importava; eravamo felici di fare tardi.. insieme
Ma il segnale c’ era, forte e chiaro sempre lo stesso ma mai monotono, capivo immediatamente che la giornata di lavoro era finita: toglieva la cravatta la avvolgeva lentamente intorno alle dita e infilava sempre  nella tasca destra, slacciava il primo bottone della camicia  azzurra; ha sempre avuto camicie celesti e cravatte sul bleu: pois, righe, piccoli quadretti, ma sempre  ed inesorabilmente bleu.

Speravo che “ loro” avessero già mangiato. E so che anche lui se lo augurava; trovavamo nascosta tra 2 piatti la nostra cena freddina ma buona e comunque solo per noi, una grossa fetta di pane: tu la mollica io la crosta…… dicevi  e giù risate, non  ho saputo più ridere così.

La mamma in silenzio ci guardava.. ..non ho mai capito se era gelosa di quel sentimento troppo forte, ma era stanca ..la casa, il lavoro, i figli, una vita che non meritava, ma era ”inutile piangere sulla Mezuzah” diceva quasi ridendo.

Chissà se hai portato in cielo le tue cravatte, i nostri cencini , le nostre canzoni inventate, il ragionare…..il mio non andare a scuola  ed il tuo insegnarmi cosa serve nella vita: dicevi cuore solo cuore cuore …….

Lo spaventapasseri in nero

Racconto interrotto – di Luca Di Volo

“Era una notte buia e tempestosa”….che grandioso inizio per un affascinante romanzo ..Oddìo..forse non troppo originale..

Ma lui quell’incipit lo aveva sempre, come dire..?! Stregato..sì..la parola giusta..: stregato. Incantato, sedotto.. Gli sembrava una degna apertura di un sipario su scene infinite ma tutte immense, evocative..e tenebrose ..quel tanto che bastava per accendere il lettore ..

Peccato però che quella sera, dopo il “tempestosa”, al nostro scrittore non fosse riuscito aggiungere nemmeno una parola…

Si vede che qualcosa gli aveva bloccato il software dei suoi neuroni…un virus?! Ma l’aveva installato un antivirus adatto..?!

Cercò di smettere di pensare fesserie e di concentrarsi sul racconto..che, tra l’altro, doveva consegnare all’editore non più tardi di mezzogiorno….e lui era ancora a “Caro amico..”

Inutile stare a rovinarsi le meningi…per distrarsi si alzò per andare alla finestra.

A quell’epoca i nuovi palazzi abitativi  confinavano ancora con i campi dell’aperta campagna, e molti erano coltivati, se non altro per avere ortaggi freschi…Come quel piccolo podere di proprietà del suo vicino di casa, con quel buffo spaventapasseri in mezzo…Buffo…insomma..mica tanto..Già, nel quartiere (ma un po’ anche in città ), quel fantoccio era il terminale di una leggenda nera arrivata fresca fresca dal più profondo Medioevo..

Pochi sapevano (ma era storicamente vero) che in quella zona..forse proprio nei pressi di quel modesto podere, fino alla fine del diciottesimo secolo (e oltre) si trovava il tristemente famoso “Prato della Giustizia”..un eufemismo per il luogo dove erano eretti vari patiboli e venivano eseguite le sentenze capitali…che non erano come ce le hanno fatte immaginare nei film..un colpo e via..No no..a quei tempi era spettacolo comune lo squartamento dei condannati..l’esibizione di budella messe sul fuoco mentre il disgraziato era ancora vivo..Tutte cose che i cronisti dell’epoca preferivano tacere…e che gli storici moderni hanno poi ricavato scavando negli archivi processuali…

Insomma..Ma cosa aveva a che vedere con questi orrori quella figura sbilenca al chiaro di Luna..?!

Le spiegazioni erano tante..fra tutte però ce n’era una che sembrava abbastanza plausibile…Sembra infatti che, al cessare della pena di morte, (in epoca relativamente recente), la pietà popolare avesse eretto una rozza croce di legno in memoria dei poveri condannati e anche per esorcizzare gli orrori di cui quel luogo era stato testimone…

Col passare del tempo poi..i ricordi si erano affievoliti..nonostante che quei dintorni avessero sempre mantenuto una specie di aura sinistra..tanto che non era raro vedere qualche vecchietta che passando davanti si facesse il segno della croce..

E anche la rozza croce si era trasformata..ed era stata degradata a sostegno di qualche straccio..divenendo così un volgarissimo spaventapasseri…Che, per la verità, il suo mestiere di “spaventare” lo faceva benissimo..

Tutte leggende e superstizioni?!…Forse..fatto sta però che da quel posto tutti se ne tenevano un po’ alla larga…tranne che il proprietario..già…il suo vicino di casa…che anzi coltivava quel pezzetto di terra con grande cura, deridendo con sarcasmo quei creduloni dei suoi concittadini.

Mah..forse aveva ragione lui…

Si sedette di nuovo al computer..sempre davanti  a quell’incipit..Però questa volta gli sembrò di poter andare oltre…dunque….”Era una notte buia e tempestosa…tratta dall’oscurità profonda dalla violenta luce dei fulmini che si susseguivano senza posa, una carrozza nera, trainata al galoppo da quattro cavalli neri come l’Inferno….”Sosta…ma che ne sapeva lui di che colore era l’Inferno?! Boh…tanto non lo sapevano nemmeno i suoi lettori..Allora vada per il nero…sì..poteva andare..

Proprio in quell’istante di incoraggiamento percepì una gran tramestio…botte, schianti..e, alla fine..un lungo urlo straziante..interrotto bruscamente..E senza dubbio proveniva dall’appartamento accanto al suo…cioè dal proprietario di quello strano arnese in forma di spaventapasseri nel suo orticello..

Non poteva far finta di nulla…Aprì la porta e senza esitare bussò alla porta del suo dirimpettaio..

Dovette aspettare un bel po’ prima che uno stridente rumore di catenacci gli rivelasse che qualcuno aveva sentito e sulla soglia si manifestasse l’imponente sagoma del suo vicino…

In controluce, con l’illuminazione da dietro,  sembrava ancora di più somigliare all’orco delle fiabe…non era colpa sua, ma madre natura con lui era stata davvero matrigna..Alto quasi due metri…testa piccola…capelli a ciuffo sul cranio puntuto..torace a barile..pancia extralarge..gambe lunghe ma sottili..E la voce non era da meno…

“Beh..che c’è.?!!”.Un rimbombo amplificato dal corridoio deserto..

“Mi scusi..ho sentito un grido..sembrava da lei..forse qualcuno si sente male..?! Forse potrei essere d’aiuto…”

Una voce acuta..di donna..dall’interno..”Ermanno…chi è a quest’ora..?!”

La vociaccia divenne lievemente più dolce…un miscuglio terribile..”Niente niente ..solo un rompic…ehm..il nostro vicino..dormi dormi”..e a lui : ”No..va tutto bene..”

“Ah…mi scusi per averla dist…” Gli rispose il tonfo dell’uscio che si chiudeva..

Ritornò in casa..si rimise a sedere..e stette lì..in silenzio..senza pensare a nulla…tanto meno al racconto..

Dopo una buona mezz’ora di assenza dall’esistenza..sentì il bisogno di guardare ancora un po’ il mondo di fuori..

Si riaffacciò alla finestra….aspettandosi il solito panorama spettrale…Un’ombra furtiva gli sembrò entrare nell’orto di fronte..

Ohè…che succedeva..?! Un ladro?!..Ma che c’era da rubare lì..al massimo qualche zucchina…e poi bisognava tener conto delle leggende popolari…Tutto molto strano..e lo divenne ancor di più quando l’ombra si rivelò essere, inconfondibile.., quella del suo vicino..

Ma che ci faceva..di notte..al buio. ..in un orto che poi era il suo..?!

Sentì uno strano pizzicore alla nuca..gli succedeva sempre nei momenti di tensione…

Guardò meglio..l’omone stava armeggiando proprio alla base dello spaventapasseri..miseramente divelto e sdraiato a terra….Però…un bel coraggio..E doveva aver trovato qualcosa di grosso…una..una..valigia?! Sembrava..e molto pesante, anche…visto che l’omone barcollava nel portarla..Ma ce la fece..aprì il bagagliaio del suo camioncino e la buttò dentro con ultimo sforzo…

Poi si appoggiò alla carrozzeria per riprendere fiato…

Fu in quel momento che un’altra ombra..più sottile…anch’essa con una valigia..traversò la strada, raggiungendolo…girò intorno al camioncino, aprì la portiera..ed entrò, mettendo la valigia nei sedili posteriori..

L’omone dette un ultimo sguardo intorno con circospezione….e il nostro scrittore si tirò istintivamente dietro la finestra…sapeva che non poteva vederlo, ma, terrorizzato com’era..non si sa mai…

Udì il rumore soffocato del motore che si allontanava..poi..più nulla..silenzio..solo il povero spaventapasseri atterrato..muto testimone di …già..di che cosa..?!

Riaprì la porta di casa e si affacciò di nuovo nel corridoio…

Oddìo…cos’era quella cosa vischiosa..brunastra..che si insinuava dalla fessura in basso di quella porta…spargendosi per il corridoio vuoto..?!

Non ci voleva grande immaginazione per capirlo..

Non potè far altro che telefonare alla Polizia….

E mentre le sirene si avvicinavano ululando nella notte..si rimise davanti al computer..

Dunque…”Era una notte buia e tempestosa….”Cancellò il resto che gli sembrava banale…

Sarebbe rimasto un bel racconto incompiuto…

Lo spaventapasseri gentile

La battaglia di Guerrino – di Gigliola Franceschini

Da generazioni la famiglia Guerrini coltivava quel podere di ottima terra, in una posizione favorevole e Guerrino aveva avuto l’idea di provare in uno dei migliori campi un prodotto nuovo che avrebbe portato altri guadagni. Aveva seminato e ben presto erano affiorati i primi germogli, tanti, un prato verde. Ma una grande quantita’ di passeri  ed altri uccelli di piccola taglia avevano fatto mambassa delle tenere piantine. Doveva fare qualcosa per proteggere quella produzione e penso’ ad uno Spaventapasseri, ma non il solito fantoccio, una cosa grande e fantasiosa capace di mettere in fuga  quegli uccellini che lui definiva bestiacce.  Con l’arguzia tipica dei contadini, scarpe grosse e cervelli fini, penso’ ad un grande fantoccio che portasse da un braccio all’altro una specie di mantella che alle folate del maestrale e del vento di terra, avrebbe messo in fuga gli sgraditi ospiti. Una tela cerata fu utile al suo progetto, riempi’ di paglia e fieno  lo Spaventapasseri  e completo’ l’opera col suo cappellaccio marrone come a dimostrare che lui era  il padrone e  l’ideatore. Lo carico’ sul carretto  e lo porto’ nel campo che voleva difendere, poi lo pianto’ saldamente in terra. Era soddisfatto e fiducioso fino quasi alla certezza. Questo spaventerebbe anche un’aquila , aveva detto alla Nina. La mattina seguente, dopo aver accudito gli animali, prese gli arnesi da lavoro e si avvio’. Passando vicino al campo dello Spaventapasseri, vide sventolare la cerata  come ali, penso’ di aver raggiunto il suo scopo. Ma piu’ da vicino, si accorse che gli uccelli avevano fatto una strage  dei teneri germogli appena spuntati dalle zolle  e invece di aver paura, si erano appollaiati a decine sullo Spaventapasseri per fare in tranquillita’ una serena digestione della pappata mattutina. Guerrino ando’ su tutte le furie, comincio’ a prendere a calci il palo che sorreggeva il fantoccio e lo butto’ a terra. Poi lo calpesto’ fino a distruggerlo completamente , con la zappa lo spezzo’ , cappello compreso. Tirava certi sagrati peggio di quando si scatenava la grandine. Rientro’ a casa per il desinare, la Nina lo vide nero  e si guardo’ bene dal fare domande, gli mise davanti il fiasco del vino  e lui, prima che lei portasse un bicchiere, si attacco’ al fiasco e dette due o tre sorsate  poi disse, tutto inutile  e chiuse l’argomento. Non ne volle parlare piu’, quando qualcuno accennava a quell’episodio, si rabbuiava e cambiava discorso. Non coltivo’ niente in quel campo, solo erba medica per il foraggio degli animali. Continuo’ a lavorare la terra alla sua maniera. Non volle ascoltare i consigli degli amici  che lo esortavano a riprovare. Mai, diceva. Guerrino era fatto cosi’ chiuso nel suo mondo quadrato e un po’ ottuso, non digeri’ nel tempo quella che per lui era stata  una battaglia persa. Niente nuove colture, niente Spaventapasseri, tutto come prima. La sua creativita’ era stata da un sonoro insuccesso e questo era troppo per una testa dura come la sua e poi ci aveva rimesso anche il cappello!