Colorati di speranza – di Nadia Peruzzi
“Era verde. Verde e gravido. Giaceva supino in un mare di giaietto sibilante, come uno smeraldo suppurante nell’oceano dell’universo. Non ospitava la vita. Sulla sua superficie la vita esplodeva, prorompeva, si moltiplicava e prosperava, al di là di ogni possibilità dell’immaginazione. Da un suolo così ricco che quasi viveva anch’esso, un magma verdeggiante sgorgava per inondare la terra. Ed era verde. Oh, era di un verde così vivo da avere una nicchia tutta sua nella gamma dell’impossibile: un verde invadente, onnipresente, onnipotente. Il mondo di un dio clorofillaceo”.
(Alan Dean Foster)
Non ho mai visto la giungla da vicino, ma se devo pensarla, la penso così, come lo scrittore descrive questa apoteosi di verde che entra in tutte le cose, le avviluppa, le invade, le sopraffà, le imprigiona.
Mi fa pensare a templi di antiche civiltà che col passare dei secoli sono state conquistate da alberi e da una vegetazione lussureggiante, che ha avuto la meglio su tutto il resto lasciando scoperte, nel migliore dei casi, solo le sommità.
Sollecita un sogno che vorrei si traducesse in realtà. Vorrei un giorno, vagare in un bosco di orchidee, circondata dalle loro foglie carnose e da fiori di ogni colore, anche scontando l’umidità che si fa goccia e cascata, e si insinua pervasiva in quella foresta pluviale, scivolando dolcemente e instancabilmente sulle foglie, lungo i tronchi degli alberi fino ad entrare in ogni anfratto, con un piglio quasi inesorabile. La immagino mentre si fa nebbiolina per effetto del calore, mentre i raggi del sole vi si insinuano quasi come lame, per ingentilirsi e mutarsi poi in fili dorati che lungo il percorso fanno sfavillare le mille tonalità di tutti quei verdi, talora cupi e austeri, per regalare gocce di smeraldi anche più rilucenti delle gemme vere.
Un mondo verde in cui perdersi, senza scomparire, per ritrovare sé stessi e per rinascere nuovi di zecca, colorati solo di speranza.
Nadia 18 aprile 2018