Giugno e il concerto – di Cecilia Trinci
Mi sveglia giugno già presto e appena apro gli occhi il concerto, chissà da quanto già iniziato, continua. Uccelli che corrono davanti alla finestra in giostre impazzite, stridendo, cinguettando, gorgheggiano in mille suoni canzoni di vento, ingoiando nel becco la luce di primavera che precipita a diritto nell’estate. Colori mai visti, penne che vibrano, virate miracolose ma soprattutto canto. Un concerto di note leggere, vibrate, acute e sottili si sta celebrando al di là della finestra, tra cielo e terra, tra fiori e mare, attraverso l’aria del mattino. Cantano la felicità di essere vivi, di esserci, di volare. Cantano scendendo in picchiata verso i nidi o sui rami di alberi antichi, con acuti che sembrano dire &guardami, ascoltami, seguimi&. Cantano da fermi sulle punte di rami leggeri che neppure si piegano, becco al cielo e zampette aggrappate, concentrati in linguaggi ancestrali per dirsi messaggi misteriosi. Cantano sui fili dei panni osservando la vita intorno. Cantano sui tetti per dimenticare vertigini e paure, piccoli uccelli dai mille colori o merli grassocci, colombi argentati, fringuelli, cinciarelle e colibri, mentre passano ghiandaie, cornacchie e tortorine. A distanza sfrecciano i rondoni che danno colore al concerto, come fossero ottoni in una sinfonia, mentre trillano merli da ogni dove, come flauti traversi tra i violini. Fringuelli e cincie danno il via alle viole e il contrabbasso dei colombi segue l’andatura.
Giugno suona la felicità. Un mese speciale, a metà dell’anno, a metà di tutto tra la freschezza della primavera e il calore dell’estate. Notti dolci e giorni intensi, cascate di fiori e sole arrosto, temporali e tristezza, gioia e ricchezza.
Sono nata a giugno, il sesto mese dell’anno. Il sei.