Evasione – di Gabriella Crisafulli

Cara Cecilia
Ti scrivo mentre sono in viaggio: sto andando a Salerno.
Mi ha intrigato un progetto di soggiorno all’Hotel “Il Faro” per partecipare ad una settimana di incontri in cui il tema centrale è il gioco.
La proposta era quella di prendere parte a tornei di bolle di sapone, di lancio di desideri, di sfide all’ultimo tarallo, di fuga dalle ragnatele di corde, di partite a tappi, di balli con ombrelli colorati, di chiacchiere d’uccelli, di risate fino alle lacrime, di sfilate di armi improbabili, di concerti di pentole e coperchi, …
Il progetto è stato per me davvero attraente: abbinare l’aspetto ludico al poter rivedere ancora una volta il castello Arechi che regala indimenticabili scorci marini, la Cattedrale, il giardino terrazzato della Minerva con le sue piante medicinali.
Mi affascinava pure l’idea di ripercorrere la storia della città lungo le sue strade, dalla dominazione longobarda al Principato di Salerno che arrivò a inglobare gran parte dell’Italia meridionale fino al periodo normanno in cui Salerno era capitale del Ducato di Puglia e Calabria.
E poi c’era l’aspetto della cucina così legata all’influenza dell’antica comunità ebraica.
Ancora una volta, però, mi sono trovata decidere di andare senza sapere se lo volevo davvero.
Anzi ho scoperto, quasi all’improvviso, che non lo volevo proprio.
E dopo aver stabilito, organizzato, fissato, prenotato, pagato, dopo mail, telefonate, contatti, … mi sono trovata prigioniera di una nebbia paralizzante che faceva muro intorno a me e impediva qualunque movimento.
La valigia restava aperta in attesa di ciò che volevo mettere dentro ma non non sapevo cosa e stavo ferma a guardarla immobile.
Più si avvicinava il momento in cui dovevo uscire di casa meno energie mi ritrovavo mentre di pari passo aumentava la confusione e l’incertezza.
Era forte in me il desiderio di stare insieme a persone con le quali entrare in contatto, di ridere, di scherzare con loro sulle situazioni buffe che si sarebbero venute a creare all’Hotel “Il Faro”.
Ma molti anni prima ero salita sul carro di Zampanò e non volevo ripetere l’esperienza.
“Vedrai” mi dicevano “andiamo al “Norde”, nel grande mondo”
Balla ragazza, balla.
“Sei contenta?”
“Sì, sono contenta”
Pappagallo mi chiamavano perché sapevo rispondere a tono, battevo le mani e ridevo.
Quando non ho riso più sono stata rimproverata: “Bambina cattiva” mi dicevano.
Il mio piccolo mondo antico si è perduto per sempre.
Il pappagallo si è rotto ma viaggia ancora.
mi sembra così diverso dal primo ascolto, forse mi sbaglio, di certo so che ora mi ha ancor più sorpreso….cosa dire: chapeau signora Crisafulli.!
…..senza sapere se lo volevo davvero
…..il pappagallo si è rotto.
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Continuare a giocare a tutte l’età, grazie
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