Viaggio all’indietro nel tempo: Nadia

Un viaggio..nei ricordi – di Nadia Peruzzi

Mosella – foto Pixabay


Dopo due anni non ne poteva più di quella palude dell’anima. Aveva voglia di uscire da quell’angusto anfratto nel quale si sentiva costretta.
Il segno zodiacale non l’aiutava di certo. Segno di fuoco il Sagittario. Indisciplinato quanto basta, il segno viaggiatore per antonomasia, un’anima errante che non amava imposizioni e costrizioni, e aveva un gran bisogno di libertà. La routine la viveva peggio di una condanna all’ergastolo. Cose che doveva tenere a bada in quella forzata stagione di divieti, distanziamenti e fin troppe regole a ritmo incalzante, tendente al parossistico.
Anche il sogno e il pensiero ne uscivano rattrappiti , se non addirittura castrati.
Le mancavano il poter pensare a mete da raggiungere, il passare ore in libreria a sfogliare guide e carte che l’aiutavano poi a concretizzare itinerari e viaggi.
Sempre più spesso era il passato che chiamava e la faceva annegare nella nostalgia.
Rivedeva lui senza il quale ogni meta, ogni itinerario di viaggio aveva perso molto del suo significato.
Pensava alle sue mani. A come le piaceva stringerle quando abbandonate le guide e le loro indicazioni si lasciavano sospingere dalla sola curiosità di scoprire angoli e scorci particolari che dopo sarebbero stati per sempre e solo i loro.
Rivedeva i suoi occhi curiosi di scoperte e pensava a come l’aveva sempre assecondata anche quando lo spunto per un luogo da vedere poteva derivare dal caso.
Il retro della banconota da 500 marchi fu quello che li portò fino al Castello di Burg Eltz vicino a Coblenza e al corso della Mosella.
Stava in un nulla, sperduto in un bosco, senza alture in posizione strategica o passaggi fluviali da dover sovrastare e proteggere. Stava lì da secoli a raccontare la sua storia di dimora signorile del principe che aveva deciso di abitarci. Non li deluse. Non succedeva mai che la realtà, anche quella a cui si era arrivati per caso, portasse delusione.
Telç,fra Brno e Praga, l’avevano vista per la prima volta sulla copertina di una rivista di viaggi. Ci arrivarono in un pomeriggio di fine estate e si ritrovarono in un mondo a parte, senza auto e senza rumori molesti, circondati solo da case merletto dai colori pastello datate 1600.
Con i loro abiti e i loro atteggiamenti da ventesimo secolo erano loro a sentirsi fuori dimensione.
La notte fu magica. La piazza era illuminata da lampioni a gas di vecchia foggia. Cenarono all’aperto, sotto quella luce tremolante e naturale, coccolati da un firmamento di stelle che sembrava di poter toccare.
Qualche figura si aggirava nella piazza, sulle facciate delle case ombre, che apparivano e scomparivano rapidamente. Con un po’ di fantasia si poteva sentire arrivare un rumore di passi felpati e di broccati che frusciavano a contatto con le pietre. Il gran ballo alla Residenza del principe doveva avere avuto inizio e i nobili ritardatari si stavano affrettando.
Non ricordava come avevano scoperto Giethoorn in Olanda. Ormai non aveva più alcuna importanza.
C’erano arrivati e ne erano rimasti conquistati. Era un paese piccolo piccolo, quasi un’oasi nel piattume della campagna olandese.
Da lontano si vedeva solo il ciuffo degli alberi che faceva corona al villaggio. Da vicino ad attrarre l’attenzione erano i canali, i piccoli ponti di collegamento fra le case, i giardini ricchi di fiori colorati che arrivavano fino a lambire l’acqua. Un piccolo angolo di paradiso. Fuori dal mondo e dai suoi ritmi incalzanti. I canali erano le strade, piccole barche silenziose al posto delle auto che correvano lontano, sulla strada principale alle nostre spalle.
Chiudendo gli occhi lo rivedeva mentre scattava le foto. Era lui che le faceva, lei pur non avendo perso la passione gli aveva lasciato di buon grado campo libero. Non servivano parole fra loro per dirsi che avevano fatto la scelta giusta arrivando fino a lì. Si intendevano con uno sguardo. Un gesto era un racconto e un commento.
Tutti e due avevano momenti in cui erano troppo emozionati per riuscire a trovare parole all’altezza di ciò che sentivano. Quindi si affidavano a silenzi in grado di dire tutto.
Sarebbe stato bellissimo pensò poter riannodare insieme i frammenti staccati di quella pellicola. Era una altalena di ricordi nella quale per fortuna erano le immagini gioiose e dolci a sgomitare per mettersi in mostra.
La colazione in una quasi alba sulla Promenade des Anglais con delle “tartes à la francaise”spropositate visto che ognuna valeva almeno 3 paste delle nostre .
La 500 ormai stremata sulla salita di Serravalle, con sulle spalle quasi 6000 chilometri, con cui tentammo di sorpassare un camion che pure andava lento, e dovette abbandonare l’impresa visto che tossiva e procedeva a scatti non sopportando più la differenza di ottani nella benzina con cui avevamo fatto il pieno in Spagna.
Avrebbe rivissuto tutto volentieri. Anche l’ansia e lo stress della vigilia. Era sempre elettrica mentre faceva le valigie e spesso e volentieri finivano di litigare. Era una di miccia corta, lei.
La mattina , saliti in macchina, lui doveva fare affidamento a tutta la sua pazienza. Lo sapevano entrambi.
Ogni volta era una litania di “guida con prudenza, vai piano, stai attento!”,che lui accoglieva in silenzio per poi ignorarla durante il viaggio. Tanto sapeva che arrivati a circa metà percorso , varcata la linea di confine fra il certo e l’incerto, il prima e il dopo da scoprire, lo stress sarebbe sparito come per magia .
Così era stato sempre. Ad eccezione di una volta.
Fossero stati insieme sul quel divano ne avrebbero riso ancora, mentre lo raccontavano ai nipoti. Lui sicuramente con lo sguardo bonario che gli apparteneva e l’espressione sorridente che non lo abbandonava mai.
Lo immagino mentre dice : ”Vedete questa nonna? Delle volte mi ha fatto proprio perdere la pazienza. Una volta più di sempre. Eravamo sull’autostrada fra Roma e Napoli e lei era agitata come non mai. Era tutto un vai piano, corri troppo, attento qui, attento là. Mi dava il tormento. Non ressi più. Mi diressi ad un’area di sosta , fermai la macchina e scesi dicendo.”Se vuoi arrivare a Napoli guidi tu , così la smetti pure di parlare e di rompere.”
Arrivammo a Napoli con la nonna che guidava e io che dormivo. Lei non era andata piano e per di più aveva continuato a parlare ancora per un bel po’.”
Uno sguardo di intesa con i nipoti avrebbe suggellato il tutto e l’attenzione si sarebbe spostata sulla merenda che li attendeva. 
Nell’ombra della sera che stava avanzando le sembro’ di sentirli ridere beati attorno a quella tavola e a quelle fette di torta.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

4 pensieri riguardo “Viaggio all’indietro nel tempo: Nadia”

  1. Che tenerezza quella coppia di nonni ancora innamorati sul divano: “Lo immagino mentre dice : ”Vedete questa nonna? Delle volte mi ha fatto proprio perdere la pazienza….” Un rimpianto di non poter vivere insieme questo periodo ancora magico della vita, quell’immagine di un nonno ragazzo che non ha avuto il tempo di invecchiare.

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  2. Sei brava Nadia a raccontare…vorrei essere anch’io brava come te…i troppi ricordi mi affollano la mente e non so scegliere….questa palude si prosciugherà e il viaggio continuerà…diversamente…ma con entusiasmo… ne sono sicura

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  3. Letto ieri sera, riletto stamani, mi son trovata con loro, nella 500, ad ascoltarli, ad imparare come si vive, come ci si ama, amando le stesse cose, dove, forse, non sempre importa, ma con chi …sempre..
    Sulle facciate delle case: ombre….c’è un silenzio vivo, affollato…
    Era di miccia corta, lei…..rende l’ idea!!!!!
    E quel divano…bello, bello,bello

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  4. viaggio affascinante e descrittomolto bene nei minimi particolare, ma il pensiero di questo nonno che non potrà mai conoscere e giocare con i suoi nipotini lo hai saputo sdrammatizzare. Brava Nadia grazie

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