La Stanza Nonna: Stefania

La stanza-nonna – di Stefania Bonanni

Una stanza luminosa, dove si sta bene, coperta di mobili chiari in contrasto con un pavimento nero.  Una stanza che non si puo’ fare a meno di frequentare perché ci si mangia, ci si cucina, ci si fa il presepe, si disegna, si fanno i biscotti, ci si fa colazione e merenda. Dove si mette a bollire il sugo, mentre si fanno le parole crociate e se c’è un raggio di sole ci si affaccia su un minuscolo angolo di verde giardino, popolato da gatti estranei. Una stanza che si usa perché serve, ma che è piacevole e serena, popolata da strani oggetti frutto spesso di visioni fantastiche, come il cane di legno portato dalla piena dell’Arno, ed il pappagallo di plastica che si poso’ sul lampadario, senza più ripartire. Una stanza che si chiama cucina, ma si potrebbe chiamare Nonna. Che è semplice e molto moderna, ma mantiene pranzi della domenica e delle feste, come da tradizione. Una stanza dove trova posto il seggiolone che tra poco non servirà più a nessuno, ma che aveva trovato una nicchia perfetta e sembrava un arredo. Dove molte cose hanno trovato posto: ne’ troppo, ne’ troppo poco cucina. Ne’ una gran fatica, ne’ una minestrina riscaldata.

La stanza dell’acqua – Cecilia

La stanza dell’acqua – di Cecilia Trinci

Mi sono accorta, ascoltandovi, di non avere una stanza tutta per me, e neppure un angolo speciale dove rifugiarmi. Mi sono accorta anche che la casa non ne ha o forse sono io che non ho cercato.

Le idee migliori mi vengono nell’acqua. Preferibilmente di mare e in mare, ma, in alternativa anche nella vasca da bagno, se di meglio non c’è. Mi lascio trasportare sotto l’acqua, la mattina, dopo che la notte, senza saperlo, ho riflettuto.

Tanto per ribadire è in mare che mi venne la voglia di creare il gruppo delle Matite, dopo aver ben ascoltato le ragioni e le voglie di Stefania, che in quel momento era accanto a me, nell’acqua, appunto.

Nell’acqua vedo quello che in terra mi era sfuggito……

E’ l’elemento primordiale, o forse il più evoluto, dove si sta sospesi, mentre sembra che il cervello si schiarisca e veda più lontano all’orizzonte.

La mia stanza dell’acqua potrebbe essere una stanza quadrata coperta per ¾ di acqua tiepida, perennemente tenuta alla stessa temperatura, con “isolotti” morbidi dove distendersi e zattere di legno dove scrivere e mangiare. Per il resto del tempo vorrei vagare sotto il livello dell’acqua e le pareti dovrebbero essere trasparenti, come quelle di un acquario, per poter vedere cosa succede fuori, per ricevere la visita di persone che mi salutano dal vetro come da uno schermo del PC e che mi parlano con grandi gesti farfallanti. Piante acquatiche esotiche tutto intorno. E silenzio. Il silenzio di quando la vita ebbe inizio.

Dopo i colloqui vorrei volteggiare sott’acqua per ricaricare le batterie cerebrali, per purificare la mia recezione sentimentale, per tornare com’ero.

Vestiti? Grandi parei colorati e coprenti che svolazzano con me, come mantelli, annodati dietro al collo, perennemente bagnati.

Piccoli pasti sulla zattera a base di biscotti.

Libri e racconti sempre umidi da leggere sopra gli isolotti, confondendo lacrime e acqua, senza distinguere.

Starei bene, credo.

In assenza di questo l’unico angolo di casa che posso farvi vedere e dove riesco a concentrarmi (oltre alla postazione computer che resta la mia preferita) è il tavolo dove scrivo il diario, dove aggiorno l’agenda, dove i rumori di sottofondo si spengono e riesco a rimanere sola con il racconto, con le parole, con le persone, con i loro dialoghi, che fermo sulla carta per non perdere niente……