Anni: 2016 e 2020 – Carla

Il primo gruppo non si scorda mai (ma il secondo è anche meglio) – di Carla Faggi

2016

Come si dice in gergo” il primo gruppo non si scorda mai”.

L’avevo fatto io a mia immagine e somiglianza, serviva per iniziare a matitare con Cecilia perchè nell’altro gruppo non c’era posto.

Donne che conoscevo in palestra, di quelle che conosci poco ma ti ci trovi bene, che quando parlano le capisci, anzi le intuisci.

Le invito a formare un gruppo di scrittura creativa con Cecilia Trinci che avevo contattato per telefono.

Mi dicono di si e insieme a Tina che mi aveva detto di si prima ancora di chiederglielo, iniziamo con Cecilia la nostra storia delle donne delle 15.

Era il 2016 o il 2015 non so bene.

Per me è stato un gruppo splendido, rotondo, appagante, l’ho amato tanto.

Di quel gruppo siamo rimasti solo Cecilia, Tina ed io.

Alle 15 abbiamo vissuto altri gruppi, alcuni ovaloidi, altri un po’ spigolosi, ma nessun altro era rotondo come il primo.

Ma Cecilia, Tina ed io c’eravamo e ci siamo sempre.

2020

Anno orribilis

la paura, l’isolamento, l’energia negativa nell’aria. il dolore e la sofferenza del mondo respirata ogni giorno.

Ma anche la speranza, il “ce la faremo” “il cantare sui balconi” il “ti sento ma non ti vedo” con Cecilia e le matite.

Che tenerezza e che conforto a ripensarci ora: la connessione che spesso saltava, Skype che non funzionava, noi che non sapevamo ancora usarlo, la Cecilia che si inventava sempre qualcosa, il conforto di scoprire che le nostre paure erano condivise e quindi non erano debolezza ma normalità.

Ci siamo conosciute meglio, siamo un grande gruppo, rotondo, anzi rotondissimo.

Poi ritornammo a riveder un po’ di luce.

L’estate, il ritorno al mare, l’illusione di quasi normalità, rivedere le matite, distanziati e con le mascherine a Villa Favard.

Il nostro premier Conte ed il nostro Ministro Speranza con l’annuncio che a fine anno forse ci sarebbero stati i vaccini.

E poi iniziò il 2021.

Anni: 2016 e 1956 – Rossella

La bambola – di Rossella Gallori

2016

Il 2016 non c’entra, so che avevo seppellito cose, e riesumato casini, so che scrivevo di amore, di muri, di mancanze, nella speranza di colmare i silenzi con le parole, con l’ incertezza di una matita consumata e monotona che scriveva e scriverà sempre la stessa storia,  da destra, da sinistra, da dietro e davanti, da sotto e da sopra, la stessa storia  sempre, solo gli anni sono diversi, solo chi narra non è più lo stesso ….e chi ascolta, ascolta e scrive la sua storia con me.

1956

Parlavano di Anna Magnani, che io trovavo bruttabruttA, parlavano di asiatica, che io non sapevo  “chi” era. Parlavano sempre quando erano insieme, io ero gelosa di quella che mi aveva portato via l’ uomo della mia vita!! eravamo due coppie in tre.

So che la bambola era grande, come il letto, eppure il nostro lettone era grandissimo, so che aveva un vestito di tulle azzurro bordata d’argento, il corpetto plissettato fermato da piccole margheritine   una ruche  le COPRIVA il collo e le maniche a sbuffo salivano su fino  a sfiorarle le guance rosate, il viso ciccioso di bisquit aveva occhi profondi e neri che non si spalancavano del tutto, lucide e folte ciglia arricciate e sognanti, glielo impedivano.

Le mani grassocce a puntaspilli finivano con corte dita smaltate, ai pieducci a saponetta scarpette con il laccio alla caviglia di una plastica dura e fragile.

Era il mio sogno…lo avevo visto, il babbo, salire le scale con lo scatolone, avevo fatto molto finta di non vederlo…sì era il 56, ed io cresciuta, con il meccano, le galene, i sospensori  le scarpe da calcio e la sugna per pulirle, avevo finalmente: Lucia, la bambola più bella !

Ho sempre voluto credere che l’ avesse comprata il babbo, la mamma, no, forse non aveva avuto tempo, forse non fu così.

La nonna decretò  che era un regalo inutile, strano che lo dicesse la persona più inutile al mondo…

Sì era il 56, io  capelli lunghi castani ramati, occhialini neri  che non hanno  mai risolto la mia vista, l’ unica di casa   con la pelle non olivastra.

Mi addormentai sulla gonna della mia Lucia, al mattino il babbo la tolse e la mise sul cassettone, ed è rimasta lì, immobile spettatrice di tutto di più, sì era il 56.

 Poi l’ ho lasciata a far compagnia a mia madre, ma gli anni 70 incalzavano, fu cacciata in un armadio, poco dopo il mio matrimonio, io gelosa di lei, di me….

Passò ancora tempo, piangeva la mia mammaroccia, si sfaldava con lo sfratto in mano, forse una valigia, forse due, sì era il1989.

Cosa potevo fare io, per dimostrarle che ce l’ avrebbe fatta anche questa volta, sì l’ 89…

Io avevo una me piccola, tante cose non risolte, cosa potevo fare!!!!

Presi Lucia, la baciai e senza guardarla, feci affacciare mia madre alla finestra su quella piccola strada dal nome altisonante, via Zuccagni Orlandini e gridai con poca voce: guardami guardami ! Se ce la faccio io a buttar via Lucia ce la farai anche tu mammmmmma, la vita continua, aprii il cassonetto e la mia bambola sparì! Quante m in quel mio mamma, e quante lacrime nel mio piangere.., ancora adesso.

Però sono stata brava, forte, forse anche troppo, gli eroi non servivano e non servono…ecco come mi sento spesso: un piccolo eroe inutile, senza bambola….

Ciao Lucia!

Anni: 2016 e 1998 – Nadia

Una voce fuori dal coro – di Nadia Peruzzi

Una da No. Una da Brexit.
Il 2016 che inizialmente aveva determinato un vuoto assoluto di ricordi, si è colorato di molto dopo che Cecilia ci ha sintetizzato una serie di eventi che lo hanno caratterizzato.
Si è rivelato anno interessante. E ho dovuto concludere che è un anno corposo, a tutto tondo, e che sta nelle mie corde più di quanto avrei potuto immaginare facendo affidamento a ricordi che si erano pressochè ridotti a zero.
So da me che si tratta di strane corde, fili sottili che convergono a fare di me una da NO.
Non in senso assoluto, ma in questo scorcio d’epoca e per una serie di questioni che riguardano il mondo in generale e la vita di tutti noi in particolare, considero questo modo di pormi come necessitato. Una linea di autodifesa per un tempo in cui le pressioni al “si deve” stanno diventando opprimenti e prevalenti rispetto al ci è dovuto e dovremmo proprio pretenderlo con uno sforzo collettivo.
Un tempo in cui si orientano i desideri avendo pure la grande e perniciosa capacità di farli passare come scaturiti direttamente da noi. Il sistema un bel pezzo avanti e gli ingranaggi in difficoltà o direttamente ostaggi del divertirsi da morire fatto di gadget colorati e ammiccanti.Questi siamo tutti noi ora più , ora meno.
Stare nel gorgo mi è sempre piaciuto poco. Malgrado sia una strutturata,di fronte a qualunque cosa diventi ripetitiva e parte di un “si deve” mi sento presa prigioniera. Comincia a mancarmi l’aria. Mi accadrebbe anche se con un’amica si definisse un giorno dedicato per trovarsi a parlare o andare al cinema. Già dalla terza volta comincerebbe il mio “dovrei andare, però” .. e tutto prima o poi si incrinerebbe.
Vivo male nel tempo delle pressioni che arrivano da ogni parte a condizionare le nostre vite, del “non ci sono alternative”. Tanto più se lo dicono a reti unificate e a tg con un unico format. Per forza deve essere così, lo diciamo noi. Sottinteso chi sei tu per remare al contrario?
E io? Beh, io quando il coro è al massimo e il numero dei cantanti è ogni giorno più numeroso e quando le spinte a seguire quell’unica strada bella asfaltata e senza buche davanti, quando la ola da stadio dovrebbe proprio partire a squarciagola..beh,io invece mi ritraggo,prendo fiato e lascio che dal profondo esca il Pierino che c’è in me. Quello delle domande scomode, quello che gira in senso antiorario,quello che imbocca il viottolo accanto proprio per cercare di dimostrare prima di tutto a me stessa che le alternative ci sono sempre. La vita è una ricorsa e uno slalom continuo fra alternative piccole o grandi. Eppure nei macrosistemi e sugli schermi dei potenti, nelle loro statistiche a senso unico e come risultanza dei loro maledetti logaritmi chissà perché le alternative non ci sono mai. Il piano B non è mai contemplato. Se lo cerchi, o lo immagini sei ai margini e collocato fra quelli che criticano sempre e non vogliono che il manovratore manovri per il bene di tutti noi! Un rompiballe, in definitiva.
Dalla posizione di autodifesa al ritrovarmi drastica su più di un punto, il passo diventa breve .
Con queste premesse ci ho messo un nanosecondo a diventare una da Brexit. Mica peraltro. Quando il coro si fa assordante e dichiara sfracelli sicuri,preferisco affidarmi al Manzoni e al suo “ai posteri l’ardua sentenza”, democraticamente ha deciso il popolo inglese col voto il resto sarà storia e futuro e qualcuno le somme le tirerà. 
Del resto nel 2015 ero stata una da OKI e in Piazza Syntagma avrei accarezzato l’idea di una vittoria che cercava che si realizzasse il piano B invece della macelleria sociale a cui l’Europa ha deciso invece di condannare la Grecia.


1998
Avevo sfiorato col pensiero gli anni belli, forse per autoprotezione. Cercavo di far scorrere la pellicola avanti e indietro andando a pescare anni più o meno recenti , ma non quello.
Poi ..ho varcato il mio Rubicone e costi quel che costi ho deciso per questo anno.
Anno brutto davvero, di dolore profondo di quello che non si cancella con nessun colpo di spugna e anche se giri la testa quello te la invade quando meno te lo aspetti e scatena temporali e anche il cuore si appesantisce. 
Il cassetto di fondo non sarà mai pronto per questo anno e per i ricordi che si porta dietro.
Fu di luglio.
Il mese che era stato di nascita è stato anche quello che ha segnato la fine.Sulla lapide la scritta è impietosa: 13 luglio 1953/12 luglio 1998.
Il terzetto, che poi era un quintetto visto che abitavamo con i miei , ha smesso di suonare come insieme coordinato e unito.Il violino non c’era più.
La vita scorre. Tutto scorre, prosegue, costringe a percorrere strade che non avevi immaginato e trascina pure laddove la salita è più ardua e faticosa. Andare avanti nonostante tutto, cercando in te la forza che nemmeno credevi di avere.
Andare avanti , nonostante tutto , con a fianco un’assenza fin troppo presente. E’ per fare in modo che la ferita non sanguini troppo che preferisco che il pensiero vada ai tanti anni prima di questo, in cui serenità , allegria e impegno comune, hanno segnato il nostro percorso.

Anni: 2016 e 1962 – Lucia

La vita cambia e scorre – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Anno 2016

È cambiata la mia vita nel 2016
Un cambiamento radicale
come spegnere o accendere
la luce in una stanza
Nel 2016 ho finito di lavorare
Dopo quarantacinque anni
le voci dei bambini non
hanno più riempito le mie giornate
non più voci di bambini non più voci di
mamme per lo più ansiose
non più voci di colleghe
Quarantacinque anni di voci di sono spente
proprio come si spegne la luce in una stanza
Da un giorno all’altro mi sono trovata
in un’altra dimensione
La luce era spenta ma non era buio
Mi sentivo inondata da una nuova luce
Ho potuto assaporare il piacere della lentezza che non avevo mai conosciuto
Ero stata sempre di corsa
Corse per prendere il treno
Corse per arrivare puntuale al lavoro
Corse per adempiere a tutto quello che era necessario fare nella mia lunghissima
giornata di corsa
Improvvisamente mi sembrava di vivere
in un modo di beatitudine assoluta
La mia colazione seduta al tavolo che
durava tutto il tempo che volevo
Aprire le finestre guardare il cielo e
stabilire quale cosa all’aperto avrei
voluto fare
Lentezza lentezza meravigliosa lentezza

Continua a essere così
continuo ad assaporare il piacere di
poter scegliere come utilizzare il mio tempo
di questa mia nuova vita
Cosa mi manca?
Ci sono giorni così pieni di piccole o grandi
cose belle che non mi manca niente
Altri giorni sento forte forte una mancanza:
la mancanza di voci.

Anno 1962

foto di Lucia Bettoni


Per andare alla scuola elementare
percorrevo una strada tra i campi
i boschi e un viale di cipressi
Una strada lunga tre chilometri
Ho sempre percorso da sola
con la mia cartella quella strada
Soltanto il primo giorno di scuola mio padre
mi accompagnava con il motorino
Era l’unica volta
Quella strada era lunghissima
per la piccola Lucia