Il grammofono di Lucia

Il grammofono – di Lucia Bettoni

Foto e oggetti di Lucia Bettoni

Vestite di sorrisi
giovani donne
Con abiti stirati
danzano la gioia

Giovani uomini
Si fanno belli
Con la camicia e
la sigaretta in mano

Amici da sempre
tutti insieme
questa sera saranno ovunque
Questa sera andranno ovunque

Il grammofono suona
guizzi di vita dentro il cuore
Voglia di ballare

Così lontani così vicini
vi abbraccio tutti
ragazzi cari

Il più bello sarà mio padre

Mani che accarezzano

Mani – di Vanna Bigazzi

Foto di Couleur da Pixabay

Un’altra sosta – (poesia di Antonia Pozzi)

Appoggiami la testa sulla spalla:

ch’io ti accarezzi con un gesto lento,

come se la mia mano accompagnasse

una lunga invisibile gugliata.

Non sul tuo capo solo: su ogni fronte

che dolga di tormento e di stanchezza

scendono queste mie carezze cieche,

come foglie ingiallite d’autunno

in una pozza che riflette il cielo.

Mani che accarezzano – (di Vanna Bigazzi)

Le mani offendono, rubano, uccidono, ma anche accarezzano. Questa è una dolcissima Poesia di Antonia Pozzi, Poeta incompresa che morì suicida, molto giovane, a soli ventisei anni perché ostacolata dalla famiglia nelle sue relazioni amorose e  delusa dall’ambiente culturale che all’epoca non valorizzava la sua Poesia, per indifferenza, sminuendo, in genere, l’arte femminile. Siamo negli anni ’30 del ‘900. Visse infatti dal 1912 al 1938. In questa Poesia percepiamo tutto il calore di una carezza e al medesimo tempo la sua vacuità: specchio della delusione della giovanissima Antonia.

In tanti modi può accarezzare una mano: “se appoggi lievemente la testa sulla mia spalla, io ti accarezzo lentamente, faccio scivolare la mia mano, piano, perché possa percepire ogni linea, ogni curva, ogni espressione del tuo volto. Una carezza interminabile lungo un profilo senza fine. Queste carezze eterne e universali, non percorrono solo la tua testa, ma ogni fronte, ogni volto di chi soffre; cieche carezze poiché non volte ad un fine realizzabile. Vagano tristi come foglie ingiallite, d’autunno, che non guardano il cielo ma cadono in una pozzanghera d’acqua, cui è concesso soltanto riflettere il cielo. L’amore sognato e mai realizzato. Solo uno specchio: il riflesso dell’Amore quando non lo si può avere…”.

Questa è solo una mia interpretazione, perché quando Antonia Pozzi scrisse questa Poesia, aveva soltanto diciassette anni ed era rivolta ad una amica. Ho colto, invece, nella tristezza degli ultimi versi, quasi una premonizione di una fine amara e dolorosa che avverrà più tardi, in seguito ad esperienze di amori soffocati e disillusi.