Lettera scritta a mano da Sandra Conticini


Lettera scritta a mano da Sandra Conticini


La zia Spaventapasseri – di Nadia Peruzzi

Radunò un cappellaccio di paglia un po’ sformato, una camicia scozzese rossa e gialla, una gonna con pettorina di panno nero . Per gli stecchi che facevano da gambe scovò dei vecchi calzettoni di lana grossa lavorata a mano che avevano visto molti inverni e fin troppe tarme dati i buchi che li costellavano, e dei vecchi scarponi da lavoro con la suola mezza staccata. Tutta roba ordinaria che puzzava di naftalina o di muffa e che nemmeno sapeva come fosse finita in quella soffitta e in quel baule. Per quanto ricordasse non erano dei suoi genitori. Forse per il cappello qualche dubbio le era venuto, ma il resto doveva essere della zia Jole. Anzi quella gran megera della zia Jole, la sorella del babbo, quella che viveva in Sudamerica e per fortuna veniva di rado a trovarli.
Quando capitava, il disastro era assicurato, visto che da sempre lei e sua madre non si potevano soffrire.
Donna terribile la zia Jole. Invidiosa di tutto e di tutti, soprattutto della felicità altrui e per questo non faceva altro che mettere zizzania.
Le rare volte che si presentava da loro sbatteva in faccia a tutti le ricchezze cumulate in Argentina schiavizzando a destra e a manca chi lavorava per lei.
Una brutta, bruttissima persona davvero.
Si, decise, lo spaventapasseri avrebbe indossato gli abiti della Jole, quella che la maltrattava sempre e che lei non sopportava fin da bambina. La temeva così tanto che appena sentiva la sua voce andava a nascondersi nell’angolo più buio della casa. Ma la Jole sembrava avesse un radar incorporato nel cervello. La beccava sempre e appena trovata le dava un pizzicotto a sangue che le lasciava un livido per giorni sulla guancia sfortunata. Insopportabile quella donna che metteva bocca su tutto. Risultati a scuola, passioncelle, amiche e non le lasciava passare nulla trovandole mille difetti. E il taglio dei capelli, e il trucco e i vestiti e il portamento.
Ogni anno che passava oltretutto peggiorava a vista d’occhio.
Per fortuna, da dopo che era partita, vuoi per la rarefazione delle visite, vuoi perché cresceva lei, man mano, si stava emancipando dal terrore viscerale che provava per quella donna.
Si, i vestiti della Jole, penso’, sarebbero stati ottimi per spaventare gli uccelli predatori di fragole, cacciandoli dall’orto.
Sotto il cappello infilò dei finti capelli fatti con lana grezza di un colore che tendeva al giallo. Adattissimi visto il color frittata che la Jole aveva in testa l’ultima volta che si era presentata a casa. Doveva esser di gran moda laggiù nella pampa, ma del tutto improponibile per una qualsiasi parrucchiera alle nostre latitudini.
La scopa di saggina era già nell’orto e con quella completò la sua opera.
Bel lavoro, si disse. Poi pensò anche ad un ultimo tocco. Per quello più che agli uccelli predatori da scacciare, aveva pensato a sé stessa e alla soddisfazione che voleva trarne tutte le volte che sarebbe entrata nell’orto.
Andò a rovistare fra le foto di famiglia e la trovò la foto della zia Jole di qualche anno prima.
Faccia truce senza l’ombra di un sorriso, abito nero, brutta come il peccato, occhi che stillavano cattiveria a un metro di distanza. Ne fece fare un ingrandimento, la plastificò perché non si sciupasse e rimanesse visibile e la piazzò sotto il cappello per dare a quell’ammasso di cenci anche un volto.
Gli uccelli si sarebbero tenuti alla larga di sicuro.
Lei si sarebbe presa le sue belle rivincite a distanza.
A quella velenosa ogni giorno ne avrebbe cantate minimo minimo quattro o cinque, vendicando man mano ogni angheria, ogni spavento ogni boccone amaro cumulato nel corso degli anni.
Andò proprio come si aspettava. Talora le urlava contro. Quasi meglio che andare a spendere in sedute di psicoterapia, si diceva ogni volta.
A seconda dei giorni e dell’umore, delle preoccupazioni da scacciare si portava dietro talora un bersaglio, talora un altro per potergli lanciare freccette vere o metaforiche.
Un toccasana. Bastava poco per sentirsi liberata dall’energia negativa con la quale arrivava nell’orto.
Ci vollero diverso tempo e molte molte freccette per esorcizzare quella bestia di donna.
Di uccelli predatori di fragole non se ne videro più. La sua anima si era fatta via via più leggera. Finalmente i conti con le ferite inflitte da quella virago al suo ego bambino erano stati fatti.
Ogni pacchianeria arrivata in dono peloso era stata man mano confinata ai piedi dello spaventapasseri e consegnata alle intemperie. Anche quella gran crosta di pseudo paesaggio Imitazione dei Macchiaioli arrivato in dono per il suo diciottesimo compleanno se ne stava li a perdere colore ogni giorno che passava.
Quando finì il tempo delle fragole decise di smontare lo spaventapasseri. Buttò via tutto il ciarpame accumulato ai suoi piedi. Bruciò la foto della Jole. Conservò solo il cappello, anche perché si era convinta che fosse appartenuto a suo padre.
L’anno prossimo, pensò, sarebbe venuto benissimo in testa al nuovo spaventapasseri. Allegro, si disse. Il nuovo spaventapasseri sarebbe stato il massimo dell’allegria. Pieno di colori e buffo quanto mai. Di paure e di dolori da esorcizzare non ne aveva più. E tanti saluti alla zia Jole. .