Un cappello per ogni stagione

L’uomo col cappello – di Carmela De Pilla

Era ancora giovane e pieno di energia Enzo Zaccagna tanto che si poteva permettere di dormire quattro o cinque ore e lavorarne venti, senza sosta né fatica, così…come fosse normale.

La sua famiglia, profughi fin dal settecento dall’Albania, si era rifugiata in quel piccolo paese della Puglia settentrionale e col tempo, grandi lavoratori quali erano diventarono ricchi  proprietari terrieri.

Celebre avvocato e ultimo discendente, aveva fatto prosperare il suo già inestimabile patrimonio fino a diventare agli inizi del novecento l’uomo più ricco e più colto della Capitanata.

Il suo fisico robusto e ben piazzato nascondeva un animo generoso e altruista abbastanza insolito nell’alta borghesia del tempo, tutti rimanevano stregati dal suo fascino rupestre e allo stesso tempo aristocratico, i suoi folti baffi neri dal riccio finale fatti crescere secondo la moda del momento erano tenuti sempre ben curati con la cera, ma ciò che lo caratterizzava era senza alcun dubbio il cappello, ne aveva uno per ogni occasione e per ogni stagione.

Quello che amava di più era la coppola, di fresco lino d’estate o di lana d’inverno, la metteva quando si recava in campagna dai suoi contadini “Mi sento uno di loro, li capisco di più e loro non mi vedono come il padrone autoritario e prepotente, ma come un compare” diceva quando sua madre gli faceva notare che non poteva presentarsi ai suoi braccianti come uno zappatore qualunque.

Lui non se ne vergognava anzi ne era fiero, me lo ricordo ancora quando lo accompagnavo col calesse alla masseria, si confondeva tra loro con il vestito di velluto a coste marrone e l’ inseparabile coppola, andava nelle stalle per controllare gli animali o discutere sulla semina del grano.

-Buongiorno don Vincenzino, quest’anno dobbiamo festeggiare, ci sarà un buon raccolto!

 Così lo chiamavano, per loro non era il padrone, era affettuosamente Don Vincenzino.

Fu proprio in quella masseria che conobbe Caterina, quasi coetanei e cresciuti insieme fin da ragazzini scorrazzavano spensierati nei campi, ma col tempo le cose cambiarono, lei era diventata una donna dalla bellezza selvaggia e un po’ maliziosa e i lunghi capelli neri volutamente lasciati sciolti mettevano in luce il suo spirito ribelle.

Con la gonnella dai colori sgargianti e il corpetto allacciato ben stretto sembrava una gitana e quel giorno la vide come fosse la prima volta, con la conca in testa e una mano sul fianco camminava scalza sulla terra rossa mettendo in risalto le sue linee morbide e sinuose e, non si sa come, da quel momento la guardò con occhi diversi.

Era amato e rispettato da tutti Don Vincenzino, gioviale e pronto alla battuta con i suoi contadini, serio e impettito  con i suoi amici dell’alta aristocrazia.

Nel grande salone del suo palazzo allestiva feste con gli uomini più ricchi e potenti del territorio per intrecciare nuove amicizie e proficui affari, impeccabile nella sua redingote grigio antracite, la camicia bianca con il colletto ben inamidato e il papillon nero, non mancava naturalmente il cappello che in queste occasioni era il cilindro.

Sotto il caldo afoso delle lunghe giornate estive amava portare il fresco Panama o la Paglietta fatta venire direttamente da Napoli, seduto davanti al caffè Adriatico con i suoi amici spiccava fra tutti per la sua naturale e raffinata eleganza, composta e mai eccessiva.

Ogni volta sembrava diverso, un’altra persona! Ma la cosa straordinaria era che lui stesso si sentiva diverso e si divertiva a giocare, a creare nuovi personaggi che accentuavano ancora di più il suo fascino e la sua popolarità.

Cappelli verdi ….e molto altro

Cappelli in libertà – di Stefania Bonanni

Non è un racconto, e neanche uno scritto, e forse neanche un pensiero costruito con intenzione. Non ha dignità né di fine, né di senso, è  solo quello che vi avrei detto, fossi stata lì con voi in questi due ultimi martedì. La settimana scorsa è stato il pomeriggio del cappello, e vi ho viste belle e divertite, avete passato ore serene, delle quali mi sono arrivate le onde. Mi è  dispiaciuto non esserci, ma ne sono anche un po’ contenta, perché non so se sarei riuscita a non raccontarvi, dei cappelli, un aspetto che non avete preso in considerazione.  L’anno scorso di questi tempi, ero ossessionata dal pensiero che avrei probabilmente dovuto coprirmi la testa,  se mi avessero rasato i capelli per l’operazione. Poi il chirurgo mi ha promesso che avrebbe tentato di non tagliare i capelli, ed è riuscito a mantenere la promessa. Perché a giro ci sono cappelli che coprono teste che hanno perso i capelli. Cappelli al posto di capelli. Cappelli indimenticabili, come quello che Anna provava una mattina nella quale le facevo compagnia, nel periodo in cui si curava. Provava un cappello stretto sulla testa, e quando se lo è tolto, era completamente foderato dai suoi capelli, che, tutti insieme, erano caduti e rimasti attaccati al cappello. Fu uno schiaffo violento, uno shock di dolore e pudore, mi turbo’ in qualche modo aver turbato un’intimità, essere stata testimone di una profanazione. Lei si disse contenta ci fossi, a farle compagnia in questa nascita da uccellino senza piume. Da quel monento, mise la parrucca, senza lamentarsi e con un pizzico di civetteria, che era vita, coraggio, e speranza. Anna è guarita, anche grazie al tempo passato con noi, sono sicura.

Poi una strana considerazione, suscitata dall’argomento cappello. In realtà,  abbiamo sempre la testa coperta. Dall’ombrello, dal tetto delle nostre case, dall’ombrellone che ci ripara dal sole, dal tettino della macchina. Dall’ombra degli alberi. E, quando siamo liberi, all’aperto, sull’erba, sulla sabbia, cullati dalle onde, abbiamo sulla testa, più di noi ed oltre, il più azzurro, evanescente, nuvoloso, stellato,  magico, mistico, inafferrabile e onnipresente, a volte addirittura attraversato da ponti colorati,  compagno della vita. Abbraccio su cui si può contare, pensiero di certezza misteriosa, cielo che copre ed avvolge, come la copertina di lana tenera che si usa per i bambini piccoli. Presente , ma disposto a farsi materia solo per chi ha bisogno di rivolgersi al suo cielo, mai uguale ad ieri, a volte turbolento,  a volte pauroso, ma sempre lì,  per chi ha bisogno, per chi lo guarda con gli occhi rivolti all’insu’. Per chi sogna con le stelle, fa l’amore con la luna, piange con le sue lacrime di pioggia, si lascia imbiancare i capelli dai suoi fiocchi di gelo, si affida al suo vento, lasciando che trasporti baci e voci, per il mondo, e chissa’, forse anche più in su. Un cappello di cielo e magia, tra i piccoli uomini e l’immensità.

Visto che sono a raccontare i pensieri bislacchi nati dal cappello (che fosse di un prestigiatore?), penso che il cappello sia servito per alzarsi più su della massa. Portava il cappello, chi rappresentava l’autorità.  Nel mio paesino di bambina, solo tre persone avevano il cappello, e tutte e tre abbinato a vestiti neri, come se fosse il nero e l’altezza data dal cappello, a dover subito far impressione. Portava una gran tonaca lunga fino ai piedi e svolazzante, il prete, e sulla testa un cappello bombato che somigliava ad un pentolino. Con un po’ po’ di divisa nera con bottoni d’oro e bande rosse, francamente sproporzionata alla delinquenza locale, con tanto di cappello simile alla feluca di Napoleone, ogni tanto faceva mostra di sé il maresciallo dei carabinieri. Ultimo, come l’eccezione che conferma la regola, ultimo vestito di nero e con il cappello con la visiera bordata d’oro, nientepopodinenoche…Corradino, il postino. Che forse, vista la divisa, si considerava un’autorità, come sicuramente avevano grande considerazione del ruolo di rilievo, gli altri due. Avrebbe forse dovuto pensare che, data la statura, se non fosse stato bardato, non sarebbe stato granche’ visibile.

Avevamo un piccolo cane buonissimo, all’epoca, la Tittina, ed evidentemente non si era capito subito che avesse in gran disprezzo i rappresentanti delle istituzioni. Forse incarnava un animo anarchico, fatto sta che ha rincorso solo tre persone, nella vita: naturalmente, il prete, che era il suo preferito, il maresciallo dei carabinieri, e tutti i giorni, Corradino.

Sempre cappelli, perché hanno tutti il cappello, i personaggi del libro di Pinocchio. Ha il cappello Geppetto, ce l’ha il burattino, ha il cappello la fata, hanno altissimi cappelli i carabinieri, ha il cappello il grillo parlante, ed anche l’Omino del paese dei balocchi, e se lo rimettono Pinocchio e Lucignolo per nascondere le orecchie d’asino. Senza aver pretese di analisi , i personaggi che si capisce subito cattivi, non ce l’hanno. Non ce l’ha Mangiafuoco, non ce l’ha il Pescatore, non mi sembra lo abbiano il Gatto e la Volpe. Come dire: non c’è nulla da nascondere, si sa che sono cattivi. Sono pensieri così,  suggestioni.

Poi penserò anche in verde. Ho le pareti verdi, in casa, il bagno piastrellato di verde, maglie, pantaloni, cappotto verde. Il verde sta bene alle more, mi dicevo quell’anno che fu il colore distintivo di una grande casa di moda. Mi comprai un famoso cappotto verde smeraldo che mi piaceva così tanto, che penso sia in assoluto la cosa più cara che ho comprato nella vita e che ora, chissà, potrei riesumare…in realtà nei miei occhi non è mai morto.

La cosa più bella del verde è che si sente spesso dire: “Ma avete visto come è verde,  quel verde? ” come se non bastasse guardarlo, va proprio impresso,  stampato negli occhi. Come se non fosse verde abbastanza,  Come se potesse essere più verde, come se fosse senpre il prato più verde che si sia mai visto,  l’erba più  brillante, quest’anno più dell’anno scorso, di certo meno dell’anno prossimo.Delle piante si magnifica il verde,  Non siamo disposti a tollerare foglie gialle o marroni, eppure vivono delle stagioni,  Come noi, come tutti. Ma noi le vogliamo verdi, brillanti,  lucide, alla fine, vive. E non ci piace quello che pure è vita, delle piante che si disfanno nella  terra, marciscono. Perché è verde, anche il verde marcio.

Verde chakra

Verde chakra – di Laura Galgani

Verde Chakra
La superficie del lago appena increspata dal vento era scura, di un verde cupo, ma rifletteva la falce di luna e le tremolanti stelle dell’Orsa Maggiore che ancora brillavano fra le cime rocciose spolverate di neve primaverile.
Il cielo stava schiarendo, la semioscurità non si stendeva uniforme sul paesaggio: ad est un vago chiarore lasciava presagire l’aurora e le montagne dirimpetto godevano di scintille di luce provenienti da molto
lontano.
Intorno alla riva alti abeti e larici dai freschi germogli formavano un folto mantello a proteggere il sottobosco lieto della presenza di piccole creature palpitanti.
Con passo lento e leggero un essere di rara bellezza lambiva la sponda del lago e con gesti appena accennati salutava quel mondo sfiorando ogni cosa. Accarezzava con la punta delle dita l’erba verde brillante del sottobosco, bagnandosele di rugiada. Al suo tocco il prato smeraldo gioiva e le rispondeva
regalandole il profumo della ricca terra in cui crescevano le sue radici. Sfiorava le cortecce dei tronchi sentendone i nodi e le asperità sotto i polpastrelli. I freschi germogli accesi di luce e di vita le donavano l’aroma amarognolo di resine ambrate. Si chinava ad immergere le dita sottili nell’acqua del lago che già schiariva nel verde brillante della luce rosata da est. E subito dall’acqua le Ondine la salutavano e liberavano il suo cuore da ogni passato dolore.
E quando il vento che preannunciava il sorgere del sole arrivò, facendole volare i capelli dalla fronte, lei si strinse un momento nello scialle di organza e chiuse gli occhi per respirare forte quel soffio di vita. Poi li riaprì, si lasciò abbracciare dal primo raggio di sole che dal fianco della montagna inondava tutto di luce.
Ogni cosa si mise a cantare all’arrivo del sole: l’acqua del lago si rischiarò e i grandi alberi si stagliarono netti sull’opposta riva specchiando il loro verde lucente sulla superficie dell’acqua. Ogni spicchio di prato ondeggiava appena come sotto la carezza di una mano amorevole. Le poche nubi bianche passando sul lago si specchiavano e si tuffavano nel lago diventando di un verde acqua trasparente. Lei si fermò a contemplare il sole fattosi ormai sfera perfetta.
Dal bosco silenzioso una cerva fece capolino. Si voltò a guardare la dolce creatura con occhi grandi che sapevano d’amore. Anche lei la guardò e sentì che tutto era perfetto. Da quel lago, da quel bosco, da quel cerchio reso ancor più perfetto da 12 piccole insenature che sembravano petali, dall’incontro con gli occhi di cerva stava nascendo l’Amore, l’Amore puro, l’Amore che non trattiene né vuole niente per sé, l’Amore che dona, che dà senza sosta, proprio come il sole, senza chiedersi perché…