Giallo difficile – di Gabriella Crisafulli
Erano due settimane che ci girava intorno: no, lei con quel colore non voleva avere nulla a che fare.
Nel bene e nel male era stato un protagonista importante della sua vita ma non ne voleva più sapere.
Ripassava mentalmente le puntate, felici e non, della serie.
Giallo era il sole a “La Torre” di Mondello che splendeva sfarzoso alle spalle del suo amore.
Gialli erano gli stivali e l’impermeabile che indossava in Costa Smeralda.
Gialla era la tappezzeria del divano della cameretta di Napoli su cui si era seduta la nonna Giuseppina con la gonna imbrattata di vernice rossa.
Gialli erano i tulipani che riceveva per il suo compleanno.
Gialla era la mobilia della Casa dei Bambini e gialle le perle del multibase Montessori.
Gialli i copriletti e le poltrone della stanza degli ospiti.
Gialle le panchine che si portava dietro in ogni scuola dove andava ad insegnare.
…
Ma c’erano anche capitoli dolorosi.
Giallo era il terreno coltivato a grano che le si era parato davanti a Messina al primo sbarco in Sicilia dove aveva misurato l’intensità del rimpianto per la terra perduta.
Giallo era il campo di addestramento militare di Como dove andava con l’attendente.
Giallo era il vestito a quadretti di sua sorella con le maniche a palloncino.
Giallo era lo spazio esistenziale di una infanzia vissuta per dogmi, al di fuori del mondo.
Giallo è il trauma quando non scorre il sangue: è il colore del livido sotto la pelle.
Gialli erano i fiori di ginestra e di mimosa che causavano gravi attacchi di asma.
Giallo era il colorito del viso e del bulbo oculare quando aveva avuto l’epatite durante la prima gravidanza.
Gialla era la sacca che pendeva di fianco al letto: all’improvviso si era macchiata di rosso. Lei avrebbe dovuto capire e invece si era fatta convincere da quella splendida creatura comparsa a notte fonda, ad andare a casa a dormire.
…
Negli anni felici, gialla era stata la rivalsa: ti metti un cappello in testa, ti guardi intorno con sguardo impertinente e vivi serena. Dimentichi pene, fatiche e godi il presente giorno dopo giorno.
Non aveva scelto la strada giusta.
L’errore era stato vedere le persone come desiderava che fossero e non come erano veramente.
E adesso non aveva voglia di sfogliare l’album del passato.
Non aveva voglia di ritornare alla sua storia.
Non voleva sentirsi preda della grande tristezza che la riportava indietro rendendola immobile e impotente.
Non voleva rotolarsi nella malinconia.
Era in cammino da ieri a oggi.
Si era accollato un grande peso per sé e per la sua famiglia.
Si era fatta carico di una storia complessa.
E andava, andava, cercando un senso in ciò che era stato.
La verità le faceva male.
E poi le persone non credevano alla sua verità perché le apparenze erano contro di lei: non aveva testimoni.
…
Era alla terza puntata e procedeva dal dentro al fuori con il vento in faccia.
Come la statua di Porta Romana che alcuni chiamano “la squilibrata” per via dell’enorme peso che le grava sul capo ma che Michelangelo Pistoletto ha intitolato “Dietrofront”.
In quell’opera nulla è come sembra.
In quella donna c’è la circolarità tra passato e futuro.
Ora gialli erano i suoi capelli.