Un cappello per curare

LA SIGNORA DAI MILLE CAPPELLI – di Sandra Conticini

Era tornata da poco tempo in quel condominio, nessuno la conosceva bene.

Quando incontrava qualcuno per le scale salutava educatamente, ma non si fermava a parlare, andava via dritta per la sua strada. Era una bella signora sui sessant’anni, forse qualcosa di più, sempre ben vestita, curata e non l’avevano mai vista uscire senza cappello. Li aveva di tutti i tipi e di tutti i colori, per l’inverno cappelli di pelliccia dei più svariati colori, ma anche di lana, di feltro, baschi e in primavera estate cappelli di cotone fatti a mano o di paglia con fiori, bottoni, perline ma anche molto eleganti di raso, di seta con tese più o meno grandi, insomma si capiva che al cappello non ci poteva rinunciare. La mattina in genere usciva sempre molto presto e spesso in una borsa si poteva intravedere qualche altro cappello colorato, con le piume, con gli occhi, con tralci di fiori di plastica.

Questa persona era diventata quasi un’attrazione in un condominio dove da decenni  gli abitanti erano sempre gli stessi, così quando la sentivano uscire  la spiavano da dietro le persiane o si affacciavano alla finestre e ai balconi poi rientrando in casa dicevano: Oh chissà che giri l’avrà quella del quarto piano che tutti i giorni esce tutta ripicchiata… E tutti quei cappelli??? Mah! per me c’è sotto qualcosa!

Questa storia durò per un po’, finchè un giorno tornando a casa Elena, questo era il nome della signora, trovò un signore del palazzo in terra così l’aiutò a rialzarsi, lo medicò e gli fece tutto quello di cui aveva bisogno, eh sì perchè lei era una dottoressa ormai in pensione e tutte lemattine usciva per andare all’ospedale dove c’erano bambini con malattie molto importanti e tutti quei cappelli che aveva o si portava dietro servivano per farli giocare e sorridere.

Da quel giorno nessuno ebbe il coraggio di dire più niente, anzi: era diventata la più amata persona del palazzo …

Cappello spaziale

Cappello spaziale – di Luca Di Volo

Sentite un po’ cos’è successo ad un mio amico napoletano…Il racconto me l’ha scritto lui inviandomelo per posta…(posta?!) da un posto che non avevo mai sentito nominare…E anche in caratteri illeggibili…comunque,  il resto era in Italiano e si capiva bene,  anche perché questo mio amico sapeva scrivere benissimo,  dato che era il suo lavoro..

Insomma..ecco qua..

“Caro Luca…”questo l’incipit…”Caro Luca,

Forse non crederai nulla di quanto ti racconto…e per la verità,  anch’io non so se crederci o no..Comunque,  questi sono i fatti…

Tu sai quanto mi sia sempre piaciuto passeggiare in via Caracciolo,  poi svoltare in via Chiaia..e addentrarmi per le fantastiche stradine che portano al centro di questa incredibile città…Tanta era l’abitudine che,  come sai,  avevo preso a memorizzare tutti i negozietti..i caffè…(i migliori del mondo,  dicono…), salutandoli tutti come vecchi amici,  sempre presenti e confortanti con la loro rassicurante presenza.

Fu così che non mi sfuggì un negozietto,  piccolo ma dall’aria molto elegante e un po’,  come dire…fuori contesto ..Quello che mi colpì però fu l’insegna…che in sé non aveva niente di strano..Una scritta luminosa,  lampeggiante,  di  un bel verde un po’ pacchiana forse…ma raggiungeva lo scopo.. Rimasi fermo,  un po’ anche lievemente stralunato a causa di quello che si leggeva in bei caratteri tondeggianti…Già…perché l’insegna proclamava: ”I più bei cappelli da viaggio di tutta  la Galassia conosciuta” e,  più sotto,  in piccolo: ”Non negatevi quello che avete sempre sognato,  emozionante,  sicuro,  alla portata di tutti”.

Irresistibilmente attirato da quel cartello non potei fare a meno di avvicinarmi e guardare nella vetrina. Quello che mi agitava era quella parola.. ”di tutta la Galassia conosciuta..” Ormai sapevo quante parole e quante espressioni iperboliche erano entrate nell’uso comune..uno spettacolo “galattico”..una star “galattica”…ma un cappello “galattico”?! Mah!!

Guardai dunque dentro la vetrina.

All’interno,  in modo elegante,  erano esposti cappelli di tutte le fogge e dimensioni.

Alcune erano davvero strane…ma la moda..si sa..Però un cappello enorme a tre punte..un altro con una tesa larga tre metri?! Forse erano davvero al limite…

Comunque entrai.

L’interno appariva elegante, ma abbastanza comune..Dietro il bancone il commesso..o il proprietario..mi accolse gentilmente..quasi con calore. ”Buongiorno signore.., ha visto che bei cappelli..?! Ed è solo un piccolo campione..in magazzino ne abbiamo tanti altri..per tutti i gusti..ne ha in mente uno in particolare?!”

Per la verità ce l’avevo…un cappello da uomo, a tesa larga..di un tessuto cangiante..molto chic…

Il vecchieeto si fregò le mani..”Aah..vedo che il signore ha buon gusto..che misura?!”. Gliela dissi..e lui entrò un attimo nel retrobottega portandomi  il cappello che da vicino era ancora più affascinante e soprattutto mi calzava come un guanto..

Ma lo strano bottegaio aveva ancora qualche segreto da svelarmi..

Mi si avvicinò con fare furtivo e a bassa voce..guardandosi intorno con circospezione dopo essersi schiarito la voce..”Ehm…” disse..Oddìo pensai..sarà mica merce rubata..?!

Ma mi tranquillizzai subito..”Ehm..guardi che questo cappello, in realtà, ha doti davvero non comuni..”Lo rovesciò e mi fece vedere, ben nascosti nella seta della fodera, due ..pulsanti..?!Sì, due pulsanti..uno rosso ..e uno verde.. Contemporaneamente mi consegnò un…un cellulare..almeno lo sembrava..Il display però non somigliava agli altri..c’erano scritte luminose con i nomi di molte città e paesi del mondo…forse tutti..

L’ometto sogghignò..”Appena fuori, prema il pulsante verde..dopo aver scelto un …un posto..e vedrà..provare per credere..”

Pover’uomo..era matto..non lo si sarebbe detto..sembrava così normale…

Però il cappello era davvero una bellezza…”Quanto costa?!”

“Ehm ..trenta..ohg…bsz…euro, ecco euro..trenta euro…”Anche se non aveva le qualità farneticate, era un prezzo incredibilmente buono per quella qualità..quasi regalato..

Pagai e, salutandomi, l’omino mi fece un’ultima raccomandazione..sempre con quel fare furtivo e con gli occhietti saltellanti.. ”Ehm…mi raccomando..qualunque cosa succeda..qualunque cosa..non prema mai…dico mai..il pulsante rosso..quello è per altre funzioni, che forse la spaventerebbero…mi raccomando..mi creda..”

Uscii nel sole di via Chiaia…ripiombando nel chiasso e nel ronzio vitale del mio mondo…

Però non seppi resistere..sarà stato sicuramente matto quel cappellaio..ma ..a provare non si rischia nulla.

Mi misi il cappello.., scelsi a caso una località..la città di Adelaide, in Australia. E premetti il pulsante verde.

Lì per lì sembrò tutto uguale..nessun cambiamento…però..intanto il Vesuvio era sparito..e faceva un gran caldo..L’Estate Australe..

Forse quello strano individuo non era proprio matto completo..solo un po’..come quel cappello, quello sì matto da legare..e io con lui..

Però volli riprovare..il Taji Mahal..la Muraglia Cinese, i templi di Lhasa, in Tibet..

Decisi di fermarmi, e di ritornare dove tutto questo era cominciato..Spinsi di nuovo il pulsante verde. Ed ecco via Chiaia..ed ecco…no..il negozietto non c’era più…sparito. Al suo posto un anonimo bar..

Però…però..ai due lati del locale sostavano con aria indifferente due tizi…che noi napoletani impariamo a sentire a fiuto..sbirri..forse di un altro paese, stranieri..ma..sbirri, senza il minimo dubbio..

Feci per entrare nel Bar..ma mi si affiancarono subito…anche la tattica era da sbirri..un classico…Piedipiatti un po’ strani, però..la pelle sembrava non aderire bene al tessuto sottostante, sembrava un velo floscio, e anche gli occhiali neri..va beh, questi ce li avevano tutti i piedipiatti di questo mondo..e forse anche degli altri…che strano pensiero..

Però parlavano un Italiano perfetto, senza inflessioni..totalmente asettico, tanto che un brivido freddo mi corse nella schiena..

“Il signor         Marcello Volpi?!” .Era un’affermazione, non una domanda.. ”Buongiorno..ci risulta che lei stamani abbia acquistato un cappello da un certo signore..uno straniero per la precisione..”

“Sì, vero, tranne il fatto che a me non sembrava tanto straniero..”

Si guardarono. Quello che doveva essere il capo parlò: ”Ci dispiace ma dovrà restituirci il cappello..il venditore non aveva la licenza per attività commerciali in questo…in questo..pia…in questo posto, insomma..”

Io, manco a dirlo, non ero per niente d’accordo..il cappello l’avevo pagato regolarmente..Glielo dissi, ma tutto quel che mi dissero fu: ”ci dispiace davvero signore-questa l’avevo già sentita..-le restituiremo il prezzo pagato più qualcosa per il suo disturbo”…Eh no, noi napoletani non ci frega nessuno..figuriamoci due sbirri da chissà dove..Afferrai il cappello e mi misi a correre…E loro dietro..Vidi subito che erano molto più veloci di me..ma io quei vicoli li conoscevo bene..infatti mi rifugiai in una viuzza dove credevo di averli seminati…e invece mi erano alle calcagna e non mollavano..Mi afferrarono..e fu allora che, vedendomi perso, in preda alla disperazione..feci quello che non avrei dovuto mai fare: premetti il pulsante rosso…

L’effetto fu stupefacente….questa volta  vidi subito che il cambiamento c’era stato…sconvolgente..Ti dico solo che il quel posto bellissimo in cielo c’erano due Soli..uno giallo come il nostro, l’altro un po’ meno luminoso, di un delizioso color arancio..

Non ti descrivo il panorama..il vento, gli animali…troppo lungo e difficile..

Ti basti sapere che in quel momento nel cellulare si accese una scheda che non avevo mai visto..e qui i nomi erano davvero stupefacenti…Altair 4…Canopo 2….Achernar 18….Allora era quello il vero Gran Tour Galattico…E nonostante fossi inseguito ancora dai piedipiatti…magari Galattici anche loro….mi preparai  ad intraprendere il più grande giro attraverso l’Universo conosciuto che nessuna agenzia di viaggi di quel banale pianeta che era la Terra avrebbe mai proposto…

E ora, nel salutarti, mi chiedo…ma se fossi io a fondare la prima Agenzia di viaggi Intergalattica?! Certo, prima o poi gli sbirri mi avrebbero ritrovato..lo fanno sempre….Ma..ci sarà la prescrizione nel Codice Penale Galattico.?!.se c’è sono salvo..tra 200 miliardi di stelle e un miliardo di miliardi di Galassie..ma quando mi trovano…?!

Un abbraccio dal tuo Marcello.

PS.D’ora in poi c/o Agenzia Galattica Viaggi Interspaziali, terzo pianeta di  Fomhalahut. Ciao!!

La pagina delle favole

Il bambino volante

testo di Cecilia Trinci e disegni di Monica Trinci

Questa storia è stata scritta e disegnata da una nonna e da una zia per un bambino magico durante il primo lockdown, quando la nostalgia dei nipotini era molto forte. Allora è nata questa favola, ispirata ad una storia vera, perché davvero Simone è un bambino volante, sempre a testa in giù!

C’era una volta un bambino che non riusciva a camminare lentamente,

a passo normale.

Quando si spostava da una stanza all’altra non riusciva a mettere un piede dopo l’altro…

appena appoggiava la scarpa sul pavimento, dalla suola usciva una molla che appena toccava terra……zamp!

Spingeva il bambino verso il soffitto e lui,

appena preso il volo

girava in aria vorticosamente,

e poi batteva contro le pareti

e doveva appoggiarsi con le mani per non prendere dei colpi troppo forti.

Roteava e roteava in aria

Su giù,

qua, là….

Là e qua….

Volava in aria e lui si dimenticava dove stava andando

Si lasciava trasportare da quella forza che veniva su dalle molle delle sue scarpe…..

E appena finita la spinta e toccava terra

 la molla di nuovo usciva dalle scarpe e lo rispingeva su sempre più su più su…….verso il soffitto

Da lassù vedeva tutto in modo diverso

i disegni sembravano più piccoli

i giochi sembravano diversi

la merenda nel piatto diventava imprendibile

e allora…..

gli veniva subito fame e desiderava acchiapparsi un panino

un toast

un sacchetto di fragole

e cominciava a chiamare la mamma

mammaaaaaaaaaaaaaaaaa

mamma fammi scendere ho fame!

Ma la mamma era in giardino, tra la salvia e il ramerino  e non lo sentiva.

Allora il bambino volante si arrabbiava di brutto

 e si metteva a fare le capriole in aria per cercare di scendere

Saltava, rufolava, cantava, mescolava

Ma niente!

Finché la mamma tornò in casa con un mazzo di salvia e di ramerino

Vide il suo bambino impigliato nel soffitto e lo chiamò:

Simo!

E a quelle parole, come una magia imprevista, improvvisa, mai vista….

Il bambino crollò giù, sul pavimento.

Ma non si fece male

perché planò sulla sua mamma.

Proprio sul cuore!

Un cappello per volare

Cappelli – di Nadia Peruzzi


Era soffocata dal grigio che aveva attorno in quel gennaio piovoso.
L’anima piegata dall’inerzia e dalla ristrettezza di orizzonti che la schiacciava dentro le mura domestiche, togliendole anche la voglia di sognare.
Attorno a sé vedeva confini, labirinti di bossi alti e spessi che non lasciavano trasparire nemmeno l’aria per respirare.
Stava rimettendo a posto alcune cose nell’armadio e vide i cappelli.
Li aveva acquistati in anni recenti, di varie fogge e colori.
Non tutti le stavano bene, non con tutti si sentiva a suo agio. Il freddo delle giornate invernali, il vento gelido che sferza la faccia e che avevano bisogno di esser mitigati, l’avevano indotta al gran passo.
Così aveva deciso che non poteva più farne a meno. Con alcuni, d’altra parte, riusciva a sentirsi un tipo. Le davano un tocco civettuolo. Non le dispiaceva affatto assumere talvolta un’aria da civetta, lei sempre compassata e sulle sue, tendente a sparire nella folla più che a mettersi in mostra.
Le venne di getto l’idea di provarseli uno dopo l’altro accompagnando ogni prova con smorfie più o meno soddisfatte.
Da sotto la pila dei cappelli sbucò il primo che aveva comprato. Un cappello alla Mary Poppins di calda stoffa di lana a più colori che le restituiva attraverso lo specchio una immagine buffa di sé.
Malgrado l’età era sbarazzina. Si sentì bene sotto quel cappello.
Le arrivò una carica positiva che la costrinse a pensare ad altri mesi di gennaio nei quali il sogno era già in movimento e la fantasia la portava a sbarcare ora qui, ora là mentre si divertiva a buttar giù itinerari di viaggio per i mesi successivi.  
Fossero mete vicine o lontane non importava, l’importante era superare un confine anche mentale per dar corpo in qualche modo ad un oltre.
Sapeva bene che spesso la ricerca che aveva fatto e pure l’itinerario finivano nel cassetto dei sogni non realizzabili, ma il solo fatto di averci dedicato tempo aveva il sapore frizzante dell’avventura.
Non c’era nulla di meglio per attraversare un mese inutile e pure un po’ perfido come gennaio che chiude tutte le feste, spegne le luci dell’albero di natale e ci ripiomba nel tran tran senza prospettive e in più condito di grigiume, pioggia e nebbie.
Potere di un cappello e dell’immaginazione che fa chiudere gli occhi per iniziare a fantasticare.
Un soffio di vento la sollevò in alto ,la finestra si aprì per lasciarla passare. Lei, novella Mary Poppins decise di stare al gioco. Era tutto molto fiabesco e ancor più spericolato ma decise che valeva la pena abbandonarsi a quella strana partita.
Strizzò gli occhi due volte senza avere la minima idea, una volta riaperti dove si sarebbe ritrovata.
Non fu difficile capire.
Era una costellazione di minareti a punteggiare lo spazio sottostante. Istanbul, la città più magica e affascinante fra quelle che aveva visitato sembrava volerla abbracciare.
Un tramonto così rosso non lo aveva visto mai.
Le voci dei bambini nei quartieri, si univano a quelle dei pescatori sul ponte di Galata alla conquista della dose quotidiana di pesci da portare a casa.  Lo stridio dei gabbiani si sovrapponeva all’invadente ronzio dei motori delle navi in transito sul Bosforo.  Poi il mare che la circondava tutta e la carezzava con lo sciacquio delle onde salmastre. Il profumo dei fiori e gli aromi delle spezie accendevano i sensi.  Qualcosa di unico questo immenso ponte a cavallo fra Europa e Asia in cui da millenni si sono incrociati storie, destini, sogni e progetti.
Le voci dei muezzin sparate dagli altoparlanti piazzati sui minareti avevano la meglio su tutto il resto una volta che chiamavano alla preghiera. Alla prima, si univa la seconda e via via le altre in un crescendo che allargava il suo raggio di azione come succede ai cerchi nell’acqua una volta che ci venga lanciato dentro un sasso.
Affascinante e perturbante allo stesso tempo.
Non erano le uniche musiche tuttavia.
Altre si prendevano il loro spazio. Armonie da Mille e una notte declinate in chiave moderna, miscugli di accordi e di scale di note risultato fecondo dell’intreccio di culture e di genti che hanno trovato nel Mediterraneo e nelle sue propaggini verso est il luogo nel quale potersi determinare.  Ci sentiva un po’ Pino Daniele, qualche accenno di Fado portoghese nelle note più tristi, e più di un pizzico di accordi magrebini.
Già le musiche che la portavano lontano. Ecco cos’era. Non aveva spento la tv. Era la fiction turca che stavano trasmettendo. Arrivava tutto da lì. Tolse il cappello. Era calata in terra all’improvviso, mentre la tv in salotto stava raccontando storie al divano vuoto.
Era durato un attimo quel suo volo radente, ma che attimo e che emozioni.
L’infido e inutile gennaio era stato sconfitto mentre sentiva che la voglia di rimettersi in moto ricominciava a bussare prepotentemente alla porta di tutto il suo essere.
Sapeva che avrebbe dovuto tenerla a bada chissà ancora per quanto.
Il suo tempo si sfarinava ogni giorno di più, ma nonostante questo cercava di non cedere a quel pensiero terribile.
Troppe ancora le cose da fare, troppi i sogni da realizzare.
Di arrendersi alla dittatura del tempo incombente lei non aveva nessuna voglia.
Ripose il cappello alla Mary Poppins, ma questa volta lo pose in cima alla pila dei cappelli. Aprendo l’armadio lo avrebbe avuto subito davanti agli occhi.  Un non si sa mai che accendeva scintille nella vita piatta e senza orizzonti che era la sua realtà quotidiana in quel periodo che stava mettendocela tutta a spegnere anche la speranza.