Le cose grandi della piccola città di Nadia

La città  invisibile – di Nadia Peruzzi

Più che una città, un paese, un piccolo paese, anzi.

Tanto piccolo che in alcuni momenti della mia vita mi è sembrato angusto e troppo stretto.  Il visibile di oggi ha sfumato, nascosto o addirittura annullato quello di ieri.

Mette tristezza pensare che ogni cambiamento ha messo sullo sfondo o ha fatto sparire pezzi importanti per questa comunità. E non si tratta solo di edifici. Ma di vita, allegria, volti, occhi, pensieri, sentimenti e sogni.

Erano i gruppi di donne che con i loro telai si ritrovavano in primavera e estate sotto gli alberi del viale a ricamare su tela o raso i loro capolavori.  Fuori dalle case dove abitualmente lavoravano,  nascoste al mondo,  quasi a dichiarare il loro ci siamo e il ruolo importante  e doveva esser loro riconosciuto, come poi avvenne e per legge.

Era la bottega del vinaio sull’angolo di fronte al negozio del parrucchiere, dove io bambina accompagnavo mia nonna a riempire i fiaschi per casa.

Era il lattaio che veniva in fondo alle scale e tu potevi guardare negli occhi e dirgli due parole mentre lui versava il latte nel tegamino che gli porgevi.  Salire le scale  con quello in mano senza versare una goccia del suo contenuto era impresa di cui poi sentirsi fiera, come dopo una delle battaglie  campali  che leggevo nei miei libri di avventure.

Era l’elettricista più improbabile del mondo, il Nanni . Famoso per le sue battute , il suo amore per le belle donne e le sue imprese che hanno girato per anni di bocca in bocca. Quasi un’epopea .

Poi il Pini Ugo, il calzolaio che era stato condannato dal Tribunale speciale durante il fascismo e sua moglie . La Bianca.  Una coppia tutta da ridere. Si narra che una volta cercando di tagliare il pollo con coltello e forchetta quello finisse direttamente sotto il tavolo dopo un bel volo. Dati i tempi fu mangiato lo stesso, senza tema.

La panchina dove sedeva mia nonna c’è ancora. Sta lì un po’ in disparte e coperta e invasa dai tavolini del locale da aperitivi che oggi occupa la piazza.

Anche se qualcuno a volte ci si siede, non è e non può essere quella di un tempo. Altre persone, altri desideri, altri sogni. Del resto di fronte ha tutt’altra piazza.  Quella di prima  era parte della strada tanto è vero che il tram arrivava fino davanti alla chiesa.

Il cinema d’estate proprio accanto al vagone dove ci riuniamo era il nostro Cinema Paradiso, anche quando da monelli ci riunivamo in gruppo e per non pagare il biglietto ci piazzavamo dietro lo schermo anche solo per vederlo al contrario. Quante volte non ricordo , so che era bellissimo, anche per quel che di proibito che quell’operazione si portava dietro.

Il campanello dell’Enrica era un altro dei nostri raid di monelleria.  Quante volte l’abbiamo suonato, scappando subito a nasconderci,  per vederla affacciarsi alla terrazza del palazzo dove ora c’è il parrucchiere. Era una figura strana l’Enrica. Donna altissima e dal basso in alto sembrava la controfigura di Olivia di Braccio di Ferro.

L’Enrica non c’è più da tempo. E’ rimasto il terrazzino ma nessuno guarda fin lassù da quando non c’è più lei o se qualcuno lo fa lo fa con disattenzione,  così per fare.

E del cipresso grandissimo che era lì davanti vogliamo parlarne? Sparito come l’acqua del fiume che prima scorreva a vista in quel tratto trasformato ora in capolinea dell’autobus.

Ebbe il suo momento di gran notorietà nel 1936 quando una grande alluvione fece sì che alcune cappelle del cimitero si svuotassero delle bare che trasportate dalla corrente andarono a schiantarsi proprio contro quel cipresso. Qualunque cosa fosse rimasto al loro interno sparpagliato nella campagna tutto attorno e fino a Ponte a Niccheri .  Di questo fatto ricordo il racconto di mia nonna che ne fece qualcosa di magico più che di macabro e non rimase in me nessuna paura , né raccapriccio . Del resto la nonna Rina era una donna pratica, non cinica.  La sua conclusione “tanto,  più che morti!” , ancora mi risuona nelle orecchie e trovo che abbia una sua bella dose di ragionevolezza.

La mia città invisibile l’hanno popolata persone, gli edifici hanno e hanno avuto valore proprio perché erano e sono stati il prodotto e la caratteristica di una comunità che si è evoluta ed è cambiata nel corso del tempo.

Uno zig zag fra passato e presente senza le persone in carne ed ossa mi sarebbe sembrato vuoto e triste.  

Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

7 pensieri riguardo “Le cose grandi della piccola città di Nadia”

  1. Nostalgia canaglia, quella che ti prende, ricordando, fatti, cose, persone, alberi e fiumi che han fatto di te una splendida voce narrante….
    Tirata su a vino…latte, nonna e poesia…..la nostra Nadia…..

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  2. Quando il passato rimane prepotentemente dentro di noi allora vuol dire che ci ha lasciato emozioni, grandi sentimenti dando vita a ciò che noi siamo…mi è piaciuto ricordare attraverso il tuo bel racconto…grazie Nadia

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  3. Ho pensato al “tempo”leggendo il tuo brano
    Ho pensato a te che non hai mai lasciato la “tua citta”
    Ho pensato alle cose che cambiano e che senza far rumore scompaiono
    Ho pensato alla nostalgia del passato e alla forza di un presente che sempre ti accoglie nelle stesse braccia

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