La strega nello specchio di Rita

Lo specchio – di Rita Angeloni

Foto di Anja-#pray for ukraine# #helping hands# stop the war da Pixabay

Specchio specchio delle mie brame,  chi e’ la piu’ bella del reame?

La bellezza non esiste!

E’ bello cio’ che piace!

E’ bello cio’ che piace?

Si, perche’ quando noi ci rispecchiamo in una forma , in un insieme di colori, in una figura, vediamo noi stessi, la nostra parte interiore. 

Se avviene questo ci piace!

Perche’ quella forma, quei colori , quella  figura e’ proprio cosi’  che noi l’avremmo realizzata.

Dietro la specchio non vedo che la strega maligna, la negativita’ di me stessa che mi sollecita  pero’ ad un impegno affettivo e psicologico.

Una notizia che non posso non dare

di Cecilia Trinci

Maura Corazzi ha lasciato il suo corpo. Da tempo non le serviva più per esistere.

Ci siamo conosciute all’inizio del 2000, era mia allieva dei corsi di formazione di tiro con l’arco per disabili. Una ragazzina tormentata e vivace, attenta, strapiena di speranze. E’ stata poi mia allieva nei corsi di formazione per la trascrizione braille per non vedenti. Era meno presente perché già con due figli, un marito e un lavoro impegnativo, ma arrivava sempre quando avevo bisogno di lei e mi diceva affacciandosi trafelata “prendiamo un caffè?” e davanti a quella tazza si parlava di tutto in grande fretta. Aveva occhi scuri penetranti e intuitivi, gambe piccole e veloci, scattanti, amava il mare, la montagna, i viaggi. Amava aiutare chi era fragile, ho ancora, come portachiavi, la capanna di ebano che mi portò dall’Africa in una sua spedizione di volontariato in Burkina. Mi disse “questa è la casa per te, solida, essenziale, semplice e forte”.

Anni dopo la persi. Sapevo che aveva avuto il terzo figlio, la vidi solo una volta, camminare molto incerta abbracciata al marito Luciano. Abitava a Laterina, lontano per me.

Nel 2018 mi venne il desiderio di ritrovarla. E l’ho cercata e ritrovata immobile in un ospedale, completamente paralizzata da una complicazione anomala di una infelice anestesia per il parto. Maura non parlava, non si muoveva, non poteva né mangiare né respirare in modo autonomo.

Ritrovai i suoi occhi. Solo quelli, ma così vivi e forti che ritrovai lei intera.

Cominciammo a scrivere a distanza.

Lei scriveva con gli occhi attraverso un programma informatico e mi inviava le parole tramite whatsapp. Io le trascrivevo. Il primo suo “Un diario per esistere” scritto così, si trova oggi nell’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano.

Vi riporto solo questo piccolo pezzo:

Allora diario ti vorrei porre una domanda… esiste una differenza per l’anima da chi è disteso  e ha lo guardo fisso verso il soffitto da chi si muove agilmente  più o meno?  credo di aver centrato il giallo nel bersaglio, perché a differenza di quando versavo tante lacrime da quando stavo ore ed ore  con gli occhi chiusi per non vedere, per non scontrarmi con la realtà, ho maturato nell’anima un nuovo percorso, una rinascita dell’anima.  Basta domande del tipo: perché a me?, no cosi non posso e allontano con la forza dell’anima le duemila domande che vorrei fare.

E’ iniziata così un’altra fase della nostra vita insieme, in cui ho raccolto le sue parole scritte e mai più ascoltate dalla sua voce fisica. Possiedo un lungo diario delle sue giornate: speranze, illusioni, vibrazioni e coraggio infinito. Amore per i suoi, per tutti quelli che andavano da lei, per chi ha seguito il suo cammino difficile. Quando andavo da lei mi scriveva con gli occhi su quel video piazzato sul letto: vorrei prendere un caffè con te.

Ha fondato un’associazione (Con Maura per i diritti dei malati), ha guidato progetti, mercatini nelle piazze, condotto la pubblicazione di un libro che racconta la sua storia (“Con gli occhi di Maura”), ha guidato le varie presentazioni, ha seguito la crescita dei figli, i progetti e le speranze, ha consolato, consigliato e sostenuto gli altri. Tutto in una immobilità assoluta e completa. Tutto nel silenzio della sua parola che comunque si manifestava scritta.

L’ho amata. Tanto. Ha scritto con le Matite e le ha conosciute a distanza, ha lottato per vivere fino all’ultima cellula del suo corpo. E’ rimasta sola nei giorni del Covid nel silenzio di una camera bianca.

Ieri il suo filo si è spezzato, ma se esistono i santi lei sarà in prima fila. Qualcuno glielo deve.

Ciao Maura, alla prossima vita…….e mi raccomando non dimenticarci.

La bocca nello specchio di Stefania

Stagnola – di Stefania Bonanni

foto di Patrizia Fusi

In uno specchio che non riflette, provo a pensarmi intensamente. Uno schermo pieno di rughe mi fa ntravedere di me uno spicchio rosa, nell’argento, una piccola luna che si apre come un fiore su denti bianchi. Mai mi guardo la bocca nello specchio, e che ora sia l”unica cosa che vedo di me, mi fa pensare a quanto non mi conosca. Anche la bocca, non la guardo perché non la penso granché importante, come il naso, le orecchie, e anche altro, magari. Con la bocca mangio, ma non mi sembra interessante. Parlo, ma sono consapevole di dire sciocchezze, del resto tempo  fa avevo deciso di smettere di parlare, ma questa è un’altra storia. La bocca mi serve per baciare Paolino ed i miei bambini, e me li mangerei. E mi serve per ridere, perché ho voglia di essere stupida e ridere di nulla.

Quando ho spostato lo specchio per guardare dietro ho visto che pezzi rosa di me, frantumati, resistono all’argento dei sassi che sembrano diventati uniformi, liquidi, acqua.

Lo specchio mi continua a parlare. lo specchio di stagnola con le rughe. Penso ad uno specchio d’acqua calma, mossa in superficie da un vento gentile che la accarezza e la fa ridere, e vorrei vedermi riflessa li’ dentro. Perché gli specchi sono un’ipocrisia, inquadrano solo il pezzetto che vogliamo vedere. Lo specchio che uso per truccarmi gli occhi, e da sempre mi inquadra solo gli occhi, mi rimanda una versione di loro più brillante e profonda, o perlomeno questo dovrebbe essere lo scopo del trucco. Tutto il resto, di me, non lo guardo. Non lo guardo oggi per non vedermi storta, zoppa, disarmonica, sbilenca. Non lo guardavo un tempo perché c’erano tanti occhi che non mi si spiccavano di dosso, che non c’era bisogno mi guardassi anch’io. Mi vedevo negli occhi di chi mi guardava camminare, e sapevo di essere diritta ed imbarazzata, ma anche un bel vedere. Perlopiù ero convinta fossero sguardi esagerati, un po’ maniaci.

Quando andai a lavorare in un posto dov’erano tutti uomini, ero condizionata anche nel vestire. Stavo sempre attenta a non mettere abiti stretti, o corti, o trasparenti, e questa cosa mi intristiva. Ero sempre sotto la lente, guardata, giudicata. Difficile parlassero di come ero brava con le buste paga, eppure ero brava davvero.

Poi, ad un certo punto della vita, ovviamente la situazione è cambiata, gli sguardi su di me si sono allentati, e sinceramente mi sono sentita libera. Nonostante tutto, è capitato ancora chi ha confessato d non riuscire a togliermi gli occhi di dosso. Ed io ancora ed ancora a chiedermi perché, se sono io che provoco situazioni che non mi interessano, e mi giudico e mi processo.

Un importante ruolo di specchio bugiardo ce l’ha anche Paolo. Che ovviamente mi guarda con occhi d’amore, e da tutta la vita non ha cambiato il modo in cui mi guarda. Lo specchio, come tutti gli specchi, ha però due facce: una che mi fa bene, e non mi importa se è bugiarda, ed una che mi dice che posso stare tranquilla: ancora la paralisi si vede poco . E quando si vedrà di più, e poi di più e di più ancora?

Lo specchio giudica. E non è imparziale.

Inquadra solo il pezzetto che vogliamo vedere. Io nella stagnola ho visto solo rosa ed era la mia bocca, che non guardo mai. Tutto il resto di me era a pezzetti strapazzato, sfilacciato, dalle rughe della stagnola.

Ma c’è, il resto? C’è quello che non si vede di me? C’è ancora qualcosa di quello che c’era quando non esistevano i ricordi, o quello che si vede è quello che mi è successo ricordando?

Quando non esistevano i ricordi c’era gente che mi guardava, che mi accompagnava, mi aspettava, mi veniva a prendere, che mi chiamava Ania, che mi accarezzava, che mi teneva le mani sulla fronte perché guarissi. Io allora mi sentivo libera e forte, con le mie parti multiple ben incastrate nel puzzle giusto, e le mie stravaganze, le mie contraddizioni, le mie intemperanze, le mie passioni, i miei slanci, in equilibrio.

La sofferenza è stato imparare che fosse tutto dolcissimo e brillante, anche nel tempo, ma di fragile equilibrio.

La dottoressa dentro lo specchio di Rossella G.

Lo specchio farlocco – di Rossella Gallori

Può esser confuso il suo specchio stasera, non importa sia nitido….la dottoressa era piccola, all’ apparenza fragile, quasi delicata, il camice slacciato, nascondeva delicate forme femminili, i suoi occhi mal celavano una stronzaggine …..innata….

Confuso riflesso di me, di una un po’ poco, resto immobile, non mi vedo, non mi sento, ha tutte le rughe del mio stato d’ animo, questo mio viso vecchio o quasi, sottili righe turchesi, trattengono le ultime lacrime rimaste, gli occhi si son rimpiccioliti, no è la pupilla che sta affogando nel bianco…galleggerà fino a scomparire, chissà forse mi ritroverò con gli occhi sulla nuca, ho sempre desiderato essere originale, diversa, una a cui nessuno chiedeva: perchè?  Ora? Dopo?

Senza rendermene conto, con questo specchiofalso, ho sorriso, immaginato, l ho puntato dritto verso di me….come un  cecchino mal addestrato mi ha sparato, senza colpirmi, non era la prima volta  che qualcosa o qualcuno cercava di farmi un buco nello stomaco….ho schivato la pallottola, ora è lì da un lato…..lo ignoro, resto io dentro, fuori chi c……o se ne frega!

Piccolo, tenero, come un bacio tra vecchi innamorati, mi guarda il tondogiudice di me….è caduto dal mio letto il mio specchiofalso,  sono stanca lo osservo, sembra un piccolo lago di montagna, nato per incanto su un pavimento di marmo…da lucidare..

Guardi ora! Intima la dottoessa….ha tolto il camice, è ancora più piccola, quasi dolce, meno estranea, una un po’ tanto umana….tacchi bassi, gambe abbronzate, trucco dark  x   mascherare quel po’ di insicurezza…

Cambia la prospettiva e tutto si trasforma…

Vedo il mio trono, io seduta in modo poco elegante, del mio viso pochi tratti se non misere penne di capelli verdi o quasi…

Sono circondata, protetta, scaldata, da mille facce conosciute, scolorite dagli anni, mai dimenticate…il barbone, la matta, il ladro, lo spacciatore, l’ amante, il sacerdote, la suora, il nero, il giallo, il barista, la prostituta, la farmacista…specchi di me che amo, incondizionatamente, chi attraversa anche solo per un attimo la mia strada, la mia vita…

Nell’ angolo più luminoso dello specchio farlocco, una rosa rossa mi porge il suo profumo…. so chi è…..

Dorme la dottoressa, piedi scalzi, il viso nascosto da capelli scomposti, nel pugno  destro una piccola palla di vecchia stagnola

Il cappello nello specchio di Carla

Oggi sono così – di Carla Faggi

Ho un grande cappello con le falde grandi.

Nonostante tutto mi sta bene.

Ho uno sguardo accigliato, la bocca un po’ imbronciata.

Nonostante tutto non mi sta proprio bene.

Sono coperta da un grande mantello.

Nonostante tutto non ho ancora deciso se mi sta bene o se non mi sta bene affatto.

Trovo piccole striature di giallo tenue nel candore dell’argento.

Mi sta molto bene.

Nel grande cappello ci vedo la consapevolezza di donna adulta che pur piacendosi deve però soddisfare il suo bisogno di piacere anche agli altri mostrandosi.

Mi sentivo così a quarant’anni.

Il volto imbronciato lo sento come specchio della mia eccessiva intolleranza di questi giorni, sono attaccabrighe, irritabile, poco amabile.

Mi copro però con un grande mantello come a nascondere il misfatto ed il mantello sono i sorrisi, l’ascolto, la presenza. Serve a perdonarmi un po’. Forse.

Nonostante tutto io sono così, giallo tenuo nel candore dell’argento e mi sta parecchio bene.

Nello specchietto retrovisore ci vedo tante persone una vicina all’altra in una piazza superaffollata con bandiere e striscioni.