Con gli occhi il cielo

Occhidi Vanna Bigazzi

Con gli occhi il cielo,

con gli occhi il mare,

con gli occhi piange

l’animo mio, ferito e oltraggiato,

con gli occhi ride il volto di chi ho  amato.

Nello specchio degli occhi tutto può accadere:

brilla lo sguardo di un vecchio grinzoso,

luccica l’occhio a un vivido trascorso,

persin quei fori opachi scintillan d’emozione.

Parlano in tutte le lingue del mondo.

L’intera vita, le cose da amare

son dentro loro in un lago profondo.

Gli occhi dei bimbi son fatti di sogni,

fissan le stelle a parlar col Creato,

arrivano all’anima attraverso il cuore,

perché posson solo parlare d’amore.

Vedono cose che gli altri non sanno:

son luce divina che il blasfemo acceca,

son gli occhi del bambino,

son gli occhi del poeta.

Occhi di stelle

Occhi di stelle – di Stefania Bonanni

Si fa tutto, con gli occhi. Si ride, si piange, si mangia, si cerca, si nasconde, si ruba, si fa all’amore, si parla con bambini che ancora non parlano ma hanno già occhi così grandi e spalancati che potrebbero contenere il mondo. Potrebbe essere che il processo fosse inverso. Che si nasca pieni di sapienza di vita, e che piano piano ci si veda costretti a dimensioni più umane, piccole, limitate e tutte da imparare. Questo lo penso da quando ho conosciuto una piccolissima nipote, con occhi enormi e spalancati, da subito. E neri, del nero luminoso di una notte trapuntata di stelle, pronti a ridere argentati come sanno i bambini, immediatamente felici. Credo che quella sia la felicità, quella che un nano secondo dopo diventa strilli, e pianto a dirotto, senza intermediazioni.  E occhi pieni di lacrimoni gonfi e r otolanti, inconsolabili. Si risolve all’inizio con l’essere attaccati ad un seno, o cullati, baciati, comunque guardati dagli occhi più dolci che la vita avrà in serbo per noi,  accarezzati da mani calde e leggere, o fredde e pesanti e callose e screpolate, ma sempre calde e leggere, sulla fronte dei bambini. Poi cambiano, gli occhi. Ci sono credenze, parlano di veli di angeli sugli occhi dei neonati, anche il colore dei primi tempi sarebbe un’illusione. Però cambiano davvero. Diventano pieni d’affetto, di voglia di fare il chiasso, di curiosità,  di risate, di capricci. Poi cresce tutto il resto, e sembrano ridimensionati. Fossi un pittore disegnerei bambini con occhi grandi, come tele da riempire.

Questi sono occhi di oggi. Quelli di  eri, gli ultimi, per l’ultima volta li ho visti già chiusi,  e fu questo a provocarmi  un dolore violento.  Fu una corsa in auto, treno, aereo, treno, taxi. Percorsi l’Italia, con l’angoscia di non arrivare in tempo. Era morto ieri, sapevo che avrebbe avuto gli occhi chiusi, se fossi arrivata in tempo, prima che chiudessero, ma non ci credevo. Perché si chiudono subito gli occhi? Semplicemente, senza che si potessero vedere gli occhi, non era lui. Aveva occhi più azzurri del cielo sereno, più celesti dell’acqua del mare, più belli di brillanti preziosi. Lampeggiavano, tra capelli neri e pelle abbronzata. Gli occhi belli sono quelli colorati di celeste,  verde, lui li aveva stretti come tagli e brillanti come acciaio. Non aveva bisogno di parlare molto, guardava, e tanto bastava. Non volevo più  mangiare? Uno sguardo, e mangiavo. Parlavo, forse non era il monento? Uno sguardo, e non volava più una mosca. Erano occhi amorevoli quando rideva, con i denti bianchissimi in mostra, e le guance magre che si arrotolavano arricciate sotto gli occhi stretti stretti,  l’azzurro lampeggiante .”Mio padre un falco, mia madre un pagliaio “. Lei era riposo, abbracci, distendersi al fresco, bere dalla sorgente. Occhi neri come i fondi di caffè,  come i resti dei legni bruciati nel camino che non avevamo, come le more mangiate dai rovi, senza lavarle, come le scritte sulle pareti bianche. Come una macchia d’antico inchiostro su una cartasuga. Ci si entrava dentro, e cullavano ,lasciavano scie . Non li ho persi. Mi sorprendevo a cercare, tra la gente. A fare paragoni,  confronti, somiglianze.  Mi è capitato di essere ancora al centro di quel raggio. Non dovrei raccontarlo, ma è stato così intenso ed indimenticabile che la realtà vaneggia, e i sogni non finiscono, in quella dimensione.

In un prato di un verde nuovissimo, china, coglievo piccoli fiori fatti di campanelline bluette, alcuni più azzurri, alcuni più viola. Sola. Si fermò il vento, si immobilizzarono le foglie degli alberi, non passarono macchine sulla strada lontana, e forse neanche sull’autostrada, ancora più  lontana. Fu come trovarsi riparata sotto un telo di cotone spumoso. Piano, mi tirai su e mi trovai occhi negli occhi di un meraviglioso capriolo. Un attimo, riflessa in quegli occhi neri. Gli occhi freschi e fieri di un animale potente, che in un lampo divoro’ la collina e sparì. In quegli occhi neri, io.

Un’altra volta,  Un posto pieno di gente e io che da un po’ mi sentivo guardata. Capita, no?, che ci si sente uno sguardo addosso. E non capivo, non trovavo l’origine della sensazione. Guardavo alla mia altezza, non era da la’. C’è voluto un po’, sempre bisogna fortemente volere,  poi ho incrociato gli occhi di un vecchio labrador. Lui, diciamo bianco sporco, gli occhi grandi e tondi,  di nero profondo.  Mi ha guardato arrivare vicino, mi ha tenuto inchiodata al suo sguardo fino a che l’ho toccato. Avrei potuto dargli un bacio, lo avrei potuto abbracciare. Aveva quegli occhi potenti, che non si staccavano. Mi sono allontanata a fatica. In fondo al corridoio l’ho cercato ancora, e ancora eravamo occhi negli occhi. E ancora lo penso.

Non si dimenticano gli occhi che si sono lasciati guardare dentro.

Occhi verdi

Lui – di Rossella Gallori

Ci eravamo conosciuti, molti,  molti anni fa, mi avevano parlato di lui, in modo distratto, forse non avevo avuto voglia di saperne di più…pensavo…a che mi serve frequentarlo?

Sposata da poco, senza figli, tornavo a casa all’ora in cui molti avevano finito di cenare, ignoravo volutamente la sua presenza, avevo altro da fare.

Non so quanti anni erano passati, giorni, ore…lo cercai…lui così vicino ed irraggiungibile, mi accolse senza domande…erano gli anni della crisi, delle porte sbatacchiate, dei silenzi che toglievano il respiro…ed in una apnea delirante lo raggiungevo,   mi bastava sentire il suo odore per calmarmi,  quel rumore impercettibile delle sue lunghe braccia, delle sue morbide mani, dava un motivo alla mia fuga, mi perdonava sempre, anche quando avevo torto, torto marcio.

All’ inizio fui timida, varcavo appena il suo ingresso, lacrime rabbia all’ arrivo, per salutarlo sorridendo senza voltarmi.

Ma quanti anni con passati? Quaranta? Forse si…sicuramente si…

E da vecchi, ma non troppo  ci siam trovati amanti senza saperlo, ed allora ti ho esplorato, centimetro per centimetro, tu tanto più grande di me, non ho mai voluto sapere la tua storia, né chi avevi frequentato prima, tu hai fatto lo stesso con me, in un silenzio festoso ed accogliente…mi piaceva stare con te anche quando pioveva…ci bagnavamo insieme. Mai preso un raffreddore …noi.

Se non ero sola, ti ignoravo, tu capivi,  hai sempre, capito e non sei mai stato geloso, dell’altro mio compagno, quello era un fratello, siamo cresciuti insieme, niente a che vedere con te, lui era più faticoso, roba da giovani.

Poi qualcuno, qualcosa ci ha fatto lasciare, il nostro rapporto si era logorato, ammalato, hai chiuso il cancello una mattina all’alba, le mie chiavi, mi son  state ritirate da uomini senza volto, vestiti di bianco…gente muta e sconosciuta.

Son venuta  a spiarti  da lontano, non vedevo più i tuoi occhi, misteriosi  esseri ti ballonzolavano intorno, lunghe code rossicce, ti scalavano il petto, uccelli giganti ti mangiano il sorriso……questo per giorni, mesi, evitando di uscire, per la paura di incorrere nello stesso errore: dirti che ti amo, una volta per tutte..senza pudore…senza filtri…

 4 MAGGIO 2020 …

Le voci corrono, si rincorrono, mi chiama la Simo: oh lo stan facendo bello bello….

Io penso che bello lo sei stato sempre, ma non ho coraggio di tornare da te…

“Oh son scappati gli scoiattoli” dice l’Olga …

 Mi faccio coraggio, devo farlo, ho bisogno di te, come sempre saranno minuti, minuti nostri…mi sembra di sentire i tuoi immensi occhi verdi su di me, mentre tolgo i tacchi ed indosso qualcosa di fresco spiegazzato e pulito, non voglio fingere di essere un’altra…né ora né mai, mai più.

Il cancello è aperto, la catena è per terra, il cuore batte all’ impazzata, chissà se mi trovi cambiata…comunque ti prego, non me lo dire, un buon amante sa fingere…vero?

Villa Favard ha riaperto il suo parco, sono le due del pomeriggio ed io lo attraverso, il saluto è timido, siamo imbarazzati, ma cosa sono due, tre mesi a confronto di un rapporto come il nostro..

Tengo gli occhi bassi, mi  rassicura l’erba ben tagliata, la fontana che  perde, come sempre, la cappella isolata e severa, il conservatorio pieno di musica che non c’è, i giochi transennati alla buona…

Il tuo profumo di bosco in città, a pochi metri da casa mi invade, mi dà forza, se ce l’hai fatta tu ce la posso fare anch’io…penso commossa.

Colgo un fiorellino, che infilo tra i capelli, che non han voglia di orpelli e lo rifiutano, guardo i tuoi alberi rassicuranti, alzo gli occhi al cielo le punte dei tuoi alberi sfiorano un cappello di paglia leggera  azzurrissimo, privo di nuvole.

Ti amo e non me ne vergogno, ci siamo rivisti, riconosciuti, annusati, quasi baciati…..per altro avremo tempo, spero di avere tempo…ma torno, parco di Villa Favard ..torno…torno….lo giuro….

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Il Parco di Villa Favard, chiuso nel tempo della pandemia e riaperto il 4 maggio 2020 per ordinanza del Comune di Firenze.

https://ambiente.comune.fi.it/pagina/parchi/villa-favard

“Il parco circonda la storica villa attualmente sede del conservatorio Luigi Cherubini e offre la possibilità di piacevoli soste all’ombra dei maestosi alberi presenti. Questi, di specie diverse, sono non solo conseguenza delle più recenti piantumazioni ma anche memoria del collezionismo botanico tipico della seconda metà dell’Ottocento, matrice riscontrabile anche nel Parco del Museo Stibbert.
Tra questi alberi, uno spicca per importanza: il maestoso Cedro del Libano (Cedrus libani), albero monumentale inserito tra i monumenti di alto pregio naturalistico e storico dalla LRT 60/1998, che si contraddistingue per la sua altezza di circa 24 m e una circonferenza di circa 5,80 m.

Posto su un terreno sostanzialmente pianeggiante, il parco è impostato sullo schema del “giardino extraurbano” tipico delle ville fiorentine, con successivo adeguamento secondo la tipologia del parco all’inglese. Il segno evidente della stratificazione compositiva si ritrova nei percorsi principali: i due viali rettilinei tra loro perpendicolari e incentrati sulla villa sono figli dello schema originario, mentre il terzo viale ad andamento curvilineo è figlio della matrice romantica.
Lungo questi percorsi sono stati inseriti panchine tavolipercorso vitafontanello, area cani e area giochi, quest’ultima posta in prossimità della cappella gentilizia progettata dall’architetto Giuseppe Poggi.

Nel Medioevo, l’attuale parco era la corte recintata di pertinenza di una fattoria fortificata di proprietà della famiglia Cerchi.”

Occhi di lago

Sole di fine estate – di Anna Meli

            Occhi di giovane donna, azzurri come un lago alpino, calmi in attesa di una vita piena e serena. Comunicavano amore, gioia, progetti, sogni, speranze. Ti carezzavano dolcemente, nascosti fra lunghe ciglia brune, per dirti la loro felicita, la loro voglia di vivere.

            Poi, un giorno….un destino infame ti chiuse gli occhi. Uno schianto nel silenzio sul finir di una sera dorata. Negli occhi di lago, ormai spenti, rimase presente l’amore, la gioia, i sogni, un saluto…e tutto finì nel tramonto di un sole di fine estate.