L’amicizia di tre cappelli con le parole di Patrizia

Amicizia- di Patrizia Fusi

In piccolo cappellino Cencio Setto è in giro per Roma, si sente strano, ripensa a come si sentiva sullo scaffale del negozio, dove nessuno lo aveva scelto, lo guardavano, lo toccavano e lo rimettevano sempre  al suo posto, facendo dei commenti che lo ferivano.

Ha deciso di uscire, di approfittare della chiusura del negozio per la pausa pranzo.

Mentre cammina lungo Tevere il sole lo riscalda, l’aria lo accarezza, si sta rilassando.

 In lontananza vede venire verso di sé  due sue conoscenze, la coppola inglese Ugo, il cappello grigio a falda larga Tina, che stanno parlando.

Anche loro lo vedono si fermano, sono contenti di averlo incontrato, gli domandano cosa ha fatto in questo periodo, Cencio Setto racconta le difficoltà di non avere un aspetto invitante.

Racconta di essere stato scelto da una signora che non era abituata ad adoperare i cappelli, lo aveva scelto solo perché le aveva fatto pena, ma dopo ci aveva ripensato e lo aveva rimesso nello scaffale. Lui si era sentito mortificato.

Ma poi ha reagito e ha scelto di fregarsene del parere di lei e dei clienti del negozio ed è venuto a godersi la città.

 Un giorno potrà trovare chi lo apprezzerà per la sua semplicità.

Tina e Ugo si fermano a parlare con Cappellino, gli raccontano le loro avventure.

Formano un terzetto di amici.

Un cappello utile per Patrizia

Il cappello di feltro verde – di Patrizia Fusi

Mi sembra utile mi  proteggerebbe dal freddo e di un bel colore verde di panno morbido promette di essere caldo, è quello che ritengo più adatto a me , non ho avuto l’abitudine di indossare il cappello, non era usanza fra la cerchia di amici e conoscenti adoperare questo accessorio, solo alcuni uomini lo facevano.

Quando mi volevo proteggere dal freddo adoperavo i foulard ,ora sopperisco con il cappuccio del piumino .  Ho scelto il cappello di feltro verde, pensando che mi avrebbe tenuto la testa al caldo, ho visto il piccolo fiore laterale e mi è piaciuto.

Una storia con tre cappelli: Incontro improbabile di Sandra

I tre cappelli – di Sandra Conticini

In quel periodo aveva bisogno di stare sola con i suoi pensieri ed aveva deciso di fare una camminata all’aria aperta in posti che aveva sentito nominare, ma a lei sconosciuti. Infatti, arrivata ad un incrocio, fu quasi sicura di aver sbagliato strada. Chiese informazioni all’unico essere vivente che c’era in quel momento… un bambino con  pantaloni e  maglietta strappata, un cappellino blu con la tesa sporco e stropicciato con fili di paglia ed erbe secche, che faceva sventolare al vento come fosse una bandiera. Il bambino non seppe risponderle così  proseguì per quel sentiero, ma aveva il presentimento che non fosse quello giusto.

In lontananza intanto vide una macchina ferma, ed accanto una figura maschile  dall’aria sospetta, ma molto elegante, con la coppola inglese color grigio topo un bel vestito  grigio con camicia e cravatta.  La giovane ragazza tra sé e sè pensò cosa ci poteva fare quell’uomo in quel posto solitario e puzzolente di cacche di pecore. Lui le andò incontro e quando fu vicina le chiese se per caso conoscesse un’officina per la  macchina. Visto che anche lei si era persa si avviarono insieme nella speranza di trovare qualcuno che potesse aiutarli. Camminarono un bel po’ finchè si  trovarono in un paese fantasma, diroccato e senza ombra di vita, ma per fortuna prendevano i cellulari.

Iniziò a chiamare degli amici per farsi venire a prendere,  uno arrivò, lei salì in macchina ed andò via.

Il cappello fucsia di Sandra

Cappello per ballare – di Sandra Conticini

Quel colore le piaceva era uno dei suoi preferiti e quel giorno, sembrava un caso, si era messa la giacca dello stesso colore.

Sperava che nessuno lo prendesse da quel tavolo pieno di cappelli di ogni colore e di ogni foggia.

Sinceramente non aveva l’abitudine di portarne  perchè il cappello le faceva caldo alla testa e  si vergognava. Le sembrava di essere una donna aristocratica e soprattutto aveva paura del giudizio degli altri. Quel giorno fu diverso,  si mise il cappello in testa ed iniziò a giocare.

Prese la sua gonna nera, una camicia di seta a fiori,  un bel paio di calze di tulle  fucsia, stivali neri con un po’ di tacco e la mantella fucsia.

Quel cappello dello stesso colore  lo sentiva proprio suo, ed uscì per strada saltellando e ballando. Quell’indumento le aveva messo allegria e la faceva sentire leggera come una libellula.

Decise: da quel momento avrebbe usato più spesso il cappello, per lei era una buona cura scacciapensieri!

I tre cappelli nelle parole di Carla

Tina e l’ascensore – di Carla Faggi

Appena in tempo e la porta dell’ascensore si chiude.

Tina si guarda attorno, accanto a lei uno splendido uomo in cappotto e coppola, e poi un ragazzetto tutto cappello e chewing gum.

Sotto la coppola due occhi neri e profondi, “sanno di uomo, sanno di maschio, sanno di…meglio non immaginare,” pensa Tina, “ se non ci fosse quel mocciosetto che non sta fermo un minuto e rumina come un forsennato, prenderei Occhioni Neri e via la coppola, via il cappotto, via tutto, lo sbatterei alla parete e lo…ma no che penso, sciocca che sono… e poi potrebbe essere sposato, o strabico perché non mi toglie gli occhi di dosso, mi guarda la bocca, il seno…e questo ragazzino tutto cappello e chewing gum sempre di mezzo!”.

L’ascensore si è fermato, la porta si apre. Arrivati al piano.

Il tenebroso coppolato esce, guarda Tina per un’ultima volta, un giovane uomo lo aspetta. Uno sguardo d’intesa fra loro, un bacio, il ragazzino tutto cappello per la mano. E se ne vanno tutt’e tre.

Storia di un colore di cappello per Carla

Davanti allo specchio – di Carla Faggi

Davanti allo specchio, giovane bimba con la convinzione di essere già adulta. Cappottino rosa, scarpine di vernice blu con gli occhini. Per andare a scuola bisogna essere a posto, quindi scegliamoci il cappello.

Quello rosa di lana…eh no! Sembro una caramella!

Questo con il pon pon a righe…mnh sembro piccina!

E quello con il copriorecchi? Ma per la madonnina, sembro quello stupido di mio cugino!

Uffà! Mi sa che se la mamma non se ne accorge non mi metto niente, ne prendo uno a caso per uscire di casa e poi lo nascondo nella cartella!

Davanti allo specchio, giovane ragazza ormai adulta. Cappotto nero con il bavero in pelliccia di volpe argentata.

Il primo cappello a borsalino, nero su nero, molto elegante…forse troppo, non voglio passare da snob!

Meglio provare l’altro, rosso come le scarpe e la borsa. Però…forse è troppo vistoso, l’eleganza deve essere sobria!

Questo color panna sembra perfetto, molto originale, simile a quello delle hostess, fa molto donna di classe ma che osa.

Mnh, ma sono sicura? Cazzo! No! È un colore che non mi dona affatto!

Farò così: niente cappello, i miei lunghi capelli neri devono essere protagonisti!

Davanti allo specchio, non più giovane donna ormai molto adulta.

Piumino bello consistente da sembrare una palla, però molto caldo. Nero così ci si abbina tutto.

Stivali fino al ginocchio almeno se piove siamo a posto.

Ed ora un bel cappello, perché un po’ di colore ci vuole.

Quello con la tesa alta marrone, no, no! Sembro una zita cosiddetta zia zitella!

Quello giallo a papalina, mamma mia sembro pazza!

Mettiamo quello celeste che anche i vecchini li riveste.

Mah! Non metterei nulla.

E la cervicale? Ok, vada per quello rosso, non delude mai, è di lana e copre bene!

I tre cappelli di Stefania

Tina ed il suo cappello -di Stefania Bonanni

L’ appuntamento era alle 17, nella hall dell’ hotel Excelsior. Lei era stata contattata dal solito centralino, che le diceva dove ed a che ora e qualcosa su come si doveva mostrare.

Questa volta incontrava un inglese, un signore d’età, raffinato e classico, lo hanno descritto.

Lei doveva essere =fine=. Indosso un castigato tubino nero, buono sempre per sembrare di classe, un cappottino grigio, ed il cappello da signora, grigio per l’ appunto, in tinta. Quel cappello a volte lo indossava al rovescio, arancione,con vestiti corti ed appariscenti, ma questo non era il caso. Era come lei, il cappello, al bisogno mostrava facce diverse, di sé. Era capace, lei, di fingersi volgare o signorile, per questo era molto cercata, andava bene per tutte le stagioni, come gli ombrelli, come certi cappelli.

Però si stava stufando. Per esempio, il tipo di stasera, inglese, di sicuro sarebbe stato noioso, e la stentata conversazione, fiacca. Gli inglesi in particolare, già dall’ intonazione, mettono sonno. Sarà dura.

Entrando in albergo, si sorprende vedendo che le persone in attesa sono due: Eh no!La sentiranno all’ Agenzia! Tariffa doppia!

Sempre tra sé e sé: Come sono buffi! Quello anziano ha una coppola abbinata ai calzettoni. Coppola blu, calzettoni a quadri gialli e blu. (Elegante……).Quello più giovane ha guance rosso/Chianti, flosce come il suo cappello con la visiera, calcato fin sugli occhi piccoli e pregustanti delizie.

Si presentano: Carlo ed il figlio Harry.

Deve essere un’ inaugurazione!

Il cappello marrone di Stefania

L’abito fa spesso il monaco – di Stefania Bonanni

Lasciò tutto all’ ingresso. Cappotto cammello, completo giacca e pantaloni principe di Galles, scarpe di vernice testa di moro, camicia di cotone italiano, celeste. Aveva speso un capitale per vestirsi così, ed ora lasciava tutto in quella scatola, per giunta piegato male. La catena d’oro dell’ orologio a cipolla ed i gemelli con i rubini, per fortuna non li aveva messi. Il portasigarette pieno glielo avevano lasciato.

Forse aveva sbagliato. Aveva comprato tutto quello che gli era stato consigliato, ma il tipo così si faceva notare, ed a conti fatti aveva portato male. Quando aveva aggiunto il cappello, un simil Borsalino di feltro marrone con la fascia ocra, l’insieme si era rivelato perfetto. L’ abito non fa il monaco, ma i mafiosi a Little Italy sono tutti vestiti così, ed quello era stato anche il pensiero della pattuglia di poliziotti che girava per il quartiere. L’ avevano fermato, perquisito, avevano frugato nella giacca principe di Galles, ed avevano trovato quella pistolina, così piccola che non sformava le tasche, ma bastava per mandarlo dritto al fresco, lui ed il suo bel vestito da mafioso italiano emigrato.

Quando camminò per il corridoio tra le celle, Don Raffaele si accostò alle grate e disse piano:

=Che peccato te l’ abbiano tolto, quel vestito ti avrebbe aperto delle porte!=

Per ora mi ha aperto le porte del carcere!

Perché, a volte, basta l’ abito per fare il monaco.

Tre cappelli si raccontano: Rossellina e i tre personaggi

Il terzetto – di Rossella Bonechi

La mano aveva a lungo esitato vicino allo scaffale della modista: la tentazione di afferrare la piccola cupoletta arancio diospero con relativa veletta era tanta ma….. apparteneva al suo passato ormai e quindi vada per quello colore malva scuro con solo un tocco di colore. A casa mostrò l’acquisto e poi con indifferenza lo appoggiò all’attaccapanni dell’ingresso dove già c’erano due cappelli.

Il terzetto si guardò con un po’ d’imbarazzo ma tu Coppola Inglese, da vero gentleman a rompere il ghiaccio:” Salve, sono la  Coppola di Sir Henry, benvenuta nuovo Cappello di Tina. Lui è Cappellino, lo scusi sa ma è un po’ timido, è il cappello dell’autista ” Lei sorrise carinamente e attese di essere indossata per mostrare il meglio di sé. Nel primo pomeriggio Coppola Inglese uscì per il solito giro in bici con Sir Henry e subito dopo Cappellino con l’autista montò in macchina con il Nuovo Cappello di Tina indossato in tutta fretta e furia. Una veloce corsa in città e via di ritorno prima che calasse la sera. Sì ritrovarono di nuovo sull’attaccapanni, Coppola Inglese soddisfatto della scampagnata e Cappellino più taciturno che mai. Ma non era serio, ripensava solo alla fiammata arancio diospero che aveva intravisto e soprattutto alla veletta nera che lo faceva languidamente sognare. Sapeva che sull’attaccapanni non l’avrebbe mai vista ma……Coppola Inglese non saltava mai un’uscita in bicicletta …..

Il simpatico cappelletto di Rossellina

Cappelletto di lana nera – di Rossella Bonechi

Non uso cappelli, non so portarli con la dovuta disinvoltura e più che tenermi caldo mi danno fastidio e insofferenza. E qui l’argomento sembrerebbe chiuso.

Ma questo cappelletto di lana nera modello simil fantino sembra guardarmi corrucciato e dispiaciuto qui davanti: ” ero nel mucchio con gli altri, mi hai preso te, anche se in seconda battuta, perché allora io?”. Hai ragione cappellino, la verità è che mi sei sembrato il più piccoletto, il più innocuo, cenciosetto e ripiegabile come per sparire. Poi ho visto la tua tesa quasi più grande di te e ho pensato di farti credere che era utile, anzi utilissima per coprire gli occhi dal sole e dalle gocce di pioggia, così, per darti un senso d’importanza. Poi ho visto anche quel pezzettino di elastico dietro, molto rassicurante, coneca dirmi ” mi ancorerò ai tuoi capelli senza scivolare mai!” e allora ti ho provato per darti la dimostrazione che un po’ eri fatto bene.

Ecco, cappellino, non comprerei mai un cappello ma sono quasi sicura che se accadesse sceglierei te di nuovo. Magari, se permetti, ti attaccherei una spilletta colorata o luccicante o una piccola piuma un po’ svolazzante a mo’ di sorriso, così saresti proprio mio.

Contento cappellino? Ora ritorna tra i tuoi simili, vai, e non prendertela: purtroppo i cappelli non fanno per me, niente di personale, eh ?

Tre cappelli per raccontare: Tayna da Mancester di Rossella

TAYNA – di Rossella Gallori

Sir Peter Chatterley da Oxford: nudo come un verme, basco in testa…solo quello, cercò il portafoglio nei pantaloni abbandonati per terra…sbirciando il suo corpo nell’ immenso specchio sul soffitto…quasi cercando tutti i pezzi, si aveva tutto, era uscito incolume da una notte di fuoco, quindi, il suo LUI  ed i suoi LORO. Tirò un sospiro di sollievo…

Tayna da Manchester lo aveva divorato!

Annusato ed abbordato durante una messa di quasi notte…

Fingendo di togliersi il cappello lo aveva urtato, quella strana morbida  fruttiera di feltro grigio ferro bordata di arancio secco intonata perfettamente al suo rossetto, aveva fatto da esca…

Le loro mani si erano sfiorate per un attimo, per poi unirsi in altri giochi, più a lungo, tra sospiri e sorry…sorry…si erano trovati in un lettone soffocato da cuscini di piuma, volati in ogni dove al primo e non ultimo amplesso.

Peter si rivestì, dubbioso sul costo di tale notte, quante sterline doveva a Tayna?  Il comodino annunciava un vuotatasche ammiccante.

Uscì dalla stanza quasi vestito, nell’immenso corridoio pestò un qualcosa, che raccolse, rendendosi subito conto che era un cappelluccio modesto

 Il cappello di Sir Alex, marito di Tayna, era tra le sue mani moscio e polveroso, un po’ come lui, pensò Peter, le voci correvano nei pub di Londra…quando si parlava di corna appariva Alex da Manchester!!

Certo era, che lasciare una come Tayna per una partita di polo ed una bevuta tra vecchi Lord, per lui.

Ma il cappellofantino era stato dimenticato?

Perduto

Volutamente abbandonato per segnare il territorio?

Non ebbe il tempo di rispondere a se stesso, un  rumore di ghiaia schiacciata, lo svegliò del tutto…e…

Se lo vide sbucare in bici, capelli, quelli che restavano, al vento, le ruote incerte davano segno di ebrezza.

Fu un altro incastro perfetto, saltò dalla finestra e si nascose dietro una siepe di qualcosa, sdraiato ed ansante.

Era tornato per il cappello? Per un controllo?

Lo vide suonare il campanello, un suono stridulo come la sua voce brilla:  …  darling …Darling  sono Alexxxxxx!

Tayna da Manchester si affacciò,  il viso ammaccato incorniciato da ricci scomposti, coperti in parte dalla zuppieracappello, salutò con la mano destra mentre con la sinistra si rinfilava le mutande….

Peter ricordò di non aver lasciato  soldi, salì in macchina, in un’ alba nebbiosa, calando il basco quasi sugli occhi, fece un breve riassunto:

Sesso gratis

Cappelli intatti

Notte magica…..e sparì nel verde…

Il cappello di Rossella: un Panama di Livorno

Panama – di Rossella Gallori

…Giulia, deh, il Panama…

E Giulia correva porgendo il cappello al babbo…e la sua guancia per un bacio.

Deh, Giulia sto bene? Bene dico o di molto?

Rideva, no sorrideva…

Prendeva la giacca e giù per le scale, in via De Pecori al numero 6.

Lui, il sor Ugo, marito dell’Ynesse, era il babbo della Giulia e della Franchina che era troppo piccola e poco considerata.

Alto, esuberante , naso dritto, occhi scuri….

Era Panama…

era cappello…

era bello…

Donnaiolo per vocazione, “lihornese” per nascita.

Il suo Panama dimostrava che ce l’ aveva fatta, come le scarpe belle, come una bella casa, come una bella moglie….come avere due baffi da arricciare al primo sguardo di lunghe ciglia, alle prime calze a rete di qualche casino di lusso.

Il sor Ugo era il mi nonno

L’Ynesse la mi nonna

La Giulia la mi mamma

La Franchina era la Franchina, la zia.

Poi fu poi…e

Bussarono alla porta!

Giulia il cappello! Il gilet…e leva le ciantelle  di torno, deh un siam “miha ciartroni”

La porta venne abbattuta!

Camicie nere, fez.

Signori datemi il tempo! Vengo, vengo fatemi piglià i Panama…

Era novembre , cosa ne facesse di un cappello estivo  non è dato sapere…tanto non gli fu concesso tempo…a dicembre,  poi laggiù con il gros grain di 3 centimetri ci impiccavano i neonati…..

Ecco ora smetto, lo indosso io il cappello del sor Ugo, metto un gilet di raso nero, con l’orologio d’oro  a ciondoloni, una gonna con lo spacco, le scarpe bianche e nere con il laccio alla caviglia, per vezzo un bastone lucido di ebano con il pomello d’Avorio….e vò da Gigli, mi siedo ed accavallo le gambe, sorseggiando un caffè

 …e la gente penserà che io sia bella, giovane, ricca, viva.

Oh chi è? Oh  chi è?l

Lascio una bella mancia e” vò “ da Rivoire, appoggio il cappello sul piccolo tavolino di ferro battuto…mi alzo lentamente, aggiusto la gonna, sorrido ad un signore bello, con il volto di qualcun altro…

È  lui, mi saluta allontanandosi…è solo un attimo, il mio panamacappello non c’ è piú, lo vedo sollevarsi verso il cielo:

Un po’ Ugo, un po’ Giulia, un po’ Ynès…poco Franchina, un po’ me.

Raccolgo un piccolo sasso, lo bacio  e lo pongo su una tomba che non c’è.

Una storia da tre cappelli: La escort al bisogno di Nadia

I TRE CAPPELLI! – di Nadia Peruzzi


Le scarpe con i tacchi , su quel viottolo di campagna, tutto meno che adatte.   Il cappello grigio col fiocchetto arancione a quel punto sembrava uno scherzo di cattivo gusto, malgrado lo avesse pagato poco meno di un lingottino d’oro in quel negozio à la page su Bond Street. 
L’ultimo appuntamento di quella giornata uggiosa l’aveva portata fuori Londra, nel Devon regno di brughiere, nebbia, pioggerellina fastidiosa e muretti a secco a non finire.  Tutta roba che a Tina faceva venire l’orticaria. 
Fare la escort al bisogno mica doveva voler dire ritrovarsi in quel posto in culo al mondo, circondata dal fetore delle cacche di pecora.  Era una da sfarzo e lusso lei.  L’agenzia doveva aver sbagliato. 
Puzzava di capra mista a pecora anche il palazzotto dove doveva andare. 
E il vecchio bavoso che le aprì la porta, faceva ribrezzo.  Sir Henry un vero cesso, con la sua giacca da casa logora e tutta macchiata da porridge maldigerito!
La fuga fu l’unica cosa a cui pensò!
Si trovò subito in difficoltà.  Il male ai piedi era lancinante dopo appena tre passi.  Un dolore sordo che arrivava diritto al cervello. 
Il buio pesto e la nebbia le impedivano di capire dove stava andando.   Individuare la strada che il taxi aveva fatto per portarla fino a lì una impresa senza successo!
L’umidità le entrava nelle ossa.  Persino il cappello ne era così impregnato da diventare un peso. 
Che gran voglia di bestemmiare, si disse!
Ma era dotata di un autocontrollo invidiabile e andò avanti stoicamente fra merde di capra , sassi e fango!
Sentì un rumore sferragliante dietro di sé, mentre una lucettina fioca cercava di bucare quella muraglia di nero che aveva davanti. 
Vide arrivare sir Henry con una coppola grigia in testa e un mantello cerato, che ad ogni pedalata sventolando faceva pensare più ad un grosso pipistrello che ad un signorotto di campagna. 
Non voleva perdere la serata, le disse.   L’agenzia gli aveva promesso una serata di follie e di sesso estremo con la Tina e non se la voleva far scappare, tanto più che aveva speso un capitale per quella notte , per giunta in anticipo !
Bloccò la bici e cominciò ad inveire contro Tina.  Poi prese a strattonarla sempre più forte. 
Lei gli tirò una scarpa in testa, ma il vecchio Henry aveva trovato energie che non credeva di avere, e non mollava. 
Non voleva rinunciare alla scopata del secolo, questo aveva letto sul sito dell’agenzia alla voce Tina!
IL tipo le si era avvinghiato come un pitone.  Non riusciva a districarsene.  Tina fu trascinata nel fango e il cappello le volò via dalla testa. 
Dal buio emerse un cavallo.  La salvezza, sperò Tina!
Qualcuno saltò giù e cominciò a dar botte al vecchio puzzolente, in modo che allentasse la presa. 
Tina riuscì a rimettersi in piedi.  Toccò per terra per recuperare il suo piccolo tesoro di panno.   Al buio raccolse un cappelluccio da fantino, sformato e di poco prezzo, ma non il suo. 
Lei ci stava attenta a queste cose, anche nelle situazioni più improbabili, come quella.   La escort la faceva al bisogno, ma l’abitudine di dare un prezzo alle cose ce l’aveva nel sangue da sempre. 
Nel groviglio di corpi che aveva davanti , in quel buio, non distingueva il proprietario del cavallo e del cappelluccio con la tesa. 
All’ultimo pugno preso sul naso, sir Henry si decise a salire sulla sua bici per tornare alla sua tenuta.  L’epica scopata era finita con una ancor più epica scazzottata e alla sua età non poteva reggere oltre!
La coppola grigia rimase ramenga fra fango e cacche di pecora.  Non ci pensò un attimo al cappello, il fugone era ciò che ci voleva in quel momento!
Tina, in piedi, aspettò che il tipo del cavallo si girasse.  Era alto, Non si aspettava quegli occhi neri e quei capelli corvini che dicevano saltami addosso . 
Lui la guardò. 
Più che una donna era una maschera di fango, con i capelli in ciocche scomposte , senza alcuna forma e appiccicate alla testa. 
Lei ci provò a lanciargli uno sguardo fra il languido e il porco, del tipo prendimi qui, prendimi ora e non ne faccio nemmeno una questione di prezzo!
Ma lui si limitò a prenderle il cappello dalle mani per rimetterselo in testa, non vide o fece finta di non vedere quegli sguardi provocanti. 
Disse di chiamarsi Tom.  Era il factotum del signor Pickwick che abitava nella tenuta vicina a quella di sir Henry. 
Chi fosse lei lo aveva capito bene.   L’agenzia l’aveva contattata lui, sir Henry non aveva avuto il coraggio di farlo di persona. 
Tom la guardò con pietà mista a disprezzo, anche se in quella notte buia e disgraziata fu il primo sentimento ad avere la meglio. 
Fece salire Tina sul suo cavallo .  La portò nella sua casa che era ai margini della tenuta di sir Henry. 
Tina passò oltre un’ora in bagno per togliersi tutto il fango e la puzza che aveva addosso. 
Tom le passò degli abiti comodi, da uomo.  In quella casa non c’era altro. 
Tina si sentì rinascere.  L’attendeva una bella tazza di tè fumante che le tolse l’ultima traccia di freddo che le era rimasta addosso. 
La colpì l’aroma di tabacco Kentucky e whiskey Glenmorangie che aleggiava in casa.  Tom la guardava senza ombra di giudizio.   La guardava con disinteresse freddo, tanto che dalla sua bocca uscì secco solo questo: “ Domani mattina sveglia ore 9.  La accompagno alla stazione dei taxi.  Così potrà tornare a Londra.  La camera per gli ospiti è quella alla sua destra.  Spero di non rivederla più da queste parti!Buonanotte!”
Accanto alla pipa ancora calda rimase quel buffo cappello un po’ floscio e cencioso che Tina avrebbe ricordato per molto tempo, insieme al bel tenebroso a cui l’avrebbe anche data gratis.   Si era fatta un film , ma il lieto fine non era arrivato.   Tom non era uno di quelli! Lui,  scopava solo per amore!!. 

Una storia con tre cappelli: Un passaggio in bici di Luca

Due uomini e una bici – di Luca Miraglia

Tony si scrolla il fango dalle scarpe…

  • Maledetta macchina proprio qui mi doveva mollare!! che posto di vera merda!! – così andava maledicendo il tempo, il luogo e la ventura.

Lungo la viuzza fangosa arranca in bicicletta anche un ragazzotto rubizzo con un berrettaccio dalla lunga tesa calcato fino agli occhi.

  • Ehi! Buon uomo! – lo richiama Tony sbracciandosi nel suo tweed inadatto.
  • Io non sono buono… sono solo un po’ brillo! – esclamò Rudy da sotto il suo berretto.
  • Me lo darebbe un passaggio verso un telefono per chiamare un aiuto?
  • Ah ah ah…. venite a fare i fighi in campagna con le vostre spider e poi se non ci fossimo noi con le nostre bici sgangherate….
  • Per favore… – quasi supplicò Tony
  • Ok. Monta in canna che ti porto fino al Pub di Tina… vedrai che se è in vena, con un tipetto come te, altro che telefonata ti fa fare!!

Una storia con tre cappelli: Il basco, il berretto di lana e il cappellino bordato per Lucia

La veste a fiori – di Lucia Bertoni

Grassoccia e impacciata
Tina desiderava il passo lungo
e la veste a fiori

Cesare snello ed elegante
desiderava una donna morbida
da accarezzare

Pino il ragazzino
pensava solo a come
andare lontano

In cammino tutti e tre
Si incontrarono in cima ad una salita
così all’improvviso!

Gli occhi di Cesare
si trovarono difronte a quelli
di Tina grassottina

Fu amore
Amore subito

Tina era morbida e quel giorno
Indossava una veste a fiori
e che passi lunghi!!!

Le sue gambe sembravano
non finire più
Passi lunghi lunghissimi
accanto a Cesare!

E Pino il ragazzino?
Pino aveva capito
che per andare lontano
bisogna avere semplicemente
un desiderio

Gambe lunghe
Morbidezza
Veste a fiori
Desiderio
Amore subito

Scegli un cappello: La busta col pelo di Luca

Il cappello di Baldassarre – di Luca Miraglia

…E’ uno dei suoi giochi preferiti!

Fin da piccolo, andare a frugare fra le vecchie cose del nonno è sempre stato il suo passatempo preferito nei lunghi pomeriggi in casa, senza altro da fare che ispezionare gli angolini più reconditi della vecchia magione di famiglia.

Ora, da più grandicello, è ancora così, solo che ora riesce a raggiungere parti della casa che all’epoca gli erano inaccessibili… ed eccola là… la soffitta stracolma di vecchie suppellettili, mobili e mobiletti dismessi, ma soprattutto cassapanche: perfettamente allineate ed ognuna con il suo cartellino che ne descrive il contenuto (un po’ ossessiva la nonna nel conservare le cose…)

Meraviglia!!

Il primo cartellino dice “Abiti di Baldassarre”… il nonno…

Ecco qua la vecchia uniforme da marescialli dei carabinieri, due paia di bretelle sfinite, ma soprattutto cappelli. Coppole scolorite, il basco della seconda guerra, il cappello d’ordinanza e lui: il berretto peloso a busta che tanto aveva invidiato al nonno.

Subito lo calza. E’ un po’ stretto e scalda tanto coi suoi paraorecchi, ma odora ancora vagamente del tipico dopobarba dei nonni.

Con quel berretto in testa, in quella soffitta, la mente torna ai racconti di vita ascoltati mille e mille volte sulle sue ginocchia: può correre per l’aia di una piccola fattoria eritrea, oppure cavalcare al piccolo trotto per le vie di Bengasi, oppure ancora trascinare i piedi per un campo di prigionia in India. Può sentire qui ed ora la voce un po’ roca ma carezzevole che lo ha accompagnato in tanti viaggi fantastici (veri o meno poco importa)… ecco il nonno è qui ancora a condurlo per mano nel meraviglioso mondo tutto da scoprire…

Una voce lo chiama: – E’ ora di andare!! Non vorrai mica fare tardi al funerale del nonno!!…..

Scegli un cappello: Copricapo da gran freddo di Nadia

Cappello da aviatore – di Nadia Peruzzi


Scese dall’aereo monoposto e affondò nella neve ai primi passi fuori dalla piccola pista.
Era alto. Un Vichingo fatto e finito! Il Grande Nord la sua dimensione e la sua casa.
Un mondo dalle ombre lunghe e dalle notti infinite, alternati a giorni in cui la luce incendiava tutto.
Era il postino del piccolo villaggio di Stokmarknes. Da quelle parti .fra un’isola e l’altra si viaggiava in nave, motoscafo o con piccoli aerei come il suo.
Aveva scelto quel mezzo perché gli piaceva guardare dall’alto quell’intrico di fiordi e isole che rendevano unica la sua Norvegia. Fare a gara con i gabbiani che sfrecciavano vicini al suo velivolo l’unico diversivo alla monotonia delle sue giornate e delle sue consegne.
Ogni inverno indossava quel cappello verde con la pelliccia dentro e il paraorecchie. Un po’ per scaramanzia, un po’ tanto perché lo riparava dal freddo come nessun altro tipo di cappello sperimentato prima di trovarlo in soffitta, sotto una pila di ferraglia e arnesi da lavoro di suo padre.
Il freddo da quelle parti si insinuava come una lama tagliente e solo con quello riusciva a evitare di beccarsi una paresi da temperature esageratamente sotto lo zero. Una volta gli era toccato farci i conti e superarla non era stato per nulla semplice.
Per portare la posta a volte doveva fare slalom fra ghiaccioli alti quasi come lui. Dove c’erano alberi spesso erano come stalattiti che creavano barriere di cristallo impenetrabili.
Era un cappello malconcio. Sua moglie glielo diceva tutte le sere di cambiarlo e di comprarsene un altro.
“ Mi ci sono affezionato! Ha una storia. Era di mio padre, ricordi? Lo portava durante la lotta partigiana contro i nazisti. Non posso disfarmene. Ha attraversato con lui un periodo terribile e gli ha portato fortuna. Spero riesca a far lo stesso con me!”
Quando bussava alle casette di legno dai mille colori che rompevano la monotonia del lucore della neve ,tutti lo riconoscevano per la stazza e per quel buffo cappello da aviere della Grande Guerra di Liberazione.
Era uno di famiglia anche per quello.I loro padri avevano fatto parte della stessa brigata del suo.Molti non erano stati altrettanto fortunati. Forse quel cappello aveva un potere particolare,pensava ogni volta. Chi lo indossava,anche vecchio,logoro e spelacchiato, diventava invincibile.

Scegli un cappello: Il “cappello perfetto” di Lucia

Il mio cappello – di Lucia Bettoni

Tra tanti LUI

Lo conosco 

So già che mi starà bene 

È il mio cappello sicurezza 

Sobrio ed elegante 

Normale ma diverso 

Unico nel suo colore azzurro strano 

Lo indosso 

È perfetto 

Ne grande ne piccolo 

Posso tenerlo in testa con 

assoluta tranquillità 

Fa quasi parte di me 

Conosciuto e indossato da sempre 

NO     NO     NO 

Una voce da dentro urla NO

Voglio essere cattiva 

Voglio essere malvagia 

Voglio essere STREGA 

Voglio lanciare questo cappello perfetto 

in un fiume in discesa 

Un fiume con ripide cascate 

SPLASH     SPLASH    SPLASH 

Scorre il cappello perfetto 

Niente lo trattiene più 

Corro e lo guardo scivolare 

Rido rido rido come non ho mai riso 

Ciao cappello perfetto azzurro strano 

Io sono libera 

Una storia per tre autori dalle suggestioni di sei carte fantastiche: Carmela, Rossellina, Luca

La città di sotto – di Luca Miraglia, Rossella Bonechi e Carmela De Pilla

Ninì, occhi azzurri e capelli ricci e biondi, stamattina si gode un giorno di libertà dalla scuola.

Babbo e mamma usciti per i loro impegni (non senza mille raccomandazioni su cosa non fare, dove non mettere le mani, le solite storie insomma…), ora il grande giardino di casa è il suo parco giochi.

Un bel sole e tutti i colori di primavera lo abbracciano appena si affaccia, anzi, si tuffa tra erba fresca, margheritine, violette e quei strani fiori che non ha la più pallida idea di cosa siano: rossi rossi, a macchie irregolari proprio lì accanto al muretto di recinzione del giardino.

Ninì vi si sdraia accanto e li rimira curioso da ogni punto di vista.

  • Sono papaveri! – una voce gentile dichiara decisa da sopra la sua testa, da oltre il muretto.

Ninì alza lo sguardo e un ragazzo riccio come lui ma dagli occhi scuri e un gran sorriso lo sta osservando alle prese con la sua indagine botanica.

  • Ah – risponde Ninì – e tu che ne sai? –
  • So molte cose di questo mondo che tu non hai mai visto… –
  • Siii, figurati… – ribatte Ninì
  • Guarda qui! – e con un gesto rapido da prestigiatore il ragazzo fa apparire un papavero dalle sue mani vuote.
  • Accidenti!! Ne sai fare altri di giochi così?
  • Certamente! Se vuoi puoi venire con me e te ne mostro un mondo di questi giochi…-

Mmmhhh – mugolò tra se se Ninì… mamma e babbo non vorrebbero certo, ma con tutti questi giochi che cosa rischio in fondo?… appena mi stufo torno a casa e nessuno se ne accorgerà….

  • ok…andiamo!

…..ma Niní cominciava a non divertirsi più tanto, lo stupore diminuiva via via che i giochi e le trovate della sua strana guida si ripetevano e si dilatavano nel tempo.

Anche i colori si spengevano piano piano, Niní si accorgeva ora di angoli bui e corridoi di cui non vedeva la fine, e la luce, dove era finita?

L’ombra sembrava aver preso il sopravvento.

Basta, questo mondo nuovo e che sembrava così avventuroso non gli piaceva proprio più e come fanno tutti i bambini quando cominciano ad annoiarsi o ad aver paura, sbottò con voce stridula e tono perentorio:

  • Ora io voglio tornare a casa mia, nel mio giardino e ai miei giochi, non ci voglio più stare qui con te!

In risposta udì solo una voce venire da chissà dove che in tono calmo spiegò:

  • No caro Niní, nella Città di Sopra non puoi più tornare; mi hai seguito e ora sei un abitante della Città di Sotto, per sempre. Questo è definitivo!

Lo spavento fu tanto, povero Niní, che non trovò neanche la forza di piangere. Rimase lì, al semi buio, sentendosi abbandonato come quando al parco perse di vista la mamma per diverse ore. Si sedette a terra e cominciò a piagnucolare piano, quasi un lamento, poi aumentò il tono nella speranza che qualcuno di sopra lo sentisse. Ma lo Stregone, così ormai lo chiamava, aveva parlato chiaro: “per sempre”.

Fu allora che gli passarono per la testa tutte le storie di Capitani Coraggiosi e Cavalieri Temerari che aveva letto, tutti che trovavano nelle loro forze la capacità di farcela.

Ninì aveva ancora davanti agli occhi il volto di quella specie di stregone che lo teneva prigioniero nella città senza colore.

-Eppure- si diceva -Mi sembrava così buono, mi sono divertito con lui, mi ha insegnato tante cose, mai sono stato così bene…poi in un batter d’occhi è entrato nella bolla gigantesca ed è sparito nel nulla! E ora come farò a ritornare a casa? Mi manca la mamma,  papà e anche quella streghetta di mia sorella e qui è tutto buio! Ho paura, tanta paura! Gli alberi qui sono neri, nero è il prato, nere le case e non c’è anima viva, nessuno che mi possa aiutare!

È una città nera, nera proprio come la mia anima! –

Il terrore s’impadronì di tutto il suo corpo e come un fiore appassito, privo di vita si accasciò per terra, sentiva un gran vuoto e un freddo gelido imprigionò le gambe, aveva perso la percezione del tempo, i pensieri erano confusi e chiuse gli occhi.

Quando si svegliò gli apparve il bel volto di Nico, il suo migliore amico, cieco fin dalla nascita, mentre lo guardava con il suo sorriso rassicurante gli disse – Cerca dentro di te –

Aveva ragione Nico, doveva trovare la forza e il coraggio di uscire da quella prigione e incominciò a scavare dentro, se voleva salvarsi doveva cercare dentro di sé il mago che l’avrebbe aiutato a ritrovare la strada.

Proprio come il suo amico chiuse gli occhi e si avviò nell’oscurità della città senza colore, c’era tanto buio e la paura non diminuiva poi aguzzò il fiuto e proprio come fanno i cani si lasciò guidare dal profumo che sentiva in lontananza – Ma è il pane di Beppe! – esclamò saltellando dalla gioia.

La fragranza del pane appena sfornato penetrava nei vicoli della città nera e via via la pena che lo aveva accompagnato fino a poco prima sfumava per dare posto alla speranza, gli occhi non ce la facevano più a stare serrati e quando li aprì una luce fioca si fece spazio tra tanto buio e illuminò il suo cuore.

Ora sapeva, era sicuro di riabbracciare la mamma, il papà e quella dispettosa di sua sorella.

Le lacrime bagnarono anche il  cuore e si sentì leggero come l’aria fresca che penetrava nella città di sotto.

Grazie Nico.

Una storia scritta da tre persone separatamente osservando sei carte-suggestione: Carla, Anna, Lucia

L’amore perduto – di Carla Faggi, Anna Meli, Lucia Bettoni

Wuaaaa! Lo sbadiglio riempie la stanza, è così forte che la luce del sole ormai alto che entra dalla finestra quasi si ritira impaurita.

Wuaaaa! Il ragazzo sbadiglia di nuovo, seduto sul letto si stropiccia i capelli scoprendosi la fronte, poi va in bagno, due dita umide sono più che sufficienti per permettere agli occhi di aprirsi alla giornata.

Si veste stancamente e si sposta sul divano.

-Che palle!- pensa- Uffa! Tutti i giorni uguali, uno come me avrebbe bisogno di più, avventure, misteri, scoperte, invenzioni. Con le mie grandi capacità potrei fare di tutto: andare sulla luna a ricercare quel senno perduto, mi sembra da un certo Orlando. Potrei scoprire il segreto del mostro di Loch Ness; oppure fare il giro del mondo in…diciamo tre giorni e mezzo, in ottanta l’ho trovata un’esagerazione! Potrei andare su un’isola deserta e trovare l’amore della mia vita!…accidenti quest’ultimo però è difficile!

Allora farò questo!

Ho deciso, partirò per un’isola deserta a “la recherche de l’amour perdu”.

Apre la porta e va.

Lo spazio che gli è davanti è infinito, ma lui è determinato e così rincorre l’immaginazione, cerca e trova il perduto senno, scopre i luoghi e i misteri  non solo di questo mondo ma di tanti e tanti altri mondi, ma l’amore, quello speciale, non lo trova ancora.

Ormai esausto dal lungo girovagare, trovata finalmente l’unica isola deserta disponibile, si stende in un luogo riparato per un breve riposo; gli occhi gli si chiudono involontariamente. Nel dormiveglia sognante rivede la sua macchina da scrivere con la quale dava vita ai romanzi d’amore che piacevano tanto alla sua ex ragazza. Poi tutto si materializza: un desiderio irrefrenabile di lei lo assale, l’amore rinasce più forte di prima e scrive sulla macchina immaginata cose che non è mai riuscito a dirle, rimaste lì imprigionate nel suo cuore. Soffre per non averle saputo manifestare la sua passione e la desidera con tutto se stesso rimpiangendo di non essere riuscito a riallacciare quel rapporto che avrebbe potuto essere la completa felicità per entrambi.

Potrà esserci ancora un’altra possibilità?…Si sveglia riapre gli occhi e……capisce…perché in ogni uomo risiede una divinità ancestrale forte e sensibile, una forza invisibile che può qualsiasi cosa. Ogni parola, ogni piccola sillaba della lettera del ragazzo si libera nello spazio, scivola tra le nuvole e veloce come una saetta giunge nelle mani di un demone alieno.

Lui era lì con le braccia aperte in attesa di messaggi dal mondo, in attesa di energie positive, di desideri, di sogni, di aspettative, d’amore.

Il demone afferra la lettera con un respiro dell’anima e sente tutto l’amore in essa contenuto.

E’ per una ragazza la lettera, ma non una ragazza qualsiasi.

Le lettere d’amore scritte con l’anima sono per le ragazze verdi, quelle rare, quelle che si vedono solo con il cuore.

Sono le ragazze verdi come alieni quelle che si fanno riconoscere solo da chi sa guardare oltre.

La ragazza verde riceve la lettera: è un invito, è una forza fluida che la porta dritta dritta su quell’isola deserta dove lui, il suo grande amore, quello mai dimenticato, l’aspetta.

Quell’isola assomiglia alla luna: uno spazio vuoto e infinito dove il ragazzo e la donna verde vivranno insieme ai loro sogni e a quelli di tutta l’umanità sensibile.