Fico fico boccon boccone – di Cecilia Trinci

Il cestino pieno di fichi lo vedevo solo in campagna, dalla mia nonna, che un giorno se n’era andata ad abitare a Castelfiorentino, lasciandoci orfane, me e mia sorella piccine, di quella sua costante presenza consolante. D’estate avevamo ottenuto come risarcimento, di stare da lei per diverse settimane e tutto diventava stupore: la vasca da bagno con lo scalino per starci seduti, la veneziana in cucina che la divideva dal tinello, le scale di pietra per andare nell’orto dove le tartarughe andavano in amore e si mettevano a correre tra le dalie.
La spesa la portava a casa un certo “procaccia” con la bicicletta e accanto alla sporta di rafia, infilata sul manubrio, non mancava mai il corbellino dei fichi. Erano avvolti come neonati in fresche foglie grandi, pelose ma morbide, erano frutti soffici, fragilissimi, umidi, con un picciolo spesso e lattiginoso da cui mia nonna li acchiappava, uno dietro l’altro, per mangiarli subito.
Per mangiarli si fa così diceva: lo tieni per il picciolo, da sotto in su e poi lo sbucci, piano piano, partendo dalla piccola apertura che si apre proprio verso di te, lasci cadere la buccia in giù, verso il picciolo, a piccoli lembi, che ti copriranno la manina quasi come veli verdi leggeri….il fico ti apparirà così, tra le dita, bello nudo, con la sua camicina bianca pronto per essere mangiato…. in un solo boccone!
Mia nonna aveva il potere di rendere incredibile qualsiasi cosa fosse commestibile. Dopo un temporale raccoglieva le chiocciole tra i fiori, in certe passeggiate verso la Pieve, le spurgava poi per giorni in un mastello bianco di farina abbondante, dove infilavo continuamente gli occhi per curiosare su cosa mai potesse succedere a quella strana combriccola di antenne e poltiglia. Le cucinava poi con un sugo di cui ricordo il profumo, pieno di spezie, erbe dell’orto e sapori inediti, girando il tutto di frequente, con un mestolo rigorosamente di legno e raccontando ad alta voce quello che dentro si stava tramutando. Apparecchiava sempre come per pranzi regali, riempiva i piatti religiosamente e poi le gustava una ad una come capolavori del creato e della pentola.
Non ho più mangiato chiocciole e non amo particolarmente i fichi, ma mi accorgo ora, pensandoci, che questi piccoli pezzi sono conficcati nelle istantanee virtuali di casa mia. Chiocciole e fichi sono mia nonna, ma sono anche l’eredità di lei, che toccava ogni cosa lentamente, in profondità, osservandole con tutti i sensi, conoscendole nell’essenza. Pensandoci, faceva così con tutto il creato che la circondava.
Pensandoci faceva così anche con le persone. E con le parole.
Il” procaccia” che credevo fosse un cognome…le lumache che : che schifoooo
I fichi…una nonna bella da guardare…
Pochi pezzi , per puzzle speciale
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Che belli i ricordi delle nonne sempre pronti a ricordarci qualcosa di bello o di particolare.
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Toccare in profondità, osservare con i sensi e conoscere nell’essenza: tutte modalità conoscitive empiriche e di forte intensità di altri tempi. Oggi tutto scorre velocemente ma quel che è peggio con irriducibile superficialità, mai niente di vero e di essenziale.
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Viaggio nel passato come un valzer lento.
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