Il caos – di Gabriella Crisafulli

C’era quella grande casa: quattro piani di sogni in libertà. C’era la voglia di cercare la gioia in ogni cosa, di costruirla momento per momento, malgrado tutto. C’erano libri, tanti libri, che si rincorrevano su e giù per le scale. C’erano i profumi di macis, cardamomo e melograno che si intrecciavano come liane. C’erano le poesie che volavano leggere in un ping pong quotidiano.
C’era la voce suadente di lui che ripeteva la filastrocca: “C’erano tante rose affacciate alla finestra, che ridevano come spose preparate per la festa … “
C’erano lui e lei uniti nella voglia testarda di una gioia perfetta. C’era la forza di trasformare mostri e fantasmi in concime.
Poi il vento è cambiato. All’inizio impercettibilmente. C’era la figlia smarrita. C’era una pena che tarlava il fisico e la mente: perché? C’era il nipote centellinato con il contagocce: erano dovuti andare dal parroco per poterlo vedere. C’era la sorella con un tumore al seno che urlava maledizioni verso la madre. C’era che lui e lei erano gli unici ad andarla a trovare regolarmente. C’era che la sorella le diceva che era cattiva e per questo la figlia non la voleva vedere. C’era che però ancora riuscivano a tenere insieme i mattoni.
Poi ci fu il tracollo. La morte, il tradimento, l’inganno, la beffa, le accuse, i rimproveri, … mentre un fiume della Publiacqua inondava, perfido, le mura di quella casa.Ci furono traslochi, avvocati, periti, muratori, imbianchini, …Ci furono ricoveri, operazioni, letti, stampelle, fisioterapisti, badanti …Ci fu che tutto venne appoggiato a terra perché non poteva camminare, salire le scale, prepararsi da mangiare. Ci fu che viaggiava nel mondo dei vivi alla velocità di un lombrico. Ci fu una nebbia che avvolgeva tutto e impediva di vedere e pensare.
Ecco arrivare la foto.
È la certificazione dell’orrore e della ripulsa verso il caos.
C’era la frase che emergeva dal passato: “Ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa.”C’era il rifiuto di fare alcunché. C’era il senso di colpa. C’era la mente che andava in frantumi se pensava di rimediare a quel caos.C’erano libri, camicie, padelle, computer, cuscini, colle, giornali, scarpe, sacchetti di plastica, stoviglie, fogli, tanti fogli… sparsi un po’ ovunque come farfalle morte.
C’era Shu Iag Li, austera, ieratica, asettica, muta che la guardava con occhi fermi ed espressione fissa. C’era l’omino con i capelli ricci e i baffi che nascondeva i suoi segreti dietro al volto a righe bianche e rosse.
E Samanta? Dov’era Samanta, la bruca che canta? Samanta la bella, verde, con una grande bocca rossa, i capelli lunghi e neri ornati da un fiocco di strass e piume.Sentiva che Samanta la chiamava. Doveva trovarla. Forse poteva ricominciare da lì.

