Tre cappelli in gioco con Daniele

Tradimento – di Daniele Violi

La signora Cappello Tina, con l’amico, Coppola Inglese, si frequentavano, vuoi al teatro, vuoi alle corse ciclistiche, al velodromo, vuoi ai party con Martini e Rossi. Erano incontri che suscitavano nel Coppola Inglese tanto interesse per la Cappello Tina, per le sue doti di teatralità quando ella nascondeva i suoi desideri intriganti, quindi un’ottima occasione da portare avanti per il signor Coppola Inglese che si appassionava tutte le volte che si incontravano. Ma in una serata di ballo, si presento’ una giovane donna cavallerizza vestita con un cappello da fantino e con il frustino di pelle. Aveva i capelli con una coda che usciva dal Cappello Fantino. Il signor Coppola Inglese, si sentì fulminato da questa visione e da quel momento dalla signora Cappello Tina, si allontanò, e iniziò a rincorrere la coda di capelli del Cappello Fantino.  

Una coppola per Daniele

Una coppola inglese – di Daniele Violi

Una coppola inglese in lana, coppola sciupa femmine di colore nero fumo di Londra. Una coppola che sulla mia testa girerebbe su una bicicletta, per una vacanza irlandese. Mi troverei a mio agio, con un inglese maccheronico che sebben studiato alle serali si esprime senza fatica, mi darebbe un tocco da lontano nelle vesti di un Sir che l’auto in panne ha costretto a spostarsi in bici. Mi sentirei amato anche dalle pecore che sentirebbero da lontano l’odore della lana di una loro simile, e sarebbero ancora più curiose vedendomi in posa fermo davanti ai loro occhi con la bici, vicino ad un recinto di pietre e sassi. La mia sagoma oltremodo composta di una giacca in fustagno, camicia di gabardina, pantaloni di velluto, infilati dentro calzettoni a quadri scozzesi, e a completare le scarpe che nonostante lucidate con ottima cera d’api e anilina, si sono ammantate di polvere e di schizzi di letame che per le strade la mia bici aveva cercato di scansare e svicolare. Una discesa mi chiedeva di indossare la coppola alla rovescia per non vederla volare. La direzione da prendere e la prevalenza in tutte le decisioni soltanto con la coppola in mano o tra le mani, aveva modo di uscire dalla mia testa. Un cappello, il cappello che come un gessetto sulla lavagna, lascia un segno sempre. A me il cappello, protegge.    

Un cappello per Carmela

I cappelli di Berta – di Carmela De Pilla

Conosciuto in paese come persona integerrima, severo con se stesso e con gli altri e rispettato da tutti aveva grandi progetti per sua figlia, fra tutte era la ragazza più bella e nelle calde sere d’estate si pavoneggiava per le vie di Signa mettendo in mostra quella naturale bellezza che faceva girare la testa.

Si distingueva per l’altezza  e il fisico slanciato e sapeva portare con disinvoltura e una certa civetteria gli abiti dell’ultima moda, il viso ovale, incorniciato da una cascata di riccioli biondi regalava un sorriso seducente, un po’ innocente e un po’ malizioso che catturava la simpatia di quei ragazzotti che le gironzolavano intorno nel tentativo di suscitare un interesse d’amorosi sensi.

La ricordo ancora quando per la festa della Beata passeggiava impettita a braccetto del babbo per le stradine dell’antico borgo, il Castello, per recarsi alla chiesa di San Giovanni Battista, con la gonna a godè verde pastello e il twin-set rosa cipria, era vanesia Berta, quel tanto che basta per renderla unica e fu lei la prima del gruppo a indossare il costume da bagno a due pezzi che sfoggiava come una grande diva in quei meravigliosi anni 50, sapendo di essere bella e corteggiata faceva di tutto per valorizzare la sua persona.

Fin da giovanissima voleva rendersi indipendente così ben presto incominciò a lavorare in una fabbrica di cappelli, una delle tante sparse in tutto il territorio delle Signe, passava ore a intrecciare la paglia e ogni volta che ne finiva uno sfilava tra i tavoli con la sua raffinata eleganza e tutte si fermavano ad ammirarla, con il primo stipendio comprò un cappello di paglia di Firenze che indossava senza alcun imbarazzo.

Diventò per lei una vera passione quella dei cappelli, nel colbacco di astrakan nero si sentiva Anna Karenina, nel cappellino in tessuto vellutato a costine blu verde era Silvana Mangano e poi c’era il suo preferito, il fascinator di feltro grigio perla con la veletta appena calata sugli occhi fatto su misura dalla modista, ogni cappello valorizzava la sua persona e metteva in risalto la sua spontanea sensualità e lei giocava a fare la diva, poi fu la volta di quello a tesa larga stile Hepburn, quello nero di paglia trinata con il fiore sgargiante e tanti altri ancora.

Ora alcuni sono lì, nelle loro scatole che ricordano il bel volto di Berta.