Il fico ritrovato

Un fico tra verde e blu – di Stefania Bonanni

Dalla sua casa lei vedeva solo il mare, ed il fico grande, tra la terra e il blu. Il blu si mescolava al verde delle grandi foglie senza spigoli, quando la brezza le faceva vibrare, quasi al ritmo delle onde. Lo sapeva, tutto c’era sempre stato, senza scossoni, immobile. Il fico era forse nato con la terra, ma non c’erano le sue finestre senza l’albero, non c’era quel blu, senza quel verde.

Immobile. Lo scossone lo dette lei. In paese sentirono, quelli che potevano sentire, alte grida e porte sbattute, ma le grida non erano le sue. Lei non sentiva, e non parlava. Chi pensava non capisse, non sapeva di quanto sbagliava. Chi pensava sorridesse perché  non soffriva, aveva per se’ problemi mentali. Chi pensava ci fosse di peggio, non si era mai messo nei suoi panni.

Erano i primi anni sessanta, non era facile lasciarsi alle spalle la Sicilia. Scrisse, prego’, batte’ pugni sul tavolo, ando’ a meditare dalla zia suora, in convento, ma torno’, ora si, con le idee più chiare, finalmente. Decise, che sarebbe andata a studiare a Firenze. Fu evidente che la cosa non era trattabile. Il piccolo lascito dei nonni, per il futuro della bambina “sfortunata”, sarebbe servito per l’affitto di una stanza, e per l’università.  Non aveva bisogno di altro. Quando fu pronta, si girò perché le rimanesse negli occhi il mare, ed il fico. Tra lei e loro, la sua mamma vestita di nero, con gli occhi lucidi e le mani che nascondevano i grani del rosario.

Fece un viaggio lunghissimo, ed è sempre la prima volta, quando siamo soli per la prima volta. Viaggiò in treno, in traghetto, ancora in treno, poi in mezzi di città.  Non perse i bagagli, né fu derubata. Non si erano avverate le previsioni familiari.

Arrivò all’appartamento trovato per lei da un conoscente , e non se lo era immaginato così. Due piccolissime stanze al secondo piano di una casa costruita in verticale, anziché in orizzontale, come a casa sua. Uno dei primi “grattacieli”, ma lì i piani erano tre, e non si grattava proprio nulla, il cielo si vedeva solo sporgendosi dalla finestra e torcendosi  all’insu’. Dall’unica finestra, si vedeva solo una striscia di ghiaia che separava quella costruzione da quella simile per forma, ma molto più  imponente, proprio davanti, e spostata più  In prossimità della strada, così che davvero non si vedesse proprio null’altro che pareti. E di finestre, solo una. Quando era in casa, era sempre davanti alla finestra. Leggeva, mangiava, studiava, viveva,  dietro un vetro.

Se ne accorse in un giorno di vento. Vide il vialetto mutare di colore,  ombre di foglie grandi disegnavano movimento sulla ghiaia. Era diverso da quello che conosceva,  Era giovane e casuale, ma si intuiva testardo e deciso a crescere, a diventare visibile a tutti, forte e coraggioso.

Prese a parlare con l’albero. Era piu’ facile che tentare di farsi capire dalle persone. La mattina, guardandolo, raccontava alle loro anime i suoi pensieri, i sogni della notte, i programmi della giornata, la fatica degli studi, l’invidia per chi la vita ce l’aveva piu’ facile. Leggeva anche le lettere che arrivavano dalla Sicilia. La prima volta fu spiazzata, non se lo aspettava. Poi, divento’ abitudine , diventarono la prima cosa che cercava, nelle buste. C’erano un paio di paginette scritte in bella calligrafia antica dalla sua mamma con notizie sulla salute dei familiari, dei parenti, dei conoscenti, poi pensieri d’affetto e di augurio per la vita della figlia, poi, senza ne’ spiegazioni, ne’ annotazioni, ritagli di giornale. “Ragazza violentata nei giardini dietro la stazione”, e seguivano particolari. “Donna scippata e trascinata dalla moto del rapinatore” “Furto in appartamento di ragazza che vive da sola” “Ragazza investita dal tram, non l’aveva sentito arrivare” e così via, in tutte le lettere. All’inizio fu turbata, le sembro’ non l’aiutassero, che la volessero impaurire, poi cerco’ di capire quello che non c’era scritto. E comincio’ divertita ad aspettare i ritagli di giornale. “Chissa’ oggi cosa mi tocca!!” Rispondeva alle lettere senza mai accennare alle tragedie dei giornali. Raccontava di stare bene, studiare tanto, fare fatica ma con buoni risultati, di andare da tutti gli specialisti dai quali aveva promesso di andare. Grandi nomi, professoroni, tutti al Nord. Cresceva lei, cresceva il fico.  Lei in altezza non crebbe molto, sembro’ per sempre una ragazzina, lui nemmeno, sara’ stata la mancanza di cielo, fatto sta che ando’ per largo, si fece spuntare teneri ributti alla base, che lo irrobustirono.

Non fu mai fiorita, lei, e nemmeno lui faceva fiori. I frutti erano fiori, e bisognava cercarli, tra le foglie. A nessuno interessavano fichi nati in mezzo ai fumi di scarico del traffico cittadino. Pero’ erano robusti, tutti e due. Muscoli magri leggeri e guizzanti, che puntavano in alto con fiducia.

Furono anni intensi, ma l’obiettivo era chiaro e luminoso come tutti i sogni.

Vennero dalla Sicilia, per la laurea. Era diventata ingegnere elettronico. Avrebbe lavorato alla realizzazione di impianti di amplificazione e decodifica attraverso speciali cuffie, degli impulsi sonori. Nel frattempo, aveva imparato ad emettere suoni faticosi, ma utili a farsi capire.

Divento’ un professionista importante, fu cercata da industrie tecnologiche,  ebbe disponibilità finanziarie.

Comprò  una casa comoda ed elegante, per i genitori, che non vennero, fino a che furono capaci di intendere e volere. Continuarono a scrivere. Abitavano già  con lei da un po’, quando le arrivo’ l’ultima lettera. La apri’ stranita,  sembrava uno strano scherzo del tempo. Strappo’ la busta…casco’ il ritaglio di giornale. “Trovato cadavere di donna che viveva da sola. Si pensa ad un malore. Non era in grado di chiedere aiuto”. Lei all’epoca dirigeva un Impero economico, con sedi all’estero e centinaia di dipendenti. Loro non l’avevano mai presa sul serio. Non era cresciuta, era piccola, e sordomuta, ed era nata in un paesino della Sicilia, in una casa con una finestra dalla quale si vedeva solo il mare, ed il grande fico, davanti.

Il piccolo appartamento di lei studentessa l’aveva comprato.  Anzi, a dirla tutta, aveva comprato tutto il “grattacielo”. Poi glielo avevano espropriato. Lei aveva posto una condizione: la costruzione di una grande, riparata,  comoda aiuola, intorno al fico.

La vitalità del fico

Il fico perduto – di Vanna Bigazzi

“Rinasce sempre dalle radici anche quando credi di averlo ucciso”. Questa meravigliosa scintilla di Cecilia è quella che più di tutte le altre è penetrata dentro di me. Sento che mi appartiene. Più volte nella vita mi sono trovata nella situazione di vedermi, anche se molto lentamente, rinascere,  dopo essermi sentita “rasa al suolo”. “Vedermi rinascere” con mio stesso stupore…”Come può avvenire questo”? Mi chiedevo, era come se, a mia insaputa, ardesse dentro di me una fiamma inestinguibile. “Istinto di vita” direbbero gli psicologi. “L’aiuto divino per i martiri”spiegherebbero i Cattolici. “Il tempo passa e necessariamente si dimentica”aggiungerebbero i razionalisti. Non lo so, forse sono tutte vere queste interpretazioni. Per quanto mi riguarda posso esprimere soltanto quello che sento. Esiste in me una forza che si rigenera fatalmente in proporzione alla frustrazione ricevuta in egual misura; poi addirittura si accresce, per cui il sacrificio mi restituisce sempre qualcosa in più. Questa percezione mi spaventa un po’ e mi chiedo quando arriverà il momento in cui questo fuoco si esaurirà, perché dovrà arrivare…Mi fermo alla descrizione di ciò che provo, senza addentrarmi in spiegazioni filosofiche che lascerebbero il tempo che trovano. Tanti anni fa, nel giardino in campagna, una persona a me vicina, senza avvisarmi, rase al suolo un delizioso fico al quale io tenevo in modo particolare perché mi ricordava la mia infanzia nel Mugello, quando con delle amichette, mi recavo a bere acqua di sorgente freschissima, ad una antica, rudimentale fonte in pietra che si trovava “in vetta alla salitella”così dicevano. Eravamo stanche e sudate quando si arrivava e ci inebriavamo di quella freschezza, racchiudendo l’acqua nelle foglie di un fico a ridosso della sorgente, creando con queste, coni a mo’di calici. Ricordo perfettamente le sensazioni che provavo nel dissetarmi: sapori selvatici, puri, effervescenti, in quel luogo ombreggiato dalla pianta perenne; odorosi come frutta raccolta da poco, o come fiorellini appena recisi. Pareva di deglutire una brezza profumata che mi rianimava ad ogni sorso. Era proprio una interiorizzazione non solo dell’acqua ma del fico medesimo. Tornando alla spiacevole sorpresa che provai quando mi accorsi che il fico nel mio giardino non esisteva più, ricordo di essermene molto lamentata con il responsabile di simile scempio e pensai che non avrei mai più goduto di quel fico, per me carico di significati e reminescenze. Invece non è stato così, oggi quella pianta è di nuovo grande e bella e, quando non me li rubano, posso godere ancora di quei dolcissimi frutti. La pianta è sopravvissuta anche alla persona che l’aveva divelta, come spinta da una forza nascosta e potente che la natura le ha donato. In ognuno di noi la natura opera miracoli diversi, a me ha donato questa potenzialità di rigenerare me stessa, per cui quando osservo questa pianta posso parlarle in tutta sincerità:” Cara amica mia, ti amo perché mi somigli; non sei una pianta di qualità o di rilievo scientifico ma di forza e tenacia, riesci a ricrearti costantemente ed essere sempre produttiva, proprio come è “toccato” a me.

L’albero di fico

Pervicacia, come l’albero del fico – di M.Laura Tripodi

La mattina si era manifestata un po’ obliqua. Né primavera, né autunno. Le fioriture dicevano una cosa, la temperatura e la pioggia un’altra.

Le capitava spesso di rimanere a bocca aperta davanti alla finestra chiusa, le braccia conserte a viaggiare per ogni dove. Non vedeva niente, ma quando partiva per questi suoi viaggi aveva sempre bisogno di farlo davanti al vetro di una finestra chiusa.

Cielo plumbeo, vento che soffia e fa arrabbiare le chiome degli alberi. E più in là, in un giardino mai visto ecco sbocciare una rosa, in tempo reale.

Marta tirò su il fiato dilatando i polmoni fino all’inverosimile.

Il balzo del tempo fu immediato.

Dovette sedersi sul dondolo. Certo che quella casa sussurrava di continuo. Era un raccontare simile al  movimento del pendolo. Solo che ad ogni oscillazione corrispondeva un’emozione, un ricordo, una sensazione, un profumo.

Un movimento perenne.

Cielo plumbeo, vento che soffia e fa arrabbiare le chiome degli alberi. E più in là, in un giardino mai visto ecco sbocciare una rosa, in tempo reale.

Se ne era andata adolescente, poi era tornata.

Se ne era andata giovane donna con il suo bel vestito bianco di velluto e macramè. Suo padre si era come aggrappato al suo braccio facendo finta di sorreggerla. Lo aveva fatto con pervicacia , dal secondo piano fino al portone e non l’aveva mollata nemmeno quando erano saliti in macchina. Aveva continuato ad aggrapparsi a lei anche lungo la navata della chiesa. Quando poi l’aveva lasciata Marta aveva percepito un  sussulto.

Piangeva. Suo padre piangeva.

Asciugò anche lei qualche lacrima in quel presente che la trascinava lungo il fiume delle emozioni.

Controcorrente.

Poi tante cose erano accadute.

Quando era tornata, la casa era immobile e silenziosa.

Dentro di lei povere macerie fumanti, ma le mura si erano come aperte per accogliere la sua paura e trasmetterle un messaggio di speranza  Come un invito a ricominciare da lì.

Di nuovo tornò nel tempo presente quella rosa odorosa che sbocciava in tempo reale. Le stanze sembravano respirare e parlare: noi siamo sempre state qui. Ti abbiamo visto bambina obbediente, poi adolescente ribelle, poi giovane donna piene di speranze.

Adesso …….

Adesso le sembrò di udire un leggero movimento  alle sue  spalle.

Un pensiero si era nascosto nel fruscio appena percepito: lei non era mai andata via, lei era sempre scappata.

Adesso….

Adesso era a casa.

E fuori, quando finalmente volle guardare quello che c’era scorse un albero di fico che era sempre stato lì, ma che lei non aveva mai visto.

C’era prima che fosse costruita  la casa e ci sarebbe stato per molto tempo ancora.

Pervicace come la stretta di suo padre prima di lasciarla all’altare.

Dodicesimo incontro virtuale: la tenacia del fico

Avete mai notato l’albero di fico? Così semplice, umile, eppure fortissimo, cresce dappertutto, non teme la siccità, rinasce sempre dalle radici anche quando credi di averlo ucciso.

E’ un albero antichissimo, che viene dall’Asia Minore, ben noto agli Egiziani che lo consideravano segno di immortalità tanto da usarlo per costruire i sarcofagi. I Greci lo consideravano simbolo di fecondità e pensavano fosse sacro a Dioniso.

Diffuso dai Fenici è stato sempre un frutto sacro agli dei e si racconta che Polifemo usava il latticello per cagliare il latte e fare il formaggio.

I Romani lo consideravano un albero sacro a Marte e sembra che la cesta di Romolo e Remo fosse stata trovata……. sotto un fico!

Nel mondo cattolico ha avuto significati negativi e positivi. Secondo una leggenda Giuda si impiccò a un albero di fico dopo aver tradito Gesù, ma la foglia di fico fu usata per pudore da Adamo ed Eva e anche, dopo, per coprire le nudità di opere d’arte …..

Secondo una leggenda Maria e Giuseppe, in fuga dall’Egitto con Gesù, furono nascosti da un albero di fico che coprì la Sacra famiglia con i suoi rami durante la notte. Maria la mattina chiamò il fico “sacro” e lo ringraziò…

Vi lascio come scintille:

  • tenacia
  • umiltà
  • rinascita

ma soprattutto queste parole di Epittèto, filosofo greco del primo secolo dopo Cristo:

“Nessuna cosa grande compare all’improvviso, nemmeno l’uva, nemmeno i fichi. Se ora mi dici: “Voglio un fico” ti rispondo: “Ci vuole tempo”. Lascia innanzitutto che vengano i fiori, poi che si sviluppino i frutti e poi che maturino”…..(Epitteto, Diatribe, 50-135 d.C.)

Il gioco delle immagini – sedici

Il caos – di Gabriella Crisafulli

C’era quella grande casa: quattro piani di sogni in libertà. C’era la voglia di cercare la gioia in ogni cosa, di costruirla momento per momento, malgrado tutto. C’erano libri, tanti libri, che si rincorrevano su e giù per le scale. C’erano i profumi di macis, cardamomo e melograno che si intrecciavano come liane. C’erano le poesie che volavano leggere in un ping pong quotidiano.

C’era la voce suadente di lui che ripeteva la filastrocca: “C’erano tante rose affacciate alla finestra, che ridevano come spose preparate per la festa … “
C’erano lui e lei uniti nella voglia testarda di una gioia perfetta. C’era la forza di trasformare mostri e fantasmi in concime.

Poi il vento è cambiato. All’inizio impercettibilmente. C’era la figlia smarrita. C’era una pena che tarlava il fisico e la mente: perché? C’era il nipote centellinato con il contagocce: erano dovuti andare dal parroco per poterlo vedere. C’era la sorella con un tumore al seno che urlava maledizioni verso la madre. C’era che lui e lei erano gli unici ad andarla a trovare regolarmente. C’era che la sorella le diceva che era cattiva e per questo la figlia non la voleva vedere. C’era che però ancora riuscivano a tenere insieme i mattoni.

Poi ci fu il tracollo. La morte, il tradimento, l’inganno, la beffa, le accuse, i rimproveri, … mentre un fiume della Publiacqua inondava, perfido, le mura di quella casa.Ci furono traslochi, avvocati, periti, muratori, imbianchini, …Ci furono ricoveri, operazioni, letti, stampelle, fisioterapisti, badanti …Ci fu che tutto venne appoggiato a terra perché non poteva camminare, salire le scale, prepararsi da mangiare. Ci fu che viaggiava nel mondo dei vivi alla velocità di un lombrico. Ci fu una nebbia che avvolgeva tutto e impediva di vedere e pensare.
Ecco arrivare la foto.
È la certificazione dell’orrore e della ripulsa verso il caos.
C’era la frase che emergeva dal passato: “Ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa.”C’era il rifiuto di fare alcunché. C’era il senso di colpa. C’era la mente che andava in frantumi se pensava di rimediare a quel caos.C’erano libri, camicie, padelle, computer, cuscini, colle, giornali, scarpe, sacchetti di plastica, stoviglie, fogli, tanti fogli… sparsi un po’ ovunque come farfalle morte.
C’era Shu Iag Li, austera, ieratica, asettica, muta che la guardava con occhi fermi ed espressione fissa. C’era l’omino con i capelli ricci e i baffi che nascondeva i suoi segreti dietro al volto a righe bianche e rosse.
E Samanta? Dov’era Samanta, la bruca che canta? Samanta la bella, verde, con una grande bocca rossa, i capelli lunghi e neri ornati da un fiocco di strass e piume.Sentiva che Samanta la chiamava. Doveva trovarla. Forse poteva ricominciare da lì. 

Il gioco delle immagini – quindici

Scherzi di maggio – di Cecilia Trinci

Ormai era entrata.

Non aveva chiesto neppure il permesso e non si rendeva conto come fosse accaduto.

Era stato un attimo di distrazione, aveva solo chiuso gli occhi, sotto quel sole di maggio, sulla terrazza, tra la menta e il basilico, con il profumo del gelsomino che saliva  da quella spalliera dei vicini che traboccava di piccoli fiori trionfanti.

Un attimo a occhi chiusi e  si era ritrovata in quella stanza.

 Credeva di aver messo cura nel riporre nello zaino gli asciugamani  e i costumi, il pareo,  l’abbronzante nella taschina esterna, il repellente per le zanzare, il treeoil per le punture di meduse, gli occhiali e il libro da leggere. L’essenziale. La teglia l’aveva comprata per i piccoli che stavano arrivando. Frittata di patate che piaceva a tutti. L’avrebbero portata sulla spiaggia e mangiata nei piattini biodegradabili. La “pampa” verde era quella dell’anno scorso, portata in spiaggia e poi non usata perché poi sarebbero stati tutti insieme in acqua a sguazzare e a ridere e a dirsi “guarda guarda….guarda cosa so fare!?”  La sera,  ai primi brividi sulla finestra aperta sul tramonto, avrebbe messo la camicia a quadri e si sarebbe ricordata che era ancora primavera.  C’era tempo, tanto ancora da vivere e la luce avrebbe portato via le malinconie dell’inverno. C’era il libro che da anni scriveva e che ogni anno ricominciava da capo. Perché i ricordi si allungavano e i dolori si stendevano sul divano scricchiolando, cantando ogni giorno una nuova canzone  che da capo andava riscritta. C’erano i fiori. E i profumi. C’erano le foto.

C’era un computer che la teneva sveglia  e mangiava parole, masticandole in silenzio….

Allungò la mano, sul terrazzo, al sole, mentre i merli cantavano pensando solo al proprio nido lassù, tra le frasche del giardino.

Forse fu solo allora che si accorse di essere entrata nella sua  testa, quella cosa che a volte pareva vivere per conto proprio e che spesso si scollegava dal collo e partiva per angoli personali…Fu solo allora che si accorse di non volerne uscire e rimase così con gli occhi chiusi immersa nella sua vita di prima, trattenendola, per paura che svanisse, che non fosse davvero mai esistita.

Il gioco delle immagini – quattordici

Indagine – di Carla Faggi

All’appuntamento non era venuto, al cellulare scattava la segreteria. Ma dov’era finito? Forse voleva lasciarla? Non si rassegnava, non era da lui sparire così!

Così si decise e si fiondò a casa sua.

Bussò e ribussò. Niente!

Incazzatissima diede un gran calcio allo zerbino, il quale si scostò con risentimento svelando il suo segreto: la chiave dell’appartamento!

Lei la prese con foga e poi…piano piano aprì la porta d’ingresso.

Il disordine che ci trovò fu incredibile, la grande palla le finì tra le gambe quasi volesse impedirle di proseguire, le sembrò anzi che riducchiasse.

Lo zaino puzzava di sudore come fosse tornato da una recente faticosa avventura.

La felpa fumava come scossa da tremito.

La sedia traballava come presa da una crisi di panico.

Vede una macchia rossa sopra una rivista, sembra che la padella ancora da scartare voglia nasconderla.

Ma è sangue! E quello strano odore sembra polvere da sparo.

Segue le gocce di sangue che ora sembra ci siano ovunque.

Ma gli oggetti della stanza sembrano pararsi davanti a lei. Le vogliono impedire di continuare le indagini. Che hanno combinato? Si chiede, sembra una cospirazione a nascondere qualcosa o qualcuno. Qualcuno? Ma non sarà mica…si precipita nell’altra stanza e…lo vede, disteso nel letto in un lago di sangue! Chiamerò la polizia pensa tornando nella prima stanza! Ma con grande stupore la trovò vuota e con la porta d’ingresso spalancata!. Erano scappati tutti !

Il gioco delle immagini – tredici

Stanza amorosa – di Luca Di Volo

“Amore, che scioglie le membra, di nuovo mi sconvolge

Dolce amaro serpente, per cui non c’è difesa”

Questi versi, sublimi, per la verità, il mio amico aveva cominciato a pronunciarli..e poi a ripeterli, come un mantra, come se gli fossero necessari, indispensabili per poter continuare a vivere, a respirare..

Ma andiamo con ordine.

Siamo (o eravamo?) due (quasi) impenitenti scapoli, ancora abbastanza giovani, discreta cultura, buon lavoro, e, per completare supremamente amanti del buon cibo, dei viaggi e..dulcis in fundo, delle leggiadre fanciulle che profumavano la nostra vita.

Un panorama che qualcuno giudicherebbe squallido e oltremodo borghese, ma a noi andava bene così.

Fu una sera d’Estate, mentre sul terrazzo finivamo la serata con l’ultimo bicchierino e l’ultima tirata di un profumato Toscano,  che il mio amico, con lo sguardo rivolto al cielo che  pareva ardere cadendoci addosso..fu quella sera, dicevo,  che cominciò a declamare quei versi.

Anch’io li conoscevo, come si fa a dimenticare l’immortale Saffo..la divina….

Ma non furono i versi in quanto tali che mi fecero impressione..fu l’espressione del mio amico nel citarli.

Rivedo ancora il suo bel profilo stagliato contro il luccichio ardente delle stelle..e il suo sguardo..rapito..mi ricordava il santo rappresentato su una tela in attesa della palma del martirio..

E fu allora che cominciai a preoccuparmi.

Durante il giorno-lavoravamo nello stesso ospedale, ma in reparti differenti-appariva quasi normale, salvo quel salmodiare di quel mantra…che sembrava un’ossessione. E sempre con quell’espressione rapita…

Interpellai anche un nostro collega psichiatra …lo aveva sentito anche lui. Ma si mise a ridere… ”O ha una crisi mistica..o è innamorato…” Questa la diagnosi.

Innamorato?!Come mai non ci avevo pensato prima?!

Quella sera presi di petto la questione. E fui anche quasi brutale.

“Stai a sentire…non ti sarai mica innamorato, per caso?! Sei talmente strano in questo periodo..”

Non cercò di negare, anzi, lo ammise subito.

“Sì..l’hai appena detto..”

“E me lo dici così…potevi farlo prima..o non ti sono più amico?”

Sorrise..”Non volevo dirtelo..sarebbe ….anzi, è perfettamente inutile”.

Ricominciai a preoccuparmi..Che voleva dire?

“Niente, niente..solo che una conclusione normale ..come sarebbe giusto..è al di fuori di ogni possibilità umana..”

Oddio..era davvero matto.., ma lo feci parlare.

“Ah sì?!E chi sarà mai costei…E’ sposata?”

“Questo non vorrebbe dir nulla ….”

Oddio..si sarà mica innamorato di una suora?! Glielo dissi…

“No, no..macchè suora..”

Non ci fu verso di sapere altro, per quella sera.

Nelle serate successive, però, si concesse un po’ di più.

“Mi è bastato vederla..e..e. mi è entrata dentro…”

Madonna, gli innamorati..dicono cose insulse e neanche se ne accorgono..Proprio vero: l’amore è una sospensione della ragione..beh, ma a qualcuno piace….

“E le hai parlato?!”

“Eccome, tutti i giorni..ma del più e del meno..abbiamo dei parenti in comune..”

Era completamente andato.

Decisi di rinunciare..sarebbe passata da s . Ma mi sbagliavo.

Già…una mattina, non lo avevo visto al solito caffè, pensai che magari fosse malato…Andai a casa sua. Avevo le chiavi, naturalmente.

Aprii. Corsi ad aprire la finestra e con la luce del giorno mi colpì l’incredibile disordine di quella stanza..

La sua camicia da casa, il pallone per il suo pilates, il PC, la sedia di traverso..i piatti sporchi, perfino una teglia nuova di zecca..Tutto alla rinfusa…E per lasciare tutto così ci doveva essere una ragione grave, lui era l’ordine personificato..

Quegli oggetti parlavano…se avessi potuto udirli mi avrebbero detto:

La palla verde: ”Mi ha lasciata sola, sono triste, ma felice per lui..”

Il PC: ”Io lo sapevo ..ma mi aveva messo una password e non potevo dir nulla”

Il giornale: ”Anch’io lo sapevo..la stampa sa sempre tutto..”

Il divano: ”Non gli dar retta..il solito giornale sbruffone”

Lo zaino: ”Credevo che mi portasse con sé..invece..nulla”

La teglia nuova: ”Dovevo essere un regalo..e guarda qui..chi mi vorrà ora?”

I piatti: ”E noi, allora..? Finiremo mangiati dai vermi..”

Io questi discorsi non li udii distintamente..ma qualcosa..un sussurro, un’atmosfera..qualcosa confusamente compresi.

E la mia mente andò al mio amico..e alla sua compagna..perchè era con lei..ne sono sicuro.

Voleva dire che il suo amore non era proprio irrealizzabile…ma difficile..questo sì. Doveva esserlo stato.

La fuga precipitosa era testimoniata dal disordine della stanza. Il mio amico non l’avrebbe mai lasciata così, se solo avesse avuto un attimo di tempo..

Richiusi in silenzio la porta..

E mi allontanai col dolce pensiero di Enrico e della sua compagna, liberi di una libertà forse conquistata a caro prezzo.

Non lo seppi mai..come non seppi mai il nome di questa donna tanto amata.

Intermezzo

GIOVANNA E IL LADRO – di Elisabetta Brunelleschi

tanto per giocare

La cara Giovanna

andava veloce

all’orto di Anna

a prender la noce.

Ma ecco di corsa

un giovane ardito

le strappa la borsa

che teneva col dito.

Giovanna gli urla

e chiede soccorso

ma lui se ne burla

e fugge nel Corso.

Poi tutto soletto

apre il malloppo

ma resta interdetto:

No! Questo è troppo!

Denari non trova

non trova rossetti

ma solo una cova

e due neri occhietti.

È un coniglietto

morbido e bianco

e lui per dispetto

lo lascia lì a fianco.

La cara Giovanna

senza il coniglio

arriva da Anna

e chiede consiglio.

Lo cercano attente

battendo una noce

il coniglio le sente

e arriva veloce.

Mangiato il gheriglio

è come risorto

il bianco coniglio

felice nell’orto.

Intermezzo

Il gelato incartato – di Tina Conti

Si poteva finalmente andare in macchina  con il coniuge.

Lui a comprare una nuova stampante, io al negozio di bici aperto il giorno prima per una batteria nuova, avrei avuto cosi la possibilità tanto agognata di sgambettare    e pedalare di nuovo conquistando un po’ di libertà.

Sembravo Alice nel paese delle meraviglie: mentre si scendeva tenevo gli occhi puntati sulle attività commerciali che riconoscevo per vedere a che punto erano, vedevo bandoni abbassati, alzati, con cartelli,con strisce rosso bianche, bolli rossi sul marciapiede, paratie di piante sempreverdi…

Tutto un mondo in movimento  e in fermento, insolito, nuovo.

Molte attività con gli esercenti all’interno, che armeggiavano, prendevano le misure, riimparavano a lavorare.

“Rimanga sulla porta, stavo per chiudere” ci disse il meccanico appena arrivati.

“Per carità, abbiamo fatto un sacco di strada e aspettato questo giorno con trepidazione, veniamo da una zona lontana, mi ha raccomandato il suo negozio una conoscente.

“Ci vorrà una settimana, avrà la sua batteria nuova e potenziata e ricomincerà a muoversi.”

Davanti al negozio ho visto una piccola gelateria, sembra aperta mi sono detta, prendiamoci un gelato ho proposto con l’entusiasmo di un bambino.

È una delle cose che sognavo di fare appena le restrizioni lo avrebbero concesso.

Ci siamo avvicinati, era  proprio una gelateria Cavini, che emozione!

Il desiderio si è fatto ancora più grande, abbiamo allungato il collo sbirciato, e domandato, dalla porta sbarrata da due sedie di traverso, due gelati

“Ve li posso dare, ma incartati” ha risposto l’esercente.

“Basta che siano gelati” abbiamo risposto

Vista questa bella  opportunità abbiamo pensato di prendere anche un tartufo gigante da regalare a nostra figlia per il compleanno  di Niccolo

Il pacchetto è stato subito aperto, io ho gustato volentieri quell’agognato dolce. Mio marito invece ha avuto una lunga telefonata di lavoro e ha potuto bere il suo buon gelato dopo diverso tempo…

Il gioco delle immagini – dodici

Il tavolo – di Cecilia Trinci

Non ci credeva. Si domandava chi avesse potuto fotografare quell’immagine così privata e metterla su un blog pubblico! Passava dalla rabbia più furente alla tristezza più grigia. Inqualificabile!

Cercò prima di tutto di capire chi fosse stato, chi l’avesse tradita. Non poteva essere stato altro che qualcuno che la conosceva bene, il frutto di qualche confidenza fatta alla persona sbagliata.

Sì la prima reazione fu la rabbia e la vendetta. Cercò nei  ricordi dei giorni indietro con chi avesse parlato di  quei particolari. Una serie di nomi le si parò davanti. E tutti si colorarono di rosso, di delusione, di incredula meraviglia. Ma come?  Doveva essere stata lei, si certamente. La rabbia scelse una tra le sue più care amiche. Perché proprio lei? Perché forse qualche segno di inaffidabilità lo aveva pure dato e lei, sì certo, sempre la solita, si era fidata!

E poi già…era qualche giorno che non si faceva sentire….hai visto mai che magari stesse tramando da tempo questo scherzo?

Guardò meglio dentro il video. Prima di farle una scenata doveva essere sicura.

“Eppure è proprio  la foto di casa mia: quel tavolo pieno di cose, di prove, di tentativi….lo riconoscerei tra mile!!! c’è la bottiglietta con il colore da stoffe che ho trovato due mesi fa, c’è pure la polvere di stelle  e il disegno ad acquarello che si è sbavato alle ultime pennellate. Lo so che non so disegnare, ma volevo provare e non mi è riuscito. E pure quel libro c’è. “Se una notte d’inverno un viaggiatore” che ho comprato per il titolo così bello e pieno di sviluppi possibili.”

  Certo il posto suo non sarebbe stato sotto a tutto quel ciarpame…però lo voleva a portata di mano  e si ricordava bene quella volta che aveva messo ordine e non riusciva più a trovare niente!

Il disordine, si sa, ha un suo ordine e se lo cambi è la fine.

“Ti puoi perdere nel labirinto dell’ordine! Eppure eppure…aspetta …..qualcosa si muove……sullo sfondo è apparso il gatto! Ma è il mio gatto e miagola pure…..Noooo ….aspetta…”

Il  tablet in attesa della diretta zoom  ha la telecamera accesa. Il tavolo è nel video. Il SUO tavolo.  Nessun tradimento. Solo la realtà che si specchia nel virtuale.  Il vero che si trasforma in falso e il falso che sembra così vero ….ecco la diretta si avvia:

“Ciao!!! Eccomi! Sono collegata!”

Ecco qua il tavolo suo entra nel meeting …

O è il meeting che si posa sul suo tavolo?

Il gioco delle immagini – undici

Contatto in cinque note – di Laura Galgani

lento / pianissimo:

SOL – LA – FA- FA- DO

presto / sussurrato:

SOL – LA – FA- FA- DO

E nella stanza, fino a quel momento avvolta nel buio e nel silenzio profondo, insieme alle note filtrarono dei bagliori intermittenti e colorati.

allegretto / mezzo forte:

SOL – LA – FA- FA- DO

presto / forte

SOL – LA – FA- FA- DO

ripetuto a piacere

La prima a scuotersi dal torpore fu la palla color verde acqua, che riverberava le misteriose luci: “Ehi, ma che succede?”

“E che ne so, io?” – biascicò la colla “son tutta impastata!”

“Magari, succedesse qualcosa” – bofonchiò qualcos’altro – “son decenni che le mie pagine non si muovono più!”

Come fosse stata sentita, un’improvvisa folata di vento scompigliò le pagine della rivista buttata sul pavimento. La polvere si sollevò dagli oggetti, abbandonati ovunque per la stanza.

Di nuovo quelle stesse note riecheggiarono nella notte, SOL – LA – FA – FA – DO, accompagnate da luci meravigliose.

“Ma non vi ricorda nulla questa musichetta? Mi sembra familiare…” provò a dire la camicia.

“Ecco lei, ma chi si crede d’essere? Fa sempre la sapientona! Solo perché è stata indosso a qualcuno crede di saperne di più degli altri!” borbottò la sedia, verde d’invidia.

“Ma sì, dai” – si fece avanti lo zaino – “anche a me ricorda qualcosa … ma non mi viene …“  e non finì nemmeno la frase, perché stavolta le note furono così forti, le luci così abbaglianti, la folata di vento così impetuosa che le imposte dell’unica finestra di quella stanza si aprirono con violenza, sbattendo sulle pareti esterne della casa, i vetri si spalancarono e uno stranissimo essere, dalle braccia affusolate, il collo lungo e la testa simile ad un gigantesco acino d’uva, senza occhi né bocca, si affacciò nella stanza. 

La musichetta continuava a ripetersi:  SOL – LA – FA – FA – DO … proveniva da quell’essere, che sembrava la canticchiasse nonostante non avesse né bocca né altre aperture visibili. Una luce bianchissima pervase la stanza e inondò gli oggetti uno ad uno.

Da quando gli esseri umani erano scomparsi, a causa di una devastante guerra atomica scoppiata per la crisi economica e le tensioni seguite agli irreversibili cambiamenti climatici e ad una gravissima pandemia, niente aveva più portato un po’ di vita dentro a quelle mura.

La luce invece era calda, ma non troppo, dolce, rassicurante. Ognuno dei tanti oggetti si sentì accarezzato e desiderato come se fosse ancora stretto con simpatia, persino con amore fra le mani di un essere umano.

Le teglia nuova, ancora con la fascetta dell’imballo, ebbe un sussulto: “Ora mi ricordo! Incontri ravvicinati del terzo tipo!” “Sì, è vero!” fece eco lo zaino “proprio quello!” “Ecco dove l’ho sentita, al cinema!” interruppe la camicia “ma allora … se è come nel film … “ – la sua voce era rotta dall’emozione – “vuol dire … vuol dire … “ “E che vuol dire?” fecero eco tutti gli altri oggetti “che qualcuno ha lanciato un messaggio nello spazio, quelle note sono un codice, un richiamo per gli extraterrestri! Vuol dire che almeno un essere umano è sopravvissuto!”

Tutti gli oggetti trattennero il fiato. Ma fu questione di un attimo.

Lo strano essere non era più affacciato alla finestra e la musichetta era diventata una nenia, quasi una ninna nanna. Lentamente la luce si ritirò, i colori sbiadirono, i vetri e le imposte si richiusero.

Gli oggetti tornarono ad essere avvolti dal buio. Dormivano di nuovo, sognavano. Sognavano ognuno il proprio personale, intenso incontro ravvicinato con esseri capaci di ripopolare il Pianeta Terra.

Il gioco delle immagini – dieci

Trasloco – di Nadia Peruzzi

Le ultime cose gettate alla rinfusa sul divano e sul tavolo insieme alla spesa fatta solo mezz’ora prima in tutta fretta.

Era arrivato finalmente il giorno del trasloco, dopo il lockdown, dopo le notizie altalenanti e le incertezze che avevano costellato anche gli ultimissimi giorni.

Tutto fatto. La casa vecchia vuota, tutto nella nuova. Da stasera si dorme lì.

Quelli del trasloco avevano consegnato tutto. C’era solo da far ordine nel caos che gioco forza si era accumulato in questa stanza diventata ricettacolo di tutto.

I bambini dovevano finire di sistemare il pallone che ogni tanto rotolava in mezzo ai piedi di tutti e ora campeggiava sul tavolo del soggiorno.

Era ora di cominciare a far spazio sul tavolo.

La mamma stava mettendo insieme velocemente la cena e urlava a più non posso, dai fornelli, di portar via rapidamente tutto quanto non servisse.

“ Caproni, ma chi ha messo i piatti e le posate pulite in mezzo a tutto quel bailamme? Devo pensare a tutto io? E se mi distraggo voi state a messaggiare sul telefonino, stravaccati sul letto, mentre qui attorno è ancora un vero porcile? Qualcuno mi passa la padella nuova? Mi serve ora e ho le mani impiastricciate di pastella e farei danni a prenderla da sola. Su, via, veloci!”

Dalla camera emerse il figlio più grande .

“Mamma, via, non urlare. Ce la facciamo, piano piano. Non agitarti. Io porto via il pallone e le cose da mettere in camerina. Dico al babbo di venire per il  resto. Ora sta parlando con la zia .Ecco la padella che ti serve”.

“Grazie. Quello sfaticato d’uomo proprio ora si doveva mettere  a parlare con la zia Tina? Non la poteva rimandare a più tardi? Sempre nei momenti meno opportuni, quelli! Piccolo, e te? Sempre fra i piedi, eh? Via vai a giocare che a forza di starmi appiccicato mi fai pure cadere. Possibile tu sia diventato ancora più mammone di prima? Su vai dal babbo, così si scrolla da quel telefono. Anzi, lo chiamo io. Giorgio o che la smetti di stare al telefono con quell’uggiosa della tu’ sorella? Vieni c’è un casino ancora e si deve pure apparecchiare la tavola, forza, pena poco. Eccoti finalmente. O che voleva la tu’ sorella? Non ce la facevi a sganciarti? Siete stati un’ora attaccati a quel telefono. Che c’era bisogno proprio in questo caos di tirarla per le lunghe?”

“ Eh si”, rispose Giorgio. ”O Proprio oggi non ha avuto il benservito anche dal fidanzato che s’è incaponito per la collega squinzia ,di 25 anni più giovane!Una bambina, quasi! E pensa te, come non bastasse, pure licenziata al lavoro per il covid. Una vera tragedia. Come potevo lasciarla a mezzo della telefonata? Piangeva come una fontana. Anzi appena abbiamo finito, guarda se le dai anche tu un colpo di telefono. Essendo donna sei in grado  di darle consigli meglio dei miei.”

“Ti pareva che la tu sorella la un rompesse le scatole anche in una giornata di foco come questa! Che consigli posso dare a una che passa di tragedia in tragedia? Glielo avevo detto che quello prima o poi l’avrebbe fatta ingrullire. Troppo frillino! Le guardava tutte, quando s’andava fuori tutti e quattro, non te lo ricordi? Faceva il simpatico, lui! Un vero galletto, ma lei nulla. Innamorata persa e di segnali non ne vedeva nemmeno mezzo. Se ce la faccio la chiamo, se no si va a domani. Non avrei voglia di tanti piagnistei a quest’ora e dopo questa giornata d’inferno. Via, qui ho quasi finito. Apparecchiate appoggiando il di più sul divano, togliamo via tutto dopo cena.”

Eccoli a tavola.

Finalmente placati e ad assaporare la prima cena a casa nuova.

Come in tutti i traslochi precedenti un po’ in confusione ma dall’indomani le cose si sarebbero sistemate.

Alla prima forchettata, un boato forte li terrorizzò.

Si guardarono a occhi spalancati non capendo cosa stesse succedendo. Lo capirono appena cominciarono a veder dondolare il lampadario sulle loro teste alla seconda scossa, quella ondulatoria.

Si alzarono di scatto, presero dal divano lo zaino, le magliette e le felpe, e via di corsa giù per le scale, mentre gli altri inquilini si affacciavano alle porte di casa pronti a precipitarsi anche loro all’aperto.

Si ritrovarono nella piazza davanti casa. Smarriti e preoccupati, e con la forte consapevolezza che la prima notte agognata nel loro letto nella nuova casa l’avrebbero invece passata sugli scomodi seggiolini di una macchina e all’addiaccio

Il gioco delle immagini – nove

CONFUSIONE – di Sandra Conticini

Matteo tornando da scuola, stanco e affamato, sogna  di potersi riposare sul divano mangiando un hotdog e guardando la serie di cartoni preferiti.

Suona il campanello, ma nessuno apre. Non ci fa caso,  sale le scale e con le chiavi apre la porta, ma in casa non c’è nessuno, solo una gran confusione regna  nel salotto. Lo zaino, usato la domenica precedente,  buttato in terra, la camicia a quadretti blu e verdi insieme ad un foulard giallo lanciati sul divano, la tavola ancora apparecchiata con  piatti, bicchieri e posate della sera prima da rigovernare, la palla verde della mamma per fare pilates in bilico vicino al tavolino,  e  il giornalino delle parole crociate pesticciato e lasciato lì…

Inizia a chiamare, a gridare, ma nessuno riponde, non ha il coraggio di entrare. Ha paura e per la testa gli passano tanti pensieri negativi… Si rivolge al suo amico di giochi paperOtto: – Scusa ma te, con codesto cappello da cuoco, che ti pulisci il becco rosso alla giacca del babbo,  mi sapresti dire cos’è tutta questa confusione?

Stastastamani, doooopooo chhhee eeeraavateee uuuscciiitiii tuuuutttti, èèèèè arrrivataaaa Marietta a puuulireeee, ha iniiiziiiatooo a brooontolaare.. E’ staaancaaa dii troovaareee seeempre spooorcooo eee cooonfusioone. Cosiiii ha iniziaatooo a uuuurlare sbataaaacchiandoooo a deestraaa e siiinistraaaa i pooochi oooggetti che erano al sususuoo pooosto….Poi ha aalzatooo laaa padellaaa nuova, peeensavo volesse tirarmeeelaaa in teeesta, hooo avuuutooo taanta pauura  cheeee meee la sonooo fattaaa addosssooo…. sperooo miii perdooneraiii Matteo! Poi è uscita sbattendo la porta e dicendo che non tornerà piùùù!!! 

Il gioco delle immagini – otto

                                DISORDINE – di Simone Bellini

Sveglia – colazione – lavoro – pranzo – lavoro- cena –  letto

Sveglia – colazione – lavoro – pranzo – lavoro – cena – letto

Sveglia – STOOOP !!!…quarantena………QUARANTEEENAAA ??

Come… quarantena?!? Che faccio adesso ?! No no no io non posso, io non riesco a metabolizzare questa nuova situazione !

CONFUSIONE……ho la mente più confusa di questa stanza trasandata, dove il disordine regna sovrano, trascurato a causa del tran-tran quotidiano.

Piatti lerci accumulati sulla tavola testimoni di stanche cene, tazze sporche di frugali colazioni, padelle nuovissime, mai usate vittime di pranzi veloci nei bar, camice sparse alla rinfusa, zaini, sacchetti, persino un’ingombrante palla da Pilates, mai usata, segno di una remota volontà d’impegno fisico.

-Mio Dio, come ho vissuto fino adesso !

Basta, diamoci una mossa; intanto rigovernerò questi piatti ! –

-Ohh, finalmeentee !-

– Ehh, chi ha parlato ? –

-Era l’ora che ti decidessi a lavarci ! –

– Ahrg ! I piatti parlano – grido facendoli cadere frantumandoli in mille pezzi.

-Ma braavo, guarda cosa hai combinato ! Tanto chi spazza sono io ! – ribatte stizzita la scopa.

– Ma beene, non c’era abbastanza disordine vero !!-Dicono tutti in coro; il divano la palla , la sedia , lo zaino, ecc….

Scappo sbattendo la porta ed esco urlando in strada.

– Fermo, dove va lei, senza mascherina. – mi blocca la ronda della polizia – deve restare a casa !-

– I piatti …ahhh.. ho rotto i piatti….parlano….i piatti, le camicie, il divano, lo zaino,……tutta la casa parla !!! –

– Pantera due a centrale, abbiamo testè fermato un soggetto in evidente stato di alterazione emotiva, che dobbiamo fare ? –

– Se non ha sintomi di corona-virus intimategli di chiudersi in casa. –

Mentre risalgo le scale mi convinco che è colpa dello stress, è lo stress che mi ha giocato questo brutto scherzo!

Mi calmo, tranquillo e sereno entro in casa.

– BENTORNATO !!! – ( tutti in coro )

Il gioco delle immagini – sette

EX GIOVANE – di Rossella Gallori

Il silenzio era interrotto da una finestra che sbatteva, nessuno di loro aveva voglia di parlare, dopo le risate e le pesanti allusioni, era arrivato il silenzio…

Lo zaino era offeso a morte, aveva  passato la vita dentro l’armadio color noisette, nella busta trasparente con la scritta “da usare in montagna” insieme alla palla verde acqua anche lei riposta nell’analogo contenitore, con un’ altra precisa catalogazione “da mare”.

Tutto  noiosamente in ordine, un po’ come lei: capelli né biondi né castani, gonne dritte, camicette ben agganciate, braccialettino tennis, borsa Hermes, tacco largo mai più di 4 cm, calze color miele, anellino riviera, di valore, ma non sfacciato….profumo buono e delicato…l’anticamera della vecchiaia..

Non ne poteva più la colla decise di parlare, di esplodere si era “ seccata” in silenzio, non ne poteva più di aspettare gli altri per aprire il dibattito…

Cosa credeva, la Federica, che bastasse allestire questa messa in scena, par farle capire che era giovane?

Beh il fisico regge ancora bene, senza occhiali, capello sciolto trucco a cianfo, tacco 12 e yeans, era credibile!! O nooooo?

Credibile? Lei a cinquant’anni, con uno di venti? Mi ha comprata e manco scartata, pensava che un paio di uova al bakon e due birre bastassero ad un ragazzotto   come quello per convincerlo a portarsela a letto?

A letto? Macché  lei non è quel tipo, magari avrebbero giocato con me sul prato, lui avrebbe colto una margherita, gliela avrebbe messa tra i capelli…

Margherite, palla turchese, tutte fandonie, di me ne ha fatto una palla, prima di indossarmi, per sembrare easy, balconcino e perizoma  oro, sotto,  si è grattata mezz’ora con me sulla pelle nuda…sono una camicia da montagna, mica una vestaglia di seta…

E noi? Vecchie di due anni, ci han buttate per terra, tra un po’ non serviam più nemmeno per accendere il fuoco….cantilenarono le riviste fuori corso accomodate su un impiantito, che sembrava non esserci  in un disordine, così finto da sembrar vero.

Certo è che mi poteva toglier di mezzo, sono il cardigan di suo marito, non voglio esser  né testimone, né complice, riscaldo un professore di filosofia, mica il primo cialtrone abbordato in un bar…

Non ti dare tante arie, vabbè che son finto, ma sempre fiore sono…

La tovaglia non ne poteva più, sotterrata e soffocata da troppe cose sbottò, facendo traballare il bricco di plastica e non solo: qui si parla, per parlare, come sono andate le cose io lo so, son stata la prima ad esser portata qui!!

Allora racconta! biascicarono in coro le cento cianfrusaglie, sulla  scaffalatura, che manco all’Ikea vendevano più.

Alloooooora, lei aveva litigato con suo marito, se ne era andata con il suo tailleur grigio perla, sbattendo, o quasi, la porta, lui manco l’ aveva rincorsa, tanto sarebbe tornata, prima o poi..

Furiosa era entrata nel primo posto, più perché aveva trovato posteggio che per scelta, da Ginger paninoteca….lo aveva riconosciuto subito, lo vedeva quasi tutti i giorni a scuola, lui nel primo banco, forse un po’ astigmatico, ma carino da morire, lei dietro la cattedra, sempre attenta a non accavallar le gambe.

Guido vuoi venire tu alla lavagna?   Il loro parlare era solo quello:  bravo,  attento, ripeti. Mai una insufficienza, un’assenza..

Ed ora se lo ritrovava lì appollaiato su uno sgabello, dove anche lei si arrampicò…

Un leggero imbarazzo, poi tra il bere ed i sorrisi…la decisione, fu lei a gettare l’amo…lui disse semplicemente: ok, ok…porto da bere.

Ed iniziò la corsa, Lucolena era vicina, bastava aver le chiavi, avevano fissato per le 3, lei aveva ribadito, le 15!!! Ed era corsa lì, si era fermata, solo da Monnalisa a comprar quel completo assurdo e carissimo…

Aveva costruito in fretta una vetrina quasi perfetta, gli oggetti, non si toccavano, più uno studio fotografico, che un arruffio datato e vero, una doccia, fredda come il marmo, un trucco da star, le scarpe taccose del matrimonio di sua cugina, che le facevano male, ma ne valeva la pena, la camicia di suo marito, più di una goccia di Hinterdith, profumo nuovo di pacca, capelli quasi bagnati….in fondo se lo meritava uno così, pensò guardandosi le gambe nude ed incremate…i trenta anni di differenza, non la spaventavano, sarebbe stata la sua unica ed ultima follia…ne era certa..

Il rumore della moto  lo annunciò, il cuore le batteva a mille, volle gustarsi il momento, seminascosta dalla penombra….

Professoressa…professoressaaa Tombolini, sono io Guido Ceccanti, ho portato anche mia madre così, vi fate compagnia.

Non rispose la prof, la moto con i due a bordo si allontanò, le ci volle  tutto il pomeriggio, per rimediare quel caos, ma poi perché aveva pensato, che i giovani amano il disordine, la trasgressione, le avventure facili.

Struccata… E rivestita a modo,  aveva ripreso la strada di casa, prima si era fermata alla  Rosticceria Angelo, suo marito adorava il pollo alla griglia….ed era l’ora di cena….

Nella casa a Lucolena, le cose dormivano un sonno tranquillo, ognuna al proprio posto, posate, riviste, gingilli, lo zaino…un ordine  noioso e banale che poco sapeva d’avventura, la camicia giaceva nel cassonetto,  a Montelfi,  non valeva la pena lavarla, vicino a lei la confezione quasi nuova di quel profumo…come si chiamava?…………

Il gioco delle immagini – sei

Oggetti dimenticati – di Patrizia Fusi

Dieci anni fa ero esposta in uno scaffale di un grande magazzino di articolo sportivi, ero chiusa dentro una scatola con una bella immagine di una giovane donna intenta a fare ginnastica, accanto c’era la mia amica pompa, quel giorno c’erano tante persone che giravano nel negozio si stavano preparando per le vacanze ed erano pronte per gli acquisti.

Allo scaffale dove ero esposta si avvicinano due donne una giovane una più attempata, la più grande mi prende in mano mi guarda con interesse, parla con la più giovane valuta se gli può essere utile per gli esercizi che deve fare per rinforzare la muscolatura della schiena, decide di acquistarmi insieme alla mia amica pompetta finiamo nel carrello, iniziamo il giro con loro, si fermano al reparto giochi, decidono per due set da ping pong , ognuno e composto da due racchette quattro palline e la rete per il tavolo, si dicono che servirà ai bambini per quando sono in casa, si spostano dove sono in mostra i pattini ,scelgono una confezione composta da un caschetto, da dei slava  mani, gomiti, e ginocchi, tutto rosa e per il compleanno della bambina, continuiamo a girare per il negozio comprano altre cose, le sentiamo parlare soddisfatte dei loro acquisti, pagano e usciamo, noi oggetti siamo in due grandi buste un po’ stretti fra noi ci chiediamo in quale abitazione andremo a finire, io e la mia amica pompetta con un set da ping pong andiamo con la signora attempata, appena arrivati veniamo riposti in un armadio.

Le giornate passano lentamente iniziamo ad ambientarci ai rumori agli odori della casa e ai suoi frequentatori, in alcune ore del giorno chiacchiere dei tre bambini e dei loro amici, bello ascoltare i loro giochi, dividere la stanza in piccoli appartamenti, prendere delle coperte e creare delle tende dove ripararsi, adoperare cuscini nei modi più fantasiosi, formare piccoli mercati con scambi di oggetti, sentirli litigare per gli spazi, Il set di ping pog alcune volte è stato adoperato sul tavolo di salotto ma con scarso entusiasmo, durante il giorno rumore di tivù, profumo di mangiare, chiacchierio mentre i commensali consumano il pasto, silenzio del riposo pomeridiano nei pomeriggi caldi, merende con gli amici, a scelta pane e pomodoro o pane e marmellata, sentire  scendere velocemente i ragazzi per le scale, sentirli giocare fuori, rumore di bici o rollio di pattini, o giocare a pallone,  o a nascondino, la voce della nonna che li calma e li controlla, nel tardo pomeriggi altre voci , saluti, racconti, baci, dopo torna il silenzio, io e la mia amica pompette capiamo che la signora attempata ora è sola, noi due chiuse nell’armadio cominciamo a spettegolare anche col set di ping pong, noi due siamo un po’ gelose di lui perché può uscire, ma stiamo bene in sua compagnia, e ci facciamo raccontare tutto delle sue uscite, fino a quando siamo stanchi e decidiamo di dormire.

Gli anni passano noi due siamo fisse nell’armadio, i rumori della casa piano piano sono cambiati come sono cresciuti i ragazzi, ora solo in alcuni giorni della settimana si sentono le voci di tre giovani adolescenti, rumore di giochi scaricati sul telefonino, musica ascoltata, scenette esilaranti tramesse dal cellulare, il bip dei messaggi….

Mi sento invecchiare nella scatola, quando parlo con la mia amica pompetta, viviamo di ricordi e pensiamo che noi rimarremo per sempre nel mondo degli oggetti dimenticati.

Ad un tratto percepiamo un altro strano cambiamento nella casa ancora più silenzio del solito, spariscono tutte le voci e le presenze, rimane costante e continua la presenza della signora: cosa strana, eravamo abituate a sentirla uscire spesso di casa, anche il gatto sembra spaesato da questo cambiamento, ogni tanto miagola e la signora parla con lui, si sente in sottofondo il parlare della tivù e della radio, dalla finestra ora quasi sempre spalancata, nel silenzio che circonda il tutto, entrano solo alcuni suoni, canto di uccelli, l’abbaiare di un cane, il rumore di una falciatrice, il tonfo ritmico di un pallone giocato in solitudine di un bambino, la sua voce che parla con la mamma, i rumori tradizionali sono spariti, lo strisciare del traffico sull’asfalto, il battere metallico della fabbrica vicino a casa, io e la mia amica ci chiediamo cosa sta succedendo non riusciamo a capire.

 Ecco la signora ci guarda con interesse ci scarta, inizia a gonfiarmi con la mia amica pompetta, ora noi siamo uscite dal limbo dagli oggetti dimenticati, siamo felici, entriamo anche noi nella casa.

C’è voluto un piccolo e tremendo virus per farci vivere .

Il gioco delle immagini – cinque

Senza invito – di Anna Meli

            Entrai in quella stanza senza essere invitata o meglio mi trovai lì per caso. Non so se sognavo o se era realtà quell’insieme di cose, le più disparate, messe là senza un ordine né un preciso progetto. Per un attimo mi sembrò di vivere sospesa tra il soffitto e il pavimento, estranea a tutto ciò e nello stesso tempo ben presente. Ma c’era il pavimento? A sì, un pezzettino usciva allo scoperto da tutto quel fantasioso caos.

            Rimanevo là cercando un posticino dove stare per capire meglio. Il mio sguardo cadde casualmente su uno zaino appoggiato là a ridosso del divano. Poco distante una camicia a quadretti bianchi e blu; girando gli occhi osservai anche una felpa color carta-zucchero. Mancavano scarpe e pantaloni per completare il tutto; chissà dove potevano essere nascosti!

            I tre oggetti, comunque riuniti insieme, mi suggerivano che  qualcuno  poteva aver fatto una passeggiata in campagna o forse in montagna in cerca di funghi. Rimasi per un attimo a fissarli, finché come per incanto presero vita indossati da un gran bel giovane alto e robusto che si arrampicava per un sentiero facendosi largo fra la folta vegetazione.

            Mi accorsi che stavo letteralmente sognando e che in quel sogno ci stavo proprio bene, non avevo nessuna intenzione di svegliarmi!

            Il giovane procedeva speditamente. Ogni tanto si fermava per osservare qualcosa in basso vicino ai suoi piedi poi, tolto lo zaino dalle spalle, lo apriva depositando all’interno un fiore o un’erba particolare.

            Camminando sotto il sole di mezza estate il caldo si era fatto sentire, la felpa era finita legata intorno ai fianchi e dalle maniche arricciate della camicia a quadretti, emergevano le braccia abbronzate e muscolose segno di una abituale attività fisica all’aperto.

            Ora, arrivato in cima al crinale si asciugava il sudore dalla fronte, riparando gli occhi dai raggi del sole col palmo della mano. Si guardava intorno soddisfatto da tanta bellezza: un panorama da fiaba con casette bianche in lontananza, oliveti, vigneti e il nastro argenteo di un fiume che scorreva; nel cielo una formazione di anatre in volo. Riprese infine il cammino per una ripida discesa scivolando paurosamente.

            Non è facile nemmeno per me che presa da un’improvvisa paura mi sveglio. Ma io dov’ero? Lui era solo! Ma io ho provato le sue stesse sensazioni! Mistero dei sogni. Spalanco bene gli occhi liberando tutto ciò che la mia mente ha vissuto per far ritorno nella vita reale.                                                                                    

Il gioco delle immagini – quattro

Il ripostiglio – di Stefania Bonanni

Driinn driinn toc..,toc “Nessuno, non c’è nessuno. Meglio, così posso lavorare senza ci sia nessuno tra i piedi. ” “Buongiorno, sto entrando. Sono qui per fare le pulizie.” “Nulla, non c’è nessuno. Madonna, che manicomio! ” “Pronto, Agenzia? Sono entrata nell’appartamento nr. 8 del residence, per le pulizie, ma non c’è nessuno. Comunque, le due ore che mi pagate non bastano per mettere tutto a posto. C’è sporco, vestiti, zaini, libri, tutto in terra. Ho bisogno di quattro ore, minimo. Massimo tre, dite? Ok, farò quello che posso. Cominciò ora.”
Ma guarda te che branco di porci! Camicie, felpe,quaderni, libri, tutto sudicio, sarebbe meglio buttare un fiammifero e bruciare ogni cosa, perlomeno si disinfetterebbe..Che schifo! Saranno di certo studenti, mangiapane a ufo..Gente sempre in ferie, tutta la vita a giro. Sudici, disordinati. In una caverna, starebbero bene. Incivili, sono rimasti all’età della pietra, questi. Incivili, maleducati. Eppure lo sapranno che qualcuno viene a pulire! Anche per rispetto, potevano raccattare la roba di terra. È facile che a casa abbiano la donna di servizio. Sfaticati giramondo!! Ai miei tempi, a vent’anni si metteva su famiglia. un uomo trovava una donnina seria, brava a fare i lavori di casa, si cercavano un buchino dignitoso, e si cominciava a sfornare figlioli. Che però si sono abituati bene: i maschi a fare i maschi, le donne a casa a pulire e cucinare. Poche confidenze e pochi discorsi a vanvera…Questi invece chissà di dove vengono…ci sono cose in tedesco…maledetti anche loro e chi ce li porta…tanto fecero buone cose quando vennero nel 42!! Ora si incontrano ragazzi che vengono da paesi lontani, di sicuro non si capiscono, chissà cosa mangiano…poco, qui ci sono piatti e posate, ma a parte la polvere, non ci sono resti di cibo. Mangiano pizze nel cartone, panini gommoni con salsicce plastificate , insalata dalla busta. Che schifo..cucinare non cucinano, infatti la padella comprata dall’Agenzia, è sempre da rinnovare. Bevono, mi sa che bevono..Avranno portato via i vuoti..e poi penso si droghino! Io, se trovo siringhe o resti strani, chiudo tutto è vo via, e voglio proprio vedere chi mi può dire qualcosa..Ma poi, quelli che erano qua,saranno stati uomini, o donne? mah! Dai vestiti non si capisce..ma tanto oggi gli omini sembran donne, certe donne sembrani maschi, certi non si sa proprio, sono una specie a sé. Dice che ci sono per davvero quelli che non sanno neanche loro icche’ sono. Roba da pazzi! La me lo diceva la mi poera mamma, che questi senza Dio rovinavano il mondo..
Comunque via, ho quasi fatto. E ci ho messo meno di due ore…il mondo non è per i bischeri!
In quest’ora pagata, vo a fare la spesa. Ops, ho dimenticato di guardare nel ripostiglio. Ora non mi metto a pulire, chiudo la porta, e via. Tanto non ci va nessuno, a guardare nel ripostiglio..
“Fermati i rapitori del figlio dell’industriale. Svelano il luogo della detenzione del piccolo. Sono pentiti, l’hanno abbandonato nel ripostiglio di un’abitazione lasciandone la porta aperta, sicuri che la donna delle pulizie l’avrebbe trovato.”