I fichi e la paura

I fichi di Biagio – di Anna Meli

Se guardo indietro nel tempo, mi rivedo bambina quando, in compagnia dell’unico nonno che ho conosciuto, muniti di un piccolo paniere e di una specie di pertica ad uncino, andavamo a raccogliere fichi. Quasi tutte le piante erano forti, quasi imponenti direi; io mi sentivo bene sotto l’ombra di quel fogliame fatto da grandi mani aperte a ripararmi dal sole e gustavo volentieri quei frutti morbidi e succosi.

            I fichi dottati li raccoglievamo per farli seccare e mangiarli per Natale e, in questo il nonno era un grande maestro, li faceva buonissimi, “grumati” come diceva lui. Prima toglieva a tutti la buccia poi, coperti con un velo di tulle messo a protezione per le vespe golose, li esponeva al sole per vari giorni perché si prosciugassero bene senza però indurirsi troppo. Alcuni li lasciava interi, altri, spaccati in due, servivano per le picce con varianti di noci, mandorle o anici. Una vera prelibatezza!

            Mi ricordo che, come tutti i nonni, amava raccontare brevi favole che non sono sui libri perché tramandate di generazione in generazione e una di queste riguarda proprio un fico. La racconto così come la ricordo dopo tanto tempo.

            Viveva in un casolare non molto lontano da un paesello, un uomo di nome Biagio. Era solo e anche un po’ scorbutico. Aveva vicino casa, ma non troppo, un bellissimo orto in mezzo al quale troneggiava un grande fico che produceva frutti straordinari. Arrivati a settembre, stagione di raccolta, non riusciva mai a prenderne più di una decina perché i monelli del paese, nottetempo andavano là e facevano man bassa. Decise allora di mettersi di guardia con la finestra aperta munito di fucile da caccia. Avrebbe sparato solo per aria per metterli in fuga difendendo come diceva lui “ la sua roba”.

            Per la prima sera tutto andò bene perché, una volta udito il rumore dello sparo, i ladruncoli si dileguarono velocemente pensando però a come poter fare per tornare a far razzia di fichi.

            La sera seguente Biagio li aspettò quasi impaziente  e fra sé e sé  rimuginava “ Ora tu vedi, se riappaiono ancora come li accolgo. Stasera tre spari e vedrai che se la fanno addosso!”…

“ Ma cosa c’è laggiù che avanza dondolando? Sembrano fiaccole accese! Cosa succede?”

I monellacci avevano indossato delle lenzuola bianche e così, simili a fantasmi, procedevano cantilenando e muovendo le torce rese incerte e tremolanti da un leggero venticello.

Biagio tese le orecchie e ascoltò immobile per lo spavento.

“ E quando s’era vivi, si mangiava di questi fichi

E or che siamo morti, si passeggia per quest’orti,

Si va su adagio, adagio a prender l’anima di Biagio”

Lo spavento per Biagio fu tale, che credendole anime del purgatorio venute a prenderlo fuggì in cantina dove rimase nascosto finché quei monellacci, che in fondo in fondo non erano del tutto insensibili, andarono a scovarlo spiegandogli lo scherzo. E lui ci rise così tanto ma così tanto che non la finiva più. Da quel giorno nacque un’amicizia che dura ancor oggi e tutti, proprio tutti mangiarono fichi insieme a Biagio addolcito nel carattere dopo questo spavento.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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