Il fico e la vita

Un albero e il suo contrario – di Luca Di Volo

Ai tempi della mia infanzia, durante le elementari, ogni anno venivamo portati a far visita ai “vecchini” (così si diceva allora), ospitati in un convento tenuto dalle “Povere sorelle dei poveri”.

Il grande edificio dava proprio sul retro di quella che allora era la mia casa, il cui muro del giardino confinava proprio col cortile dell’ospizio.

Quindi lo vedevo, immenso e triste, tutti i giorni.

Ma stavo dicendo delle visite che eravamo costretti a fare, anno dopo anno, e ancora adesso mi chiedo perché.

Quei poveri vecchietti ci sembravano, ai nostri occhi di fanciulli, ormai al di là del bene e del male..in un attesa paziente e quasi salvifica dell’inevitabile fine.

 Noi ragazzi invece quelle visite ci rattristavano, un sentimento che ora comprendo, ma allora non ne sapevo nulla, per fortuna.

Però quel grigio, muri, tavolini, sedie..tutto di un insopportabile non-colore.

Un limbo, né vita,  né morte..tutto sospeso ..fuori del tempo. Dante avrebbe detto: ”La morta gora..” anche se, teologicamente, sembrava che non avesse nulla in comune con l’Inferno.

Mi accorgo di divagare. In realtà, in stridente contrasto, mi sono apparsi, vivi e tenaci come non mai, i due (due!) fichi che crescevano nel giardino, quasi appoggiati al muro di confine.

Uno era un fico “dottato” (e mi chiedo ancora perche’ si chiamasse così). Faceva frutti dolcissimi e rosei all’inizio dell’Estate, esplodendo al sole di Giugno.

L’altro era un fico “verdino”, così detto perché i suoi frutti maturavano verso Ottobre, alla stagione calante, quasi a volerci consolare con quei magnifici fichi rosso sangue della stagione che ci aspettava.

Da quello che precede, non è difficile immaginare che, nel mio immaginario, i due alberi e la sagoma tetra dell’ospizio formassero un tutt’uno, un immenso contrasto che ancora nel mio intimo non ha perso per nulla la sua incredibile forza.

E ora, col senno della mia vecchiaia, posso anche farci un po’ di filosofia.

I due fichi: la vita. L’ospizio: la morte.

Semplice, no?!

Per niente.

Perché anche il fico ti tradisce, a volte, proprio come la vita. E ben lo seppi io quando, per cogliere un frutto particolarmente carnoso, appoggiai il piede su un ramo per alzarmi. E il fico “si scosciò”..si fessurò..ed io caddi di schiena battendo la spina dorsale. Una grande preoccupazione, ma tutto finì bene. Però non prima di sentirmi dire: ”O non lo sai che il fico è traditore?!”.

Ci rimasi male..mi avevano distrutto uno dei miei idoli.

Scoprii più tardi tutte le leggende nere sul fico. La sua maledizione nei vangeli…l’albero a cui s’impiccò Giuda.

Povero fico..ma continuai a gustare dei suoi frutti generosi, e continuai ad essergli grato per il dolce che ci dava.

E poi sono sicuro che, se ritornassi, loro sarebbero là, ad aspettarmi, tenaci e risorti.

Il fico ritrovato

Un fico tra verde e blu – di Stefania Bonanni

Dalla sua casa lei vedeva solo il mare, ed il fico grande, tra la terra e il blu. Il blu si mescolava al verde delle grandi foglie senza spigoli, quando la brezza le faceva vibrare, quasi al ritmo delle onde. Lo sapeva, tutto c’era sempre stato, senza scossoni, immobile. Il fico era forse nato con la terra, ma non c’erano le sue finestre senza l’albero, non c’era quel blu, senza quel verde.

Immobile. Lo scossone lo dette lei. In paese sentirono, quelli che potevano sentire, alte grida e porte sbattute, ma le grida non erano le sue. Lei non sentiva, e non parlava. Chi pensava non capisse, non sapeva di quanto sbagliava. Chi pensava sorridesse perché  non soffriva, aveva per se’ problemi mentali. Chi pensava ci fosse di peggio, non si era mai messo nei suoi panni.

Erano i primi anni sessanta, non era facile lasciarsi alle spalle la Sicilia. Scrisse, prego’, batte’ pugni sul tavolo, ando’ a meditare dalla zia suora, in convento, ma torno’, ora si, con le idee più chiare, finalmente. Decise, che sarebbe andata a studiare a Firenze. Fu evidente che la cosa non era trattabile. Il piccolo lascito dei nonni, per il futuro della bambina “sfortunata”, sarebbe servito per l’affitto di una stanza, e per l’università.  Non aveva bisogno di altro. Quando fu pronta, si girò perché le rimanesse negli occhi il mare, ed il fico. Tra lei e loro, la sua mamma vestita di nero, con gli occhi lucidi e le mani che nascondevano i grani del rosario.

Fece un viaggio lunghissimo, ed è sempre la prima volta, quando siamo soli per la prima volta. Viaggiò in treno, in traghetto, ancora in treno, poi in mezzi di città.  Non perse i bagagli, né fu derubata. Non si erano avverate le previsioni familiari.

Arrivò all’appartamento trovato per lei da un conoscente , e non se lo era immaginato così. Due piccolissime stanze al secondo piano di una casa costruita in verticale, anziché in orizzontale, come a casa sua. Uno dei primi “grattacieli”, ma lì i piani erano tre, e non si grattava proprio nulla, il cielo si vedeva solo sporgendosi dalla finestra e torcendosi  all’insu’. Dall’unica finestra, si vedeva solo una striscia di ghiaia che separava quella costruzione da quella simile per forma, ma molto più  imponente, proprio davanti, e spostata più  In prossimità della strada, così che davvero non si vedesse proprio null’altro che pareti. E di finestre, solo una. Quando era in casa, era sempre davanti alla finestra. Leggeva, mangiava, studiava, viveva,  dietro un vetro.

Se ne accorse in un giorno di vento. Vide il vialetto mutare di colore,  ombre di foglie grandi disegnavano movimento sulla ghiaia. Era diverso da quello che conosceva,  Era giovane e casuale, ma si intuiva testardo e deciso a crescere, a diventare visibile a tutti, forte e coraggioso.

Prese a parlare con l’albero. Era piu’ facile che tentare di farsi capire dalle persone. La mattina, guardandolo, raccontava alle loro anime i suoi pensieri, i sogni della notte, i programmi della giornata, la fatica degli studi, l’invidia per chi la vita ce l’aveva piu’ facile. Leggeva anche le lettere che arrivavano dalla Sicilia. La prima volta fu spiazzata, non se lo aspettava. Poi, divento’ abitudine , diventarono la prima cosa che cercava, nelle buste. C’erano un paio di paginette scritte in bella calligrafia antica dalla sua mamma con notizie sulla salute dei familiari, dei parenti, dei conoscenti, poi pensieri d’affetto e di augurio per la vita della figlia, poi, senza ne’ spiegazioni, ne’ annotazioni, ritagli di giornale. “Ragazza violentata nei giardini dietro la stazione”, e seguivano particolari. “Donna scippata e trascinata dalla moto del rapinatore” “Furto in appartamento di ragazza che vive da sola” “Ragazza investita dal tram, non l’aveva sentito arrivare” e così via, in tutte le lettere. All’inizio fu turbata, le sembro’ non l’aiutassero, che la volessero impaurire, poi cerco’ di capire quello che non c’era scritto. E comincio’ divertita ad aspettare i ritagli di giornale. “Chissa’ oggi cosa mi tocca!!” Rispondeva alle lettere senza mai accennare alle tragedie dei giornali. Raccontava di stare bene, studiare tanto, fare fatica ma con buoni risultati, di andare da tutti gli specialisti dai quali aveva promesso di andare. Grandi nomi, professoroni, tutti al Nord. Cresceva lei, cresceva il fico.  Lei in altezza non crebbe molto, sembro’ per sempre una ragazzina, lui nemmeno, sara’ stata la mancanza di cielo, fatto sta che ando’ per largo, si fece spuntare teneri ributti alla base, che lo irrobustirono.

Non fu mai fiorita, lei, e nemmeno lui faceva fiori. I frutti erano fiori, e bisognava cercarli, tra le foglie. A nessuno interessavano fichi nati in mezzo ai fumi di scarico del traffico cittadino. Pero’ erano robusti, tutti e due. Muscoli magri leggeri e guizzanti, che puntavano in alto con fiducia.

Furono anni intensi, ma l’obiettivo era chiaro e luminoso come tutti i sogni.

Vennero dalla Sicilia, per la laurea. Era diventata ingegnere elettronico. Avrebbe lavorato alla realizzazione di impianti di amplificazione e decodifica attraverso speciali cuffie, degli impulsi sonori. Nel frattempo, aveva imparato ad emettere suoni faticosi, ma utili a farsi capire.

Divento’ un professionista importante, fu cercata da industrie tecnologiche,  ebbe disponibilità finanziarie.

Comprò  una casa comoda ed elegante, per i genitori, che non vennero, fino a che furono capaci di intendere e volere. Continuarono a scrivere. Abitavano già  con lei da un po’, quando le arrivo’ l’ultima lettera. La apri’ stranita,  sembrava uno strano scherzo del tempo. Strappo’ la busta…casco’ il ritaglio di giornale. “Trovato cadavere di donna che viveva da sola. Si pensa ad un malore. Non era in grado di chiedere aiuto”. Lei all’epoca dirigeva un Impero economico, con sedi all’estero e centinaia di dipendenti. Loro non l’avevano mai presa sul serio. Non era cresciuta, era piccola, e sordomuta, ed era nata in un paesino della Sicilia, in una casa con una finestra dalla quale si vedeva solo il mare, ed il grande fico, davanti.

Il piccolo appartamento di lei studentessa l’aveva comprato.  Anzi, a dirla tutta, aveva comprato tutto il “grattacielo”. Poi glielo avevano espropriato. Lei aveva posto una condizione: la costruzione di una grande, riparata,  comoda aiuola, intorno al fico.

La vitalità del fico

Il fico perduto – di Vanna Bigazzi

“Rinasce sempre dalle radici anche quando credi di averlo ucciso”. Questa meravigliosa scintilla di Cecilia è quella che più di tutte le altre è penetrata dentro di me. Sento che mi appartiene. Più volte nella vita mi sono trovata nella situazione di vedermi, anche se molto lentamente, rinascere,  dopo essermi sentita “rasa al suolo”. “Vedermi rinascere” con mio stesso stupore…”Come può avvenire questo”? Mi chiedevo, era come se, a mia insaputa, ardesse dentro di me una fiamma inestinguibile. “Istinto di vita” direbbero gli psicologi. “L’aiuto divino per i martiri”spiegherebbero i Cattolici. “Il tempo passa e necessariamente si dimentica”aggiungerebbero i razionalisti. Non lo so, forse sono tutte vere queste interpretazioni. Per quanto mi riguarda posso esprimere soltanto quello che sento. Esiste in me una forza che si rigenera fatalmente in proporzione alla frustrazione ricevuta in egual misura; poi addirittura si accresce, per cui il sacrificio mi restituisce sempre qualcosa in più. Questa percezione mi spaventa un po’ e mi chiedo quando arriverà il momento in cui questo fuoco si esaurirà, perché dovrà arrivare…Mi fermo alla descrizione di ciò che provo, senza addentrarmi in spiegazioni filosofiche che lascerebbero il tempo che trovano. Tanti anni fa, nel giardino in campagna, una persona a me vicina, senza avvisarmi, rase al suolo un delizioso fico al quale io tenevo in modo particolare perché mi ricordava la mia infanzia nel Mugello, quando con delle amichette, mi recavo a bere acqua di sorgente freschissima, ad una antica, rudimentale fonte in pietra che si trovava “in vetta alla salitella”così dicevano. Eravamo stanche e sudate quando si arrivava e ci inebriavamo di quella freschezza, racchiudendo l’acqua nelle foglie di un fico a ridosso della sorgente, creando con queste, coni a mo’di calici. Ricordo perfettamente le sensazioni che provavo nel dissetarmi: sapori selvatici, puri, effervescenti, in quel luogo ombreggiato dalla pianta perenne; odorosi come frutta raccolta da poco, o come fiorellini appena recisi. Pareva di deglutire una brezza profumata che mi rianimava ad ogni sorso. Era proprio una interiorizzazione non solo dell’acqua ma del fico medesimo. Tornando alla spiacevole sorpresa che provai quando mi accorsi che il fico nel mio giardino non esisteva più, ricordo di essermene molto lamentata con il responsabile di simile scempio e pensai che non avrei mai più goduto di quel fico, per me carico di significati e reminescenze. Invece non è stato così, oggi quella pianta è di nuovo grande e bella e, quando non me li rubano, posso godere ancora di quei dolcissimi frutti. La pianta è sopravvissuta anche alla persona che l’aveva divelta, come spinta da una forza nascosta e potente che la natura le ha donato. In ognuno di noi la natura opera miracoli diversi, a me ha donato questa potenzialità di rigenerare me stessa, per cui quando osservo questa pianta posso parlarle in tutta sincerità:” Cara amica mia, ti amo perché mi somigli; non sei una pianta di qualità o di rilievo scientifico ma di forza e tenacia, riesci a ricrearti costantemente ed essere sempre produttiva, proprio come è “toccato” a me.