Lo spazio per la bellezza per Carmela

C’era poco spazio – di Carmela De Pilla

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 Non c’era più spazio, lo sconforto e la malinconia che l’accompagnavano da sempre aveva invaso tutto il corpo e si sentiva trascinare nel nulla.

Troppa roba.

Troppo peso.

Troppo tutto.

Mancava lo spazio per i sogni, per le risate, per l’amore e quel troppo pieno le toglieva il respiro, la chiudeva nel suo castello incantato dove non c’era spazio per nessuno.

Troppa roba.

Troppo peso.

Troppo tutto.

E poco di tutto.

Come spiegare? Fili di metallo tessevano chilometri di stoffa ruvida, grinzosa, inutilizzabile e intanto lo spazio continuava a diminuire.

Lo sapeva che doveva pulire, mettere in ordine, liberarsi dello sporco che si era accumulato negli anni, ma come?

Forse doveva guardare le stelle?

Forse.

In una notte stellata si ritrovò a camminare nel buio cupo e guardò le stelle, erano tante, cercò di contarle una, due, tre…troppe… poi si accorse che il buio non era così cupo, la luce delle stelle e della luna faceva risaltare i contorni degli alberi, le linee sinuose e materne delle colline, il luccichio delle onde del mare che farfugliavano fra sé e sentì il fruscio delle fronde e lo svolazzare della civetta, sentì anche l’odore della mentuccia, del rosmarino, del finocchietto selvatico e allora capì.

Si lasciò guidare dalle stelle e lasciò andare ciò che fino ad allora aveva occupato tutto lo spazio, ma le ferite più profonde, quelle che avevano disegnato la sua vita le curò e le conservò con premura e mise in ordine ogni cosa.

Quella notte aveva imparato a riconoscere la bellezza.

Ora la scopriva nel disegno di un bambino, nel mandorlo appena fiorito, nei tramonti che le rubavano il cuore, nel miscuglio ordinato o caotico dei colori sulla tela, nella delicata trasparenza di un petalo di rosa.

Aveva smesso di inseguire tutti quei fantasmi e aveva imparato ad amare.

Una scuola per lasciarsi andare per Nadia



LASCIARE ANDARE  PER LASCIARSI ANDARE – di Nadia Peruzzi




Come si impara a lasciare andare? C’è una scuola? Se c’è, mi iscrivo subito. Immagino
che la troverei frequentatissima. .

Non sono mai stata brava in questo. Forse non lo diventerò mai.
Il tempo che resta, se mai lo contassi in anni,  sarebbe già sulla via dell’orlo dell’abisso.
Contando in settimane, apparentemente uno può
anche far finta e tirare il fiato. Ma la spada di Damocle sempre lì resta.

E in questo tempo corto aumentano le domande,  è sempre più facile commuoversi di nulla e temere di parecchie cose che a venti anni erano lontane come Cassiopea.
Allora che facciamo? Che faccio? Che si può fare?
Una bella baita in montagna persa nel nulla e senza nulla a volte la penso come soluzione.  Che bello senza internet e senza cellulare, soli e in mezzo alla natura!
Poi però mi dico e se per uccidere una zanzara cado e metto a rischio una vertebra ? Soluzione baita come toccasana? Non buona.

Ancora peggio la versione struzzo. Mettere la testa sotto la sabbia,  vuol dire
lasciare allo scoperto parti sensibilissime!

Siamo fregati . Non si scappa da ciò che siamo.
È dura farsi scivolare i mali del mondo dalle spalle per vivere meglio,  anche perché a
quelli devi aggiungere i tuoi di mali che si accumulano e danno stilettate
dolorose quando vedi sparire chi ti è stato amore, appoggio, complice, guida, riferimento.

Sapere che tutti provano le stesse cose non aiuta. Così come non aiuta una novella che si racconta per far coraggio anche se sai che non è vero. Il tempo piano piano cura e lenisce!!
Non sono capace di spezzare i fili, questa è la mia verità . Lasciare andare è lacerante e complicato.  Arriva sempre il momento di un gesto, una foto comparsa all’improvviso che riaprono voragini di dolore.
A volte mi dico, ragazza come sarebbe se pensassi di meno, se il cervello fosse meno vigile e attento? Se arrivasse quel ragazzo tedesco dal cognome che mette paura, potrebbe aiutare??
Fare tabula rasa di ricordi, pensieri, potrebbe anche esser divertente, se aprisse un mondo alla Alice nel paese delle Meraviglie dove il Cappellaio Matto diventa il personaggio principale e puoi fare a botte con la Regina di Picche. Ma mica funziona cosī! Chiudere in una bara prima del tempo emozioni, legami ricordi? Terribile . Per fortuna un pensiero che corre via fugace come è arrivato.
E mi dico, ma non sarei più io, che valore avrebbe vivere nei panni di un’altra, smemorina e parecchio svagata a cui le cose non restano addosso ma è collocata senza speranza nella quarta dimensione, dove non arriva più nulla, o se ti va di lusso ti ritrovi a fare i conti col Grillo parlante di Pinocchio mentre il Cappellaio Matto ti da una mano mentre fai a botte con la Regina di Picche!!E tu non sai a chi dar retta!! E allora la
domanda nasce spontanea.

Chi sono io? Chi voglio essere? Chi accetto di essere?
Sono una che si libera delle cose ma non sa fare tabula rasa.
Ne è prova, fra le tante, un vestito dai colori smeraldo, di un cotone che regge da 50 anni. Origine e disegni indonesiani che a forza di lavaggi non hanno perso smalto ma si è solo liso un po’ alle spalle.
 È stato una sorta di accompagnatore scaramantico nei miei viaggi estivi. È sul ripiano dell’armadio e li resterà. C’è una vita dentro quel vestito.  Rivedo le istantanee dei luoghi visitati, le emozioni provate, la felicità o lo stupore di fronte a quello che vedevamo . Farne a meno sarebbe come amputarsi un pezzo di cuore.

I libri? Altra difficoltà. A volte aprendone uno scappa fuori un biglietto dell’autobus di Mosca 2006, o la cartolina di amici o parenti da mete lontane che ormai ho depennato dai miei orizzonti.
Non si può far pulito.  Li considero perle di una collana il cui unico filo è un insieme di ricordi, attimi, sensazioni.
Le persone? Le rotture le vivo malissimo. Non riesco, dentro di me, a rompere del tutto. Bisogna che proprio qualcuno mi abbia ferito profondamente, e lo abbia fatto con cattiveria .
Altrimenti le porte restano sempre con uno spiraglio, in attesa di acque calme in grado di spezzare muri che si creano a volte anche su banalità.
Se devo giudicarmi rispetto alla scintilla a cui mi sono ispirata, direi che mi sento a metà di un guado.
Per imparare a lasciare andare forse sono ancora alla scuola media, con la consapevolezza che forse all’università non arriverò mai, non solo per il tempo che manca,  ma per attitudine.
Sulla consapevolezza che ciò che se ne va, se ne doveva andare, forse lì ci sono più vicino.
Ma essendo una inguaribile romantica piuttosto che assolutizzare il concetto preferisco affidarmi al “Mai dire mai” di 007. Chissà che qualcosa o qualcuno non torni ?
Il definitivo è privo di speranza, un dato di fatto che può pesare come un macigno.
Per questo non amo i cimiteri . Eppure ci sono storie lì dentro. Anche parte delle mie. E parti molto importanti.  Ma non riesco ad andarci con regolarità, devo costringermi ogni volta.
Odio accettare una definitività che impedisce il flusso del bello passato insieme. Una lapide di marmo è lapide nel cuore, e non voglio questo.
Meno male che ci è data la possibilità di sognare anche ad occhi aperti.
Fa bene all’anima. Il sogno è vita, possiede una magia tutta sua.
Le maglie che collegano un anello all’altro non sono pesanti, ma leggere come piume. Le immagini che compaiono possono essere fuori sincrono e con una cronologia strana rispetto al reale andamento delle cose.
Ma le fiammelle che accendono sono in grado di illuminare la strada che aiuta ad andare avanti.