L’Io bendato nello specchio di Vanna

Il vero inaccessibile – di Vanna Bigazzi

Guardarsi allo specchio puo` significare cercare una conferma di noi stessi. Se non siamo certi di noi ci rassicuriamo vedendoci con l’aiuto di uno strumento. Ma anche questo non dara` un’immagine precisa, quindi il nostro vero aspetto rimarra` sempre un mistero. Similmente conoscere se stessi fino in fondo, nella nostra interiorita`, credo sia quasi impossibile, al di la` dell’ammonimento di Socrate. Forse possiamo farlo, sempre relativamente, tramite un aiuto esterno, qualcuno che ci stimoli ad indagare nel nostro profondo, ombre e luci come in un vero specchio. Per la Psicanalisi “rendere conscio l’inconscio”. A parte tutto questo, il guardarsi in una superfice non ben lucida e` stato interessante: un percepire chi siamo senza alcun aiuto. Chi siamo? Un’immagine indefinita, quasi soltanto intuita; si cerca di intravederla attraverso i chiaroscuri che riproducono quelli del nostro animo. Un volto spiegazzato, non delineato ma vivo: la paura di noi stessi o meglio la paura di non sapere come siamo e chi siamo. Se poi guardiamo attraverso questo specchio primordiale (la carta argentata), cosa c’e` alle nostre spalle, l’identita` si perde in riflessi fluttuanti che lasciano spazio alla sola immaginazione. Non il cartesiano “penso quindi sono” ma “percepisco quindi sono”: un io bendato che cerca di afferrare vanamente la sua realta`, quasi un cieco che cerca conferme attraverso i sensi ma che vive nel buio piu` profondo