La ruga cattivissima di Nadia che si affaccia nello specchio

Lo specchio – di Nadia Peruzzi

foto-ritratto di Patrizia Fusi

La vedo anche attraverso uno specchio che non riflette la mia immagine. Se la riflettesse davvero sarei un quadro di Picasso con un occhio di qua ed uno di là. Non è quello che mi darebbe noia. E’ quella stramaledettissima ruga proprio in mezzo alla fronte poco sopra il naso. Sembra un solco malfatto di un aratro malevolo. Si dice siano i pensieri . Siano pure. La spianerei volentieri con ogni mezzo possibile. Ma quelli esistenti passano tutti dalla chirurgia estetica e io il ritocchino a base di botulino anche no. Intanto perchè dovrebbe essere un ritoccone e se poi non mi piacessi tutta piallata e liscia??

Meglio lasciar perdere.

Quindi la tengo, la vedo, non mi piace. Mi dà quell’aria severa che detesto non meno della ruga . Anche perché chi non mi conosce si ferma alla severità della ruga e non va oltre, fino a quella parte di me che sa ridere e spesso e volentieri trova pure il verso di ridere per niente. Troppo bello quando mi succede.

Nel caso della ruga malefica allora ci si adatta a  procedere per inganni. Invecchiando mi nascondo sempre più spesso sotto la massa dei capelli ricci che detestavo da bambina e ho cercato, con ogni mezzo e ogni tipo di contropermanente, di domare da ragazza mentre adesso mi piace proprio tanto.

Quando si allungano un po’ fanno da copertura. Anzi da copertina. Come quella di Linus, solo un po’ più voluminosa. Sono una settantenne cespugliosa, che ha fatto ormai da tempo pace con sé stessa e con i suoi ricci ribelli.

Lo specchio questo rimanda di me. L’aria severa un po’ si stempera.

Non sempre però. Torna a riaffacciarsi quando nel guardare lo specchio vedo che a guardarmi è mia madre e non io. 

Nello specchio “delirio” di Nadia con l’aiuto di De Gregori

Il ciclista – di Nadia Peruzzi

Lo vide sbucare dall’angolo che portava verso lo stradone sterrato. Un ciclista con una tuta fosforescente che correva come non aveva mai visto correre nessuno.

Non fece in tempo a vederlo bene, ma da quel poco che aveva visto gli sembrò la copia esatta del grande campione Girardengo. Non lo aveva mai visto direttamente, aveva visto le foto e delle sue imprese suo padre le aveva raccontato più e più volte.

Le piaceva quando suo padre le raccontava storie. Le piaceva guardare insieme a lui le corse in bicicletta e per un lungo periodo non se ne era persa una delle grandi corse a tappe che avevano fatto la storia del ciclismo. Per non parlare dei grandi campioni di cui in qualche caso ricordava vagamente l’aspetto, di più i nomi: Anquétil e Girardengo erano fra questi.

Era piccola e del primo forse l’aveva affascinata quel cognome francese, dell’altro l’incanto del mito che traspariva dagli occhi di suo padre quando ne parlava.

Il ciclista sfrecciò davanti a lei in un attimo. Troppo veloce per avere qualcuno alle sue calcagna, pensò, anche se non capiva il perché di tutta quella fretta.

Fu un attimo. Vide arrivare dietro a lui un gruppo numeroso di persone che correvano a perdifiato per non perderlo di vista. Sante, il suo vicino di casa ,era l’unico che lo seguiva in bicicletta. Ma era ancora dietro alla curva e l’altro era ormai un puntino lontano e irraggiungibile anche per lui. Sante decise di rinunciare. Si fermò poco dopo la curva tirò fuori la pistola e decise che meglio che fare il ciclista, visti i risultati, era mettersi a fare il bandito. Lasciò la bici a terra e rivolse la sua attenzione alla banca che non era troppo lontana.

Quattro cani per strada rischiarono di essere travolti. Impauriti si fermarono appoggiati ad un muro e si misero ad annusare la vita, tanto per fare qualcosa.

Il signor Good/Spinadipesce era fra i più strani di quella strana combriccola. Correva più degli altri con qualcosa in mano. Sembra fosse un canestro di parole e nessuno si chiese mai perché le portasse lì dentro invece di liberarle in qualche modo.

Una signora con la pelliccia e molto rimmel sulle ciglia correva come una matta su dei tacchi da paura. Reggeva in mano 4 assi di un colore solo e cercava, così diceva correndo, lo zingaro che le aveva fatto le carte. Era rimasto a mezzo e non aveva capito se il suo destino era segnato oppure no.

Correvano tutti in mezzo a campi di granturco maturo per evitare il poverone dello stradone .Era bello vederli splendenti nel sole che giocava a  rimpiattino dietro nuvole di panna montata.

Un fiorellino dal bel colore pervinca sonnecchiava fra fiocchi di zucchero filato e foglie di tè.

Lo raccolse un pianista di piano bar che arrancava fra quelli dell’ultimo gruppo. Un bel ragazzo, di poca malinconia e di poche lacrime ma di molto sentimento lo stesso. Aveva visto uno strano tipo di bambina, con le gambette storte e i calzettoni con i volants e uno splendido vestito bianco fatto a nido di vespa ,che stava sul ciglio della strada ed era in cerca di qualcuno che le tenesse un po’ di compagnia. Le regalò il fiore e la prese per mano e lei gli regalò un sorriso.

Il ciclista pedalava a più non posso. Dal piccolo specchio che aveva montato sul manubrio vedeva in lontananza questo strano corteo che galoppava dietro a lui. Riusciva ancora a distinguere chi correva per rabbia e chi per amore.

Non capiva il perché di tutta questa baraonda .Vero che qualche volta lo scambiavano per Girardengo ma era un attimo .Capivano subito che non era lui. Che non poteva essere lui.

Quella mattina chissà cosa era successo e da dove erano usciti fuori tutti quei tipi strani.

Sopratutto quella Donna Cannone che arrancava sulle sue gambe a misura di prosciutto, con quel vestito azzurro tenda che le stava pure male.

Lei si era un vero spettacolo. Una delle donne di Botero, pensò. Era bella tutto sommato. Attraverso lo specchio la vide diventare d’oro e d’argento, prima che un soffio di vento sollevando un gran polverone se la portasse via con sé, nel cielo, sempre più in alto. Là dove avrebbe voluto perdersi fino da bambina, per volteggiare fra nuvole e stelle

Una donna bambina nello specchio di Lucia

Lo specchio – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Una donna bambina o una bambina donna?
Capelli lisci di mamma
Occhi infinitamente tristi che ogni tanto brillano come la luna
Il naso di mio padre severo e arcigno si apre in una risata sulle mie labbra una volta belle davvero
Vedo la bambina e l’adolescente di ieri sempre alla ricerca di incontri, di abbracci, di mani tese alla vita
Non puoi tirarmi nell’abisso mamma 
Ho una voglia pazza di nuovo, di conoscenza e di sorrisi
Una voglia pazza di allargare le braccia e trovare l’accoglienza e accogliere un corpo caldo, uno sguardo d’amore, una parola per me
La forza dell’incontro che aiuta la mia forza a crescere e sbocciare, a uscire fuori come la testa di una tartaruga
E poi c’è il mio corpo con le gambe ben piantate e tozze dei contadini, gambe che vivono a contatto con la terra, che hanno bisogno di terra per spingersi e sollevarsi
E una vita sottile sottile da libellula per volare ad annusare i fiori vicino all’acqua e quelli vicino al cielo
Mi fermo sulle mani
Ho mai guardato le mie mani?
Nelle mani c’è scritta tutta la mia storia!


Nello specchio, rivolto di lato, alle spalle vedo
Un volto
Il volto del passato
Il volto dolce e spaventoso
di chi mi ha preceduta

Incontro del 13 ottobre 2022 alla Carrozza 10 del Teatro Comunale di Antella: lo specchio di stagnola

foto di Lucia Bettoni e Cecilia Trinci

Ognuno riceve un pezzo di stagnola da accartocciare sui bordi in modo da formare un tondo per specchiarsi dentro.

Volutamente uno specchio “infedele” per osservare da vicino, in profonda concentrazione, qualcosa che appare dentro e che ci chiama o ci attrae.

Lo stesso specchio velato va poi spostato di lato, per guardare alle spalle, dietro di noi, quello che ci accompagna: oggetti, persone o sensazioni……

**

Riflettiamo su: “Si ha per lo più la convinzione di raccontare cose che ci sono accadute, e di farlo in base a come siamo fatti Ma la moltitudine di scelte istintive che facciamo per narrare viene più probabilmente da quel che non siamo ancora e da cose che ancora non sono successe. (….) Chi racconta, diventa. Non si limita a organizzare il passato, ma suscita il futuro.

Mentre apparentemente rilegge pagine già scritte tempo prima, con la parte più animale e istintiva del suo narrare sta scrivendo le pagine bianche che si era lasciato indietro. In questo modo, narrando, completa un lungo andare, e giunge a compimento.” (A. Baricco)