Il ciclista – di Nadia Peruzzi
Lo vide sbucare dall’angolo che portava verso lo stradone sterrato. Un ciclista con una tuta fosforescente che correva come non aveva mai visto correre nessuno.
Non fece in tempo a vederlo bene, ma da quel poco che aveva visto gli sembrò la copia esatta del grande campione Girardengo. Non lo aveva mai visto direttamente, aveva visto le foto e delle sue imprese suo padre le aveva raccontato più e più volte.
Le piaceva quando suo padre le raccontava storie. Le piaceva guardare insieme a lui le corse in bicicletta e per un lungo periodo non se ne era persa una delle grandi corse a tappe che avevano fatto la storia del ciclismo. Per non parlare dei grandi campioni di cui in qualche caso ricordava vagamente l’aspetto, di più i nomi: Anquétil e Girardengo erano fra questi.
Era piccola e del primo forse l’aveva affascinata quel cognome francese, dell’altro l’incanto del mito che traspariva dagli occhi di suo padre quando ne parlava.
Il ciclista sfrecciò davanti a lei in un attimo. Troppo veloce per avere qualcuno alle sue calcagna, pensò, anche se non capiva il perché di tutta quella fretta.
Fu un attimo. Vide arrivare dietro a lui un gruppo numeroso di persone che correvano a perdifiato per non perderlo di vista. Sante, il suo vicino di casa ,era l’unico che lo seguiva in bicicletta. Ma era ancora dietro alla curva e l’altro era ormai un puntino lontano e irraggiungibile anche per lui. Sante decise di rinunciare. Si fermò poco dopo la curva tirò fuori la pistola e decise che meglio che fare il ciclista, visti i risultati, era mettersi a fare il bandito. Lasciò la bici a terra e rivolse la sua attenzione alla banca che non era troppo lontana.
Quattro cani per strada rischiarono di essere travolti. Impauriti si fermarono appoggiati ad un muro e si misero ad annusare la vita, tanto per fare qualcosa.
Il signor Good/Spinadipesce era fra i più strani di quella strana combriccola. Correva più degli altri con qualcosa in mano. Sembra fosse un canestro di parole e nessuno si chiese mai perché le portasse lì dentro invece di liberarle in qualche modo.
Una signora con la pelliccia e molto rimmel sulle ciglia correva come una matta su dei tacchi da paura. Reggeva in mano 4 assi di un colore solo e cercava, così diceva correndo, lo zingaro che le aveva fatto le carte. Era rimasto a mezzo e non aveva capito se il suo destino era segnato oppure no.
Correvano tutti in mezzo a campi di granturco maturo per evitare il poverone dello stradone .Era bello vederli splendenti nel sole che giocava a rimpiattino dietro nuvole di panna montata.
Un fiorellino dal bel colore pervinca sonnecchiava fra fiocchi di zucchero filato e foglie di tè.
Lo raccolse un pianista di piano bar che arrancava fra quelli dell’ultimo gruppo. Un bel ragazzo, di poca malinconia e di poche lacrime ma di molto sentimento lo stesso. Aveva visto uno strano tipo di bambina, con le gambette storte e i calzettoni con i volants e uno splendido vestito bianco fatto a nido di vespa ,che stava sul ciglio della strada ed era in cerca di qualcuno che le tenesse un po’ di compagnia. Le regalò il fiore e la prese per mano e lei gli regalò un sorriso.
Il ciclista pedalava a più non posso. Dal piccolo specchio che aveva montato sul manubrio vedeva in lontananza questo strano corteo che galoppava dietro a lui. Riusciva ancora a distinguere chi correva per rabbia e chi per amore.
Non capiva il perché di tutta questa baraonda .Vero che qualche volta lo scambiavano per Girardengo ma era un attimo .Capivano subito che non era lui. Che non poteva essere lui.
Quella mattina chissà cosa era successo e da dove erano usciti fuori tutti quei tipi strani.
Sopratutto quella Donna Cannone che arrancava sulle sue gambe a misura di prosciutto, con quel vestito azzurro tenda che le stava pure male.
Lei si era un vero spettacolo. Una delle donne di Botero, pensò. Era bella tutto sommato. Attraverso lo specchio la vide diventare d’oro e d’argento, prima che un soffio di vento sollevando un gran polverone se la portasse via con sé, nel cielo, sempre più in alto. Là dove avrebbe voluto perdersi fino da bambina, per volteggiare fra nuvole e stelle