(foto Joseph Eldridge – Portfolio London)
Lorenzo Salsi: “Sei sangue di tutte le rose, sei pacata,elegante….. forse mi somigli”
Così Eleonora parlò alla rosa ed ebbe un sussulto quando alle spalle le si aprì la porta del giardino d’inverno.
“Se fosse davvero come te, sarebbe ancora più bella” disse, schiarendosi la voce, Oreste, suo padre.
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Stefania Bonanni: Agnese, al secolo.
Una strana ragazza, sempre con gli occhi al cielo, ed i capelli al vento. Restavano impigliati nei rovi, quando correva nel bosco cantando, con la lunga gonna ricamata che spazzava la polvere. Ed i capelli ricci, neri e lunghissimi, restavano intrecciati alle more, come ragnatele.
Lei guardava il cielo, respirava il vento, cantava i versi degli uccelli, era una strana ragazza.
Non si stupì nessuno, quando decide che la sua vita sarebbe continuata in convento. Aveva corso tanto, tanto cantato, disse che bastava quello che aveva respirato, per riempire la vita futura.
Le lunghe mani bianche erano adatte alla preghiera. Tirò su con il naso il profumo delle rose,se ne riempi’ gli occhi, la gola, le orecchie ed il cervello, si sciolse i capelli e si girò verso chi era pronto per tagliarli.
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Rossella Gallori: …non so se quel tavolo mi abbia protetto o schiacciato , so che era al centro della cucina…..
Lei arrivò in punta di piedi, forse mi somigliava, era un po’ come me, ma non fuori….dentro…era più delicata nei lineamenti, nel modo di porgersi.
La invitai ad entrare nel mio mondo , un mondo tutto mio , quello che mi ero creata.
Vieni, le dissi, qui non ci vede nessuno, ma sei Annah o Sarah, Miriam ???? decisi di chiamarti Leah …sì, mi piacque Leah .
Si nascose con me , divise i miei incubi, le mie solitudini….giocammo ad essere vive, facemmo anche un gioco semplice ,che ci inventammo così, senza parlare…..si chiamava “ESSERE FELICI” … li per li ci divertimmo poi con il passare delle ore ci stancammo.
Restammo a lungo , sotto quel tavolo, facendo rumore….ma nessuno ci venne a cercare, nessuno….rimase solo il profumo dei tuoi fiori , che diventarono anche i miei e non si seccarono mai.
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Gabriella Crisafulli: Un autunno fuori stagione sfoggiava tutti i suoi colori e fiammeggiava il paesaggio di calore.
La bambina stava lì al sole, tutta concentrata, la testa china sul fiore appena raccolto, poggiato nelle sue mani. Le dita sottili e affusolate raccolte a formare un nido. Ad occhi chiusi assaporava la quiete di quel momento di libertà, lontana dai bambini della pluriclasse dove insegnava sua madre, che lei e la sorella seguivano al lavoro. Stava fra le vigne che non aveva mai visto in vita sua, in compagnia di se stessa, immersa nei sogni e nelle fantasie.
Una spina pungeva fra le dita.
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Roberta Morandi: Un soffio, un alito, un bacio amorevole, una “cosa” dolce e profumata, un gesto antico in un istantanea. Immagine d’altri tempi che ispira lentezza e dolcezza, un’ immagine lontana e fuori dal tempo: non io.
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Chiara Bonechi: la ragazza lascia un fiore ad una persona cara. Prima di lasciarlo lo avvicina a sé, è come un abbraccio, un bacio, che mette in quel fiore per l’altro…
Pensa:
” Le ho colte nel giardino per te e te le dono con amore, quando saranno appassite, di nuovo ti donerò un fiore…il fiore che vive grazie all’acqua che succhia, l’acqua è vita…
Ma ora ti devo lasciare.”
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Patrizia Casati: Perché sei triste? Cosa ti ha spinto ad avvicinarti a quella pianta? cosa ti ricorda? ti manca qualcuno? Vedo la tua mano che sfiora quel rametto, perché così delicatamente? Hai paura di farti del male?
Una sensazione di nuovo turbamento.
Lo senti il profumo? sembra che non ti faccia impazzire, anzi…..
Sei così triste…… perché?
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Patrizia Fusi: Una giornata triste,un piccolo viso bello e acerbo.
E’ andata in giardino per poter trovare un po’ di serenità. Dal cespuglio selvatico di rosa canina coglie un ramo, lo tiene nelle mani con dolcezza e tenerezza, lo odora, quel profumo entra nelle narici e nella mente, evoca ricordi dolcissimi, attimi che aveva trascorso in quel giardino quando era piccola, ricordi di giornate piene di luce, giochi vivaci con i fratellini e gli amici, merende con dolci fragranti fatti dalla mamma.
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Laura Casati: E’ la foto di una adolescente della prima metà del secolo scorso intenta ad odorare un mazzo di rose bianche. I fiori le sono stati donati da uno spasimante che ha visto di sfuggita qualche volta uscendo da scuola. Il ragazzo un po’ più grande di lei l’ha seguita in bici, a dovuta distanza fino al cancello di casa, senza aver il coraggio di importunarla. Le rose le ha trovate stamattina al ritorno da scuola, legate con un bel nastro e una dedica tra le sbarre del cancello.
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Aldo Bombaci:
Come un calice di cristallo
stavano le mani della giovinetta,
e delicate cingevano lo stelo
nel porgere al suo volto ambrato
il bianco bocciolo.
Dolcemente il viso declinava
e con la leggerezza della farfalla
in aria le labbra avvicinava sul novello fiore,
ed il profumo ne assorbiva
nel contemplare dei casti petali
la bellezza.
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Maria Laura Tripodi: Il profumo in quel giardino era intenso. Assaporavo gli aromi di quella primavera inoltrata con i palmi delle mani sulle guance e i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra. Bevevo la luminosità dei colori mentre assorbivo tutto il loro fascino.
Poi ho sentito il cigolio del cancello che si apriva.
Sei entrata quatta quatta, quasi timidamente. Sembravi uscita da un altro tempo.
Mi sono chiesta quanti anni potevi avere.
Eri una bambina che camminava verso l’adolescenza? Forse eri una donna che avrebbe voluto ritornare indietro?
Ti ho osservata a lungo mentre ti immergevi nel profumo di quel fiore bianco.
Sembrava che tu stessi cercando una risposta.
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Emilia Caravaggi: Una ragazza dallo sguardo dolce, semplice eppure molto significativo malinconico, di altri tempi direi. Il viso illuminato dalla luce della finestra e la rosa selvatica bianca, che sta annusando con delicatezza, sembra aggiungere più pallore a questo bel viso sconosciuto. E’ una foto antica come traspare dal vestito che indossa e dalla stessa foto in bianco e nero ormai quasi in disuso. Mi ricorda molto alcune foto della mia mamma, della nonna, delle zie da giovani e mi affiorano subito dei ricordi belli, sereni, malinconici e di quando ad un mercatino dell’antiquariato mi sono fermata ad un banco pieno di foto antiche con personaggi sconosciuti ma che hanno attirato la mia attenzione per l’espressione del volto. Ne ho comprate diverse pensando che avrei potuto incorniciarle ed appenderle in camera o in salotto e guardarle ogni tanto. Magari tornare indietro nel tempo quando i ricordi erano ancora belli e sereni.
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Nadia Peruzzi: Era mattina, una bella mattina di maggio di quelle in cui il sole gia’ si fa caldo, ma senza esagerare.
Inès si era appena svegliata ma oziava a letto, quella mattina .Non si decideva ad alzarsi. La notte era stata lunga. Aveva ballato e cantato. Aveva riso, sopratutto.
Era uscita con le amiche, ma nel locale in cui erano andate le aveva perse di vista.
Aveva incontrato Antonio, un suo vecchio compagno di liceo. Alla fine del primo anno ,la sua famiglia si era trasferita in un’altra citta’ e lei non lo aveva piu’ visto, fino a quella sera. Era tornato da poco, le disse, per un incarico come cronista presso il giornale per il quale aveva lavorato, per un periodo, anche suo padre.
Inès aveva faticato a riconoscerlo. Nel ricordo era un biondino slavato e brufoloso, mentre adesso aveva di fronte un giovanotto alto e robusto con un bel ciuffo di capelli castani. Solo gli occhi, vivaci ed espressivi, la riportarono a lui ragazzino. Successe subito qualcosa fra loro. Una scintilla, una energia positiva li avvicino’ e non si staccarono per tutta la sera .Ognuno voleva sapere dell’altro, per colmare il tempo che mancava per collegare ieri a oggi! Si scopri’ felice, Inès .Ballo’ come non aveva ballato mai. Rise, come non aveva fatto mai. Si ritrovarono pure a cantare le canzoncine della loro infanzia, anche quelle buffe e sceme, per riderci sopra come matti.
Si fece seria solo quando lui la bacio’ sulla soglia di casa mentre le diceva che l’avrebbe richiamata l’indomani.
Temeva che tutto svanisse nel sonno e che l’alba che stava facendo capolino avrebbe pian piano cancellato la realta’ della notte precedente .Temeva, al risveglio, di non ritrovare altro che il vuoto della solitudine che l’aveva accompagnata negli ultimi anni.
Si crogiolo’ nel tepore del letto cercando di riannodare i fili della notte precedente. Aveva bisogno di conferme al suo desiderio di vita. Si alzo’ , vide la rosa che Antonio le aveva regalato. Se la porto’ al viso per berne il profumo. Non era appassita,era ancora velluto profumato. La bacio’ con delicatezza per paura di sciuparla. Non era piu’ solo un fiore. Era una promessa che sapeva di cose buone.
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Alessandra Sarti: Momenti antichi,una vita passata a volte difficile, ma dai tuoi ricordi felice. Anche tu sei stata piccola. Non ci avevo mai pensato. Non ti ho mai visto così.
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Ivana Acciaioli: Niente appariva niente scompariva la sua giovane esistenza era tutta lì raccolta in quel tenue pungente fiore.
e poi………..
Un fiore può uccidere?
Guardava la figlia in giardino assorta in quel gesto amorevole, ma non poteva cancellare il desiderio morboso che aveva di lei.
Quel fiore che lei odorava con estrema purezza lo faceva sentire un mostro e prima di commettere errori imperdonabili, si avvicinò la pistola alla tempia.
La figlia inconsapevole depose una stessa rosa bianca sulla sua tomba.
Il ricordo del padre era salvo.
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Tina Conti: Teneva fra le mani,quelle belle mani lunghe e affusolate un piccolo mazzolino.
Piccole rose chiare, foglie leggere composte con amore e delicatezza.
Bianca, un giorno di fine estate era tornata alla cascina dove aveva vissuto la nonna, tutto era rimasto uguale, il pergolato di uva fragola davanti alla cucina, il fico verdino che faceva ombra al pozzo e dietro il fienile, arrampicato sul muro il bel roseto bianco pieno di corolle morbide e tremolanti.
Bianca non aveva resistito al desiderio di avere nuovamente alcune fra le mani per ricordare quel profumo di giorni spensierati e allegri di voci delle cugine e amiche e il richiamo della nonna per la merenda.
Adesso stringeva e accarezzava quel piccolo gioiello, era la rosa della sua nonna.
L’avrebbe fatta vedere a sua figlia al ritorno da scuola e insieme si sarebbero strette in un abbraccio silenzioso e pieno di ricordi.
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Miriam Pavi: Irene. Era il 1955 e Irene si trovava nella scuola-collegio da quasi cinque anni, il tempo necessario per portare a termine il liceo.Era approdata in quel convitto perché nell’isola in cui viveva non c’erano le medie superiori ed i suoi genitori erano legati a quel territorio dal loro lavoro. Quasi bambina, aveva colto l’opportunità di andarsene verso una grande città anche se questo significava lasciare la luce ed i profumi della sua isola e vivere quasi reclusa in una struttura tenuta da religiose, ma ogni cosa ha il suo prezzo e questo era quello da pagare per poter allargare il suo mondo.
Irene era minuta, esile, flessibile come una canna di bambù e proprio la flessibilità unita alla capacità di vedere il meglio del qui ed ora erano alla base della sua grande forza. Queste caratteristiche le avevano permesso di vivere gli anni scolastici con leggerezza se non proprio con allegria: a volte era davvero duro sopportare l’ottusità di suor Celeste o le manie persecutorie di suor Pochina… certo questo nome che le era stato affibbiato prendendo i voti, doveva aver contribuito non poco alla sua rancorosità! Anche fra le sue compagne di studi c’era un universo di buono e di cattivo: c’erano amiche leali, ragazze fragili ed anche adolescenti carogne ma Irene aveva capito che tutto in quel luogo ed in quel tempo era a termine, lei si sarebbe diplomata e dopo, maggiorenne e finalmente affrancata dall’altrui guardia, avrebbe fatto medicina! Così erano passati gli anni scolastici, durante l’estate Irene tornava alla sua isola e là, il sole, il vento, il profumo del rosmarino la riempivano nuovamente dell’energia necessaria per affrontare l’inverno…
Questo rammentava Irene in quell’ultimo giorno di scuola mentre nel giardino dell’Istituto si guardava attorno per portare via con sé in un flash i suoi ultimi cinque anni di vita, poi volse gli occhi verso il muro del collegio e vide la pianta di rose addossata alla parete. Si avvicinò al fiore e con delicatezza lo accolse fra le mani: spine e profumi come erano stati i suoi anni. Avvicinò le labbra quasi in un bacio di gratitudine, inspirò profondamente e , ancora non strutturata dalla vita, Irene percepì il profumo del mondo con il suo cervello antico…non aveva bisogno di altri sensi per immaginare il suo futuro!
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Germana Fantini – Sophie. Come il cinema riesce a coinvolgerli.
Questa bella immagine di dolce fanciulla che annusa sfiorando con il naso la rosa bianca che tiene tra le mani non si può chiamare altro che Sophie.
Mi riporta indietro con gli anni, quando ho visto questo film “la rosa bianca”,
Che mi ha coinvolta emotivamente e ricordo ancora di essere uscita dalla sala cinematografica rossa di rabbia e di passione, e ancora di più voglia di giustizia.
Il film è un fatto vero, si svolge a Monaco nel ’43 in pieno clima di oppressione hitleriana.
Un gruppo di universitari formano un movimento chiamato La Rosa Bianca, entra a far parte del gruppo Sophie, unica donna che insieme al fratello e ad altri componenti del movimento verranno scoperti dentro l’università a distribuire volantini contro la dittatura, verranno scoperti dalla polizia di Hitler, la Gestapo, e così segue un interrogatorio con un ufficiale affascinato da questa giovane donna che tenta di scagionare se stessa e il movimento in maniera ironica e decisiva.
L’ufficiale colpito da questa ragazza, dalla sua fierezza e sicurezza riesce quasi a convincersi, ma le prove sono schiaccianti, e l’ufficiale arriva a proporle che se rinnega le proprie idee non verrà, e non verranno condannati a morte lei, suo fratello e un ragazzo facente parte del movimento.
Ma Sophie e gli altri ragazzi con grande coraggio finiranno decapitati (all’epoca di oggi non si sa cosa vuol dire).
Quando vedo le rose bianche, di qualsiasi qualità esse siano io acquisto Sophie, e quando le metto nel vaso di fiori in casa quel mazzo è l’angolo più bello della casa.
La mia cara Sophie vive ancora in me e suscita grande emozione.
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Elisabetta Brunelleschi: La tenerezza non può mai essere sola, è uno scambio tra esseri umani: guardarsi, sentirsi,piegare la fronte, avvicinare una mano, sfiorarsi, …