Telefonami tra vent’anni. Telefonami anche tra vent’anni, Cecilia. Telefonami, ed ovunque sarò, sentirò la tua chiamata.(Stefania)
Le orecchie puntate verso il cielo – di Stefania Bonanni
Lo feci:. buttai tutti i numeri tra le stelle, e saltai nel duemila. E ti vidi, con la barba bianca e gli occhiali da sole, fermo a guardare girare il mondo. Che girava, eccome, trascinando con sé i nostri sogni di ragazzi, vent’anni fa, ed anche altri vent ‘anni prima. Girava il mondo, mangiava le nostre parole, ci costringeva con le orecchie puntate verso il cielo, per capire di più, per sentire di più.
Adesso, non ho voglia di capirti. Telefonami però, oggi, domani e tra vent’anni, ancora. Saro lì per te, come quando sedevo sullo stesso sellino del tuo motorino, e ti stringevo con braccia imbarazzante la vita, e ti pensavo nel tempo, e sapevo che avremmo risposto allo stesso numero, al telefono. Mi avresti risposto, e avresti avuto il coraggio di scoprirti il cuore.
E poi i salti, bum bum, fino alle porte dell’ universo.
E le stelle, che sono sempre le stesse, nei miei occhi e nei tuoi. E poi marzo, ed un’ altra primavera, e non sarà inquietante, se mi prendi la mano. Telefonami, se hai voglia di capirmi. Io adesso, non ho voglia di capirti. Però abbracciami, se vuoi che la primavera fiorisca.
Il duemila era un sogno per tutti… Da ragazzina sognavo come poteva essere, e facevo il conto di quanti anni avrei avuto. Pensavo che sarei stata vecchia… una vecchina di quarant’anni!
Ma in un salto ci siamo arrivati e, anche se apparentemente era rimasto come il secolo prima, con il passare dei mesi tutto quello che avevo sognato era rimasto nel cassetto.
Niente capelli e barba bianca, niente giratine mano nella mano, niente da condividere con una persona importante, perchè, è proprio in quell’anno che il mondo mi è cascato addosso lasciando un segno indelebile.
Da allora non sono più riuscita a trovare la felicità e, quando ho avuto eventi che dovevano essere di grande contentezza e soddisfazione, ho sentito la tua mancanza che nessuno, ancora, è riuscito a sostituire.
La vita non è stata facile, con tante responsabilità, decisioni importanti da prendere senza condivisione, ma a questa età credo di essere consapevole di aver fatto le scelte giuste e di sentirmi tranquilla con me stessa. Questa è la cosa più importante… nella vita bisogna anche accontentarsi…
Ho bisogno di te ma non so il tuo numero a memoria.
Avevo un’agenda, la cerco disperatamente, la trovo in fondo ad un cassetto, polverosa, la sfoglio velocemente ma è tutta cancellata e illeggibile, non si usa ormai più. E non sono passati neppure vent’anni.
Ho bisogno di te ma non so il tuo numero a memoria.
L’ho memorizzato sul cellulare, è facile telefonarti. Cerco, cerco ma non so dove l’ho lasciato, senza cellulare mi sento nuda, mi sento sola, voglio chiamarti ma non so come fare. E sono passati appena vent’anni.
Ho bisogno di te ma non so il tuo numero a memoria.
Ho riempito le tasche con pizzini con il tuo numero di telefono, li cerco, li trovo, poi non li trovo più, faccio confusione, non riesco a rintracciarti, è un incubo!
È un incubo! È il solito sogno che spesso è con me. Poi però mi sveglio. Decido di imparare il numero a memoria e di scriverlo sulla pelle se telefono tra vent’anni.
Ho visto persone che vivono uno spazio e una canzone che li riporta alla condivisione del tempo. Il piacere di ritrovarsi è espresso anche dal corpo che balla, in libertà, e il gioco di rimpallarsi le parole conferma che sono ancora insieme, dopo vent’anni.
“Importante è non arrivarci in fila ma tutti quanti in modo diverso” canta Lucio, e forse la canzone è più immagine del video.
2. Suggestione di Carmela De Pilla
Ripensami tra vent’anni
Ripensami tra vent’anni figlia mia
le gambe non saranno più pronte per andare
le mani saranno intrappolate dal tremolio
ma ripensami.
Il sole continuerà a splendere
le stelle ci guarderanno
e io sorriderò pensando a te.
La memoria avrà cancellato il mio passato e ne avrò nostalgia
rincorrerò i bei momenti e sarò felice.
Ripensami tra vent’anni figlia mia
quando sentirai a malapena il suono dei miei pensieri
Due anime sull’Ape – di Anna Meli, Sandra Conticini, Tina Conti
Da giorni non si muoveva, spostava quella catasta di materiale dividendolo per genere;
Ferro, legno buono, ottone, mattoni e tegole, elettrodomestici da smontare.
Sarebbero dovuti venire a giorni a recuperarlo. Lui così avrebbe avuto un po’ di disponibilità economica per poter finalmente andare in paese a fare una scorta di cibo e incontrare i soliti amici.
Anselma gli trotterellava fra le gambe, stanca anche lei di mangiare pane secco e qualche crosta di
Formaggio. In quei giorni , aveva anche aggiustato quel vecchio e malandato portone che in modo sommario chiudeva l’accesso a quella stamberga scavata nella roccia.
Era avvezzo ai capricci del vulcano come tutti del resto, c’erano giorni che sembrava di essere sulla luna per quel colore grigio-nero che prendevano tutte le cose, dicevano che sarebbe successo di nuovo e lui non voleva farsi trovare indifeso.
A lui piaceva quella cenere, sentiva camminando i passi silenziosi, le piante sembravano tutte uguali e dello stesso colore. l’indomani sarebbe andato in paese, si coricò con i panni pronti e l’ape carica di tegole per la sorella che restaurava il porcile. .
Sembrava una notte tranquilla senza stelle, con il solito vento intervallato da folate improvvise.
A volte le nuvole si spostavano veloci e si scorgeva un chiarore, era la luna, luna piena. Si intravedeva la radura con quei cespugli alti e pungenti. Gli alberi intorno con tronchi grossi e rami alti e pieni che si muovevano sempre più veloci. Si sentivano rumori strani, e indecifrabili.
Forse esplosioni, crepitio di legno spezzato, rotolare di oggetti e pietre.
In lontananza si intravedevano dei chiarori e strane forme luminose che si sollevavano nel cielo e precipitavano , la radura era un luccichio continuo. Un odore intenso e nebbioso si levo’ nell’aria, con fumo e fuliggine. Si udivano stridii di animali che come impazziti a balzi si disperdevano. ,
uno stormo di uccelli giganti con larghe ali andava verso la radura, tentava di spiccare il volo , solo dopo una forte esplosione e uno spostamento d’aria ci riuscì, come previsto il vulcano si era risvegliato , accadeva spesso ma sempre con pochi danni.
Lentamente si acquetarono i rumori, il vento cessò , non si vedevano incendi in lontananza, stava sorgendo l’alba. Anselma cominciò a scodinzolare festosa, stava volentieri con Ciro si sentiva protetta. Nata sfortunata perché la sua mamma , randagina, dopo aver partorito cinque cuccioli tre maschi e due femmine era morta. I cuccioli vivevano sotto un ponte dove c’erano drogati, alcolizzati e poveri migranti, occupando di giorno i loro giacigli vuoti ma la sera venivano scacciati a sassate e a volte con secchi d’acqua gelata. Due cuccioli non arrivarono a tre mesi e un giorno non si seppe più niente di loro. Per fortuna durante il giorno qualcuno di buon cuore si avventurava in quel disastro per portare da mangiare a una colonia di gatti e lasciava un po’ di latte per i due cuccioli in vita.
Avevano occhi tristi , gli mancavano coccole , accudimento , pulizia e cibo adatto a una vita decorosa
Anselma era arrivata al bar del paese di Zafferana, non si sa come e riceveva la carità degli avventori. Un giorno si era accucciata sul sedile dell’ape di Ciro trovando cosi un buon padrone
Si erano intesi subito, poche esigenze entrambi, una vita scombinata tutti e due.
Lei lo seguiva negli spostamenti per il lavoro, faceva la guardia alla casa quando lui si assentava. Lo sentiva da lontano e quando lo vedeva arrivare sulla sua APE vecchia e rumorosa ma sempre riconoscibile per quel pezzo di legno colorato attaccato sulla ribalta si attaccava alle sue gambe
Quel pezzo di legno , aveva un grande valore per Ciro, lo ridipingeva spesso perché era la sua eredità
Una parte posteriore del vecchio carro di famiglia decorato con il quale si facevano i lavori in campagna. Anselma lo vedeva scendere veloce per la stradella di casa con quel traballante mezzo.
Era piccolo, magro, ossuto, vestito con una giacchettaccia logora ma non lacerata, la sorella spesso ricuciva gli strappi e aggiustava i bottoni. I pantaloni poggiavano sulle scarpe vecchie di fango a mo di organetto. La sua faccia scavata metteva in evidenza due guancette rosse, una bocca incorniciata da baffi bianco -grigi. Aveva un’espressione sorridente oserei dire sognatrice spesso quando faceva fermate a bere un goccetto di vino. Portava un cappellaccio sbertucciato che riparava la sua testa piccola coprendo anche una parte della fronte non nascondendo però gli occhi vivaci dall’espressione furba e scherzosa.
Era un personaggio unico, viveva giorno per giorno di quello che riusciva a racimolare.
A modo suo era un poeta , improvvisava canti e poesie in rima alle fiere di paese. La cagnetta Anselma era diventata la sua compagna di vita , quando erano in giro per i mercati, riceveva tante attenzioni e buon cibo e al rientro digiunava per diversi giorni.
Una vita sempre uguale, di intese silenziose , si vedeva che fra loro regnava l’armonia