Una storia per quattro autori e un imprevisto: Daniele, Lucia, Gabriella, Rossella, Tina

Il ghiacciaio sparito – di Daniele Violi, Lucia Bettoni, Gabriella Crisafulli, Rossella Gallori, Tina Conti

I veicoli sfrecciavano a velocità sostenuta.

Dal cavalcavia si godeva un panorama che spaziava dal verde dei monti a quello delle valli.

Sulla destra troneggiava un autogrill.

Maria mise la freccia e svoltò in direzione del parcheggio.

Francois era lì a fianco della sua auto e Maria pensò che stava per succedere qualcosa.

“Mi chiamo Maria, ho cinquantanove anni, amo i vestiti colorati e amo la vita in maniera esagerata.

I miei capelli sono così come sono: mi piacciono liberi, non ho una pettinatura. Sono il bastone del rabdomante in cerca di acqua. Prevedono eventi, pericoli, catastrofi.

Mi fermo.

Percepisco qualcosa, qualcuno …”

Un’ombra si avvicina all’auto.

Capelli sciolti più per necessità che per vezzo.

Asciugarli al vento è un rischio da correre.

Finestrini aperti.

“Ho lasciato alle spalle parole sbagliate.

Sono salito sulla mia jeep e via.

Mi sono fermato per un battito di ciglia”

Maria e Francois magicamente attratti si distaccano dalla folla perché attirati entrambi dalla visione delle montagne e dall’energia che sprigionavano.

Salire sempre era il loro motto, la loro passione, il loro mistero condiviso e inaspettato che li spingeva verso il cielo.

Provavano in ciò sollievo e risposte alle loro domande: scoprire la vita e darle un senso.

Li aspettava un evento funesto: Maria lo aveva percepito.

Il ghiacciaio si era spogliato ed era sparito.

Si presentò una strada ripida e buia: il sole era calato, la pioggia batteva inesorabile.

Sopraggiunse una nebbia fitta e un grande lampo squarciò l’orizzonte con un boato.

Li colse una sensazione di smarrimento.

Davanti a loro si formò una voragine profonda e buia.

I corpi di Maria e Francois si fusero insieme, i capelli in un’unica treccia.

Rotolavano massi dalla montagna a terra.

Le loro membra ibernate per sempre nell’ultimo lembo di ghiaccio.

Una storia per quattro autori: Anna, Luca, Nadia, Sandra

Mostri sulla riva del mare – di Anna Meli, Luca Miraglia, Nadia Peruzzi, Sandra Conticini

Casa dell’Assuntina era uno dei tanti agriturismi che si trovano in maremma nel parco della Sterpaia, fra la campagna ed il mare: una cascina trasformata in piccoli appartamenti semplici e confortevoli. Niente lussi, solo una piscina sopraelevata nella quale immergersi in compagnia di qualche insetto che, venuto a rinfrescarsi, vi era annegato.

Una strada sterrata e polverosa conduceva al mare. Ai lati pascolavano stupendi bufali che osservando il tutto con occhi languidi, muovevano la testa incuranti di ciò che succedeva intorno.

Tafani noiosi cercavano cibo sulla pelle di quelli che passavano per andare alla spiaggia.

La spiaggia, il mare resi selvaggi da tronchi e pezzi di legno portati dalle tempeste si mostravano in tutta la loro naturalezza ed erano motivo di rilassante serenità.

Alla sera l’Assuntina apparecchiava per tutti sotto la pergola per una cena semplice e gustosa.

Intorno allo stesso tavolo stavano Saverio, all’apparenza chiuso e introverso, e un giovane uomo allampanato dal bel sorriso: non si conoscevano e, stanchi entrambi della giornata al sole, si scambiarono solo poche parole di convenevoli. Terminata la cena ciascuno se ne andò per suo conto a rilassarsi prima del riposo nella fresca notte maremmana.

A notte fonda, improvviso, il cuculo dispettoso dalla cima del cipresso cominciò a cantare la sua litania… senza tregua…

Saverio e il suo giovane commensale, svegliati dal canto ossessivo dell’uccello, si ritrovarono sotto la pergola a maledire il povero cuculo con epiteti di ogni genere tentando di farlo smettere.

Dopo un po’, senza ovviamente ottenere alcun risultato, il giovane desistette e si mise a sedere su una comoda sdraio, accese una sigaretta e, offrendone una a Saverio, tentò di avviare una conversazione.

Lì per lì Saverio se ne stava sulle sue, ma il conversare calmo e profondo del giovane lo fece sentire a suo agio e accolto, sentì che poteva condividere i “mostri” che avevano condizionato la sua vita e il suo carattere: l’incidente e la lunga convalescenza, la zoppia e il tic rimasti a perenne memoria, e perciò il sentirsi spesso messo ai margini anche nei gruppi di amici.

– Tu li chiami mostri – interloquì il giovane – e indiscutibilmente lo sono, e il tuo racconto mi ha riportato alla mente un luogo inquietante che ho visto da ragazzo: il parco di Bomarzo.

Già il nome mi metteva paura, anche se l’intenzione in chi lo aveva ideato, voluto e costruito era invece quella di impressionare e stupire chi si aggirava per il verde lussureggiante del bosco e i ruscelletti che lo attraversavano. Il cinema horror era ancora di là da venire ma gli scenari erano già tutti raccolti in quel luogo. Hanno cambiato l’aspetto alle rocce:

una era diventata una enorme testa di scimmia con occhi spalancati e bocca tanto grande da poter far entrare anche un orso altissimo, un’altra un elefante, un’altra ancora era diventata una balena e accanto a farle compagnia c’era una tartaruga e tanti altri animali mitologici e misteriosi che spuntavano nelle radure di quel bosco folto e pieno di luci e di tante ombre.
Una casa storta sembrava uscire direttamente dalle favole, anche da quelle più recenti, non solo dal mito. A vederla mi ricordo che mi sembrava il rifugio di Pollicino, mentre passa una notte a nascondersi dall’orco e a ritemprare le forze prima di mettersi a seminare le briciole di pane che riportavano tutti a ritrovare casa…. angosciante… –

Saverio ascoltava rilassato il racconto, tentando anche di capire se quello strano incontro nella notte maremmana, e soprattutto quelle chiacchiere al limite della confidenza, avessero o no un qualche senso: che avevano da spartire lui in fuga dai suoi mostri e quel ragazzone cascato lì da chissà dove che tuttavia lo ascolta nel suo pigiama dalle fantasie afro…

– Vabbè… – si riaccese il giovane – S’è fatta una certa… Io provo a tornare dormire… Che ne dici se domani ce ne andiamo al mare insieme?-

Saverio, come sempre, annuì e basta dirigendosi anche lui verso la sua stanza….

sta a vedere che un cuculo dispettoso può riuscire ad addormentare mostri e svegliare una nuova amicizia….

Una storia in quattro con un imprevisto: Carla, Carmela, Patrizia, Rossellina, Stefania

Sullo sfondo del mare – di Carla Faggi, Carmela De Pilla, Patrizia Fusi, Rossella Bonechi, Stefania Bonanni

Il mare oggi è calmo, dalla terrazza della casa si vede un bellissimo panorama marino.

La macchia mediterranea costeggia le strade piccole e contorte che scendono da paesi e case isolate posizionate sul fianco della collina.

La strada che passa sotto il terrazzo porta verso il mare, lungo il suo percorso le case la seguono come fossero un treno, dipinte con colori pastello, vari fiori ai balconi, piccoli giardini verdi, negozi di souvenir, di abbigliamento, un negozio di orefice con dei gioielli bellissimi cesellati da mani esperte, l’ingresso di un albergo, un ristorante e altri negozi, davanti a tutto questo l’azzurro del mare.

Nella piazza una chiesa imponente in stile barocco dedicata alla protezione dei pescatori.

Due bar si dividono la piazza, uno più semplice, all’interno poco spazio ma con tanti tavolini fuori.

L’altro è più spazioso dentro, i suoi tavolini sono sotto un bel loggiato di pietra serena con sopra delle tovagliette in tessuto, con solerti camerieri pronti a servire i clienti.

Sul mare una sfilata di ombrelloni.

Una bella immagine, serena e colorata, che fa da sfondo alle vite degli abitanti del paese. Infatti, in una di quelle cucine, la luce entrava dalla finestra sull’acquaio e illuminava un modesto e onesto tavolo di legno di una volta e due anziani seduti uno di fronte all’altro che si scaldavano al fuoco del camino. Ripensavano ai loro trascorsi da giocatori di carte.

Dopo un lungo viaggio per arrivare in quel paesetto marino dove si diceva giocassero ancora al tressette, i due amici erano finalmente seduti in quell’immensa cucina ad aspettare l’arrivo di almeno altri due giocatori.

Ginaccio detto ‘i Boccia tra un bicchiere di vino e l’altro si era allenato tutti i giorni a giocare a tressette. Del paesaggio e della splendida cucina non gliene fregava un bel niente, lui voleva solo vincere quel campionato di carte insieme al suo amico.

Quindi tra un “porco qui e porco là” a mò di Rosario e occhiatacce al suo amico che sotto il solito cappello acciglia la fronte Gino mugugna tra se e se “Mi sa che qui unn’arriva nessuno!”

La speranza di continuare a giocare riempiva di nuovo le giornate. Nel paese sul mare, nella grande cucina, staremo bene e saremo in quattro, perlomeno in quattro, e giu , ventuno, tressette, tre per sette, ventuno, ventidue, e via…..- così pensava l’ omino col berretto, tra se e sé .

Il giorno dopo, ad una cert’ora fu chiaro: due soli siamo, e due soli resteremo. Tutti spariti: morti, redenti, cambiati. Tutti spariti. Basta. La nostra vita e’ finita. Ci resta il fiasco di’ vino, e basta.

La stazione era lontana dal paese quindi partirono con largo anticipo, non avevano bagagli, non avevano bisogno più di nulla…la destinazione non prevedeva nè vestiti nè cibo, nemmeno le carte avevano preso!
Una vita passata a giocare a tressette poi il mondo è cascato addosso a tutti e due e si sono ritrovati soli con la loro passione sgretolata.
Camminavano in silenzio e ognuno seguiva i propri pensieri annebbiati dalla decisione presa, ma allo stesso tempo leggeri perché quella era l’unica cosa da fare.
Avevano preso altre volte il treno delle 14,30 e sapevano che era sempre in perfetto orario, ancora pochi metri ed eccoli lì al binario 2 poi l’ultimo abbraccio, un abbraccio lungo una vita e uno sguardo penetrante e complice, con movimenti lenti si sdraiarono sui binari e attesero con pazienza, nel silenzio una voce fantasma annunciò:-Il treno delle 14,30 per Livorno è stato annullato per sciopero.