Natale alla malga – di Gabriella Crisafulli

La proposta era intrigante: trascorrere la notte nella malga di Herbert.
Di primo mattino eravamo tutti pronti con le vettovaglie in spalla.
La sera precedente aveva nevicato in abbondanza ma il cielo era terso.
Il freddo pungeva.
All’inizio il sentiero era sgombro però via via che si saliva affondavamo nella neve soffice e bianca fino al ginocchio.
Mentre ci allontanavamo dal paese, il suono del silenzio si allargava, diventava multiplo, interrotto dal rumore dei nostri respiri e dei piccoli cumuli che cadevano dagli alberi.
C’era da prendere un passo ritmico e cadenzato per attenuare la fatica.
Le parole si facevano rarefatte e il fiato si condensava intorno a noi in una nebbia che ci avvolgeva.
All’inizio i bambini non sentivano la fatica e godevano della neve a piene mani: ci si tuffavano e se la lanciavano a manciate vociando e ridendo. Ma quando la salita si fece più ripida divennero silenziosi interrompendo di tanto in tanto la quiete sbruffando e lamentandosi.
Per fortuna Werner, che era ben fornito di cioccolata a pezzi e the caldo, riusciva a sedare gli animi.
Camminammo, camminammo, camminammo … sembrava che la malga via via si allontanasse sempre più ma il vin brulè che veniva passato da uno all’altro, ci faceva sentire nuovamente in forze.
Quando in lontananza apparve l’alpeggio cominciò a serpeggiare un’allegria contagiosa.
Uno alla volta arrivammo al terrazzo coperto che si affacciava sulla valle, ci liberammo dei pesi e iniziammo subito a darci da fare per rendere possibile la permanenza nella grande stanza al pianterreno nella quale ci saremmo accampati anche per la notte.
Marcus e Rigus entrarono in casa per accendere il fuoco nel camino e nella cucina economica; Werner ed Ernst cominciarono a riempire i tegami di neve per portarli sui fornelli: era l’acqua per bere, cucinare e rigovernare.
Dagli zaini venne fuori di tutto ed Elli iniziò a preparare il cenone.
C’era chi appendeva i sacchi a pelo alla ringhiera della scala perché fossero caldi al momento in cui li avremmo stesi a terra per dormire; c’era chi dava una passata ai tavoloni di legno abbandonati alla polvere da tre mesi e chi accatastava stoviglie, bicchieri tovaglioli, posate; chi pelava, sbucciava, spezzettava, impastava, chi riforniva la cucina con tegami di neve da sciogliere sul fuoco.
…
I bambini sembravano non sentire il freddo e stavano per lo più fuori a giocare.
Enric e Nicoletta amoreggiavano vicino al camino.
Niente macchine, vicini, passanti, luci, rumori: solo le frasi in tedesco che rimbalzavano di qua e di là accompagnate da risate e bicchieri di vino. Solo un brusio che sapeva di buono, uno sfrigolio profumato, un acciottolio di stoviglie sommerse da secchiate d’acqua fumante.
Dopo cena andammo ad aspettare la mezzanotte in terrazza. Il cielo era tutto per noi. Le stelle facevano da decorazioni festose. Era tutto un rimbalzare di brindisi ed auguri.
…
In un angolo, appeso ad una trave della tettoia, un po’ nascosto, penzolava il cadavere mummificato di un gatto.
La coda, appena curva, dondolava.
Su un fondale di velluto blu la luna splendeva chiarissima.
Troppo idilliaco e sereno per essere la verità. Un finale macabro irrompe come un fulmine sulla scena e per chi ama tanto i gatti è più forte di un fulmine! Scena descritta sapiente con un finale davvero spiazzante
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quanta neve…quanti thermos caldi di ” gradi”…quanti nomi particolari…cibo …. amori….
peccato per il gattino “surgelato” ….interprete principale suo malgrado…..
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bella la storia, belle le descrizioni attente e profonde e quel finale che stordisce però non mi ha dato noia perché il cielo era tutto per noi è la luna si appoggiava su un fondale di velluto blu…
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