Rumore di tacchi – di Rossella Gallori
…portava i tacchi, sempre e comunque, con la pioggia e con il sole, non cambiava mai niente, che fosse Natale o ferragosto erano” tacchi”.
Li ricordo alti e sottili, diventarono più bassi e più larghi con gli anni, ma tacchi erano e tali restavano: per i matrimoni, i funerali, le messe, gli shabbat, per il mercato, il cimitero, per l’ospedale, per il lavoro, per i giuramenti, per gli amori il primo e i secondi, per le preghiere e gli improperi, non ricordo né ciabatte, né pianelle, né babbucce, solo decolté anche in casa, tacchi per le scale di legno che portavano alla “taverna”….ora si chiamerebbe così, era invece una cantina, tre stanze grandi arredate alla “sans facon”
Scendeva ed i suoi passi sembravano martello, poi orologio, poi musica, musica di ricordi, tacchi e tocchi, sulla ripida scala a chiocciola dalla quale non è mai caduta e se l’ ha fatto non l’ha detto, ha medicato le sue ferite con piccoli vezzi: le calze chiare, gli chemisier e con quella cadenza “ taccosa” che era danza e mai caserma, quel segno di vita bella e passata da quasi sempre.
Batteva i talloni sul pavimento non si sa se per punirlo o accarezzarlo? Chi lo ha mai capito, chi lo ha mai voluto capire.
Avrà i tacchi anche lassù dove è, tra le stelle, sulla luna o su una nuvola, accanto ad un povero cristo che non ne potrà più del suo andirivieni.
Fermati Giulia, fermati, togli le scarpe ed a piedi nudi sali su un gradino immaginario ed attacca in cielo quel quadro con la cornice un po’ liberty ma non troppo, appendi il dipinto che non ci ha viste insieme, ma lo eravamo credimi, credimi…..