Il personaggio di Rossella B.: la Zia

I ricordi vanno messi via – di Rossella Bonechi

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Il personaggio si incrocia con la frase: “I ricordi vanno messi via e custoditi senza che interferiscano nel delicato meccanismo dello stupirsi”

Le dita correvano veloci sulla tastiera virtuale del telefono per avvisare che no, proprio non poteva esserci, stava andando a casa della zia per un’incombenza familiare che da tempo rimandava. Peccato, due risate tra amiche erano certo meglio della zia; non era male, era anche simpatica a volte ma tirava sempre fuori i soliti discorsi da vecchietta e questa volta c’era tutto il pomeriggio per sorbirseli … C’era bisogno di fare spazio nella stanza di sotto e sinceramente da sola la zia non ce l’avrebbe fatta. Via, forza, immoliamoci! 

E fu così che si ritrovò in mezzo a vestiti che nessuno metteva più, fotografie stampate (molte in  bianco e nero), biglietti vari di cinema e concerti e tante tante lettere scritte a mano. Roba da non credere: la zia era stata giovane, aveva ascoltato musica e le foto rimandavano un’immagine scapigliata che niente aveva a che fare con l’aspetto curato di ora. 

“Zia, ma davvero camminavi su queste zeppe di sughero??? Me le regali? E questi jeans a zampa di elefante??? Me li regali?”. Era uno stupore continuo, come essere al mercatino delle pulci in cerca di tesori. La zia la guardava sorridendo, incerta se darle una risposta-paternale o farle uno “spiegone” su cos’erano stati gli anni ’70 e ’80. Ma no, meglio lasciare che lei si stupisse e si meravigliasse, magari l’avrebbe vista con altri occhi e tanto bastava. Il pomeriggio volò, un po’ più inconcludente di quanto sperasse ma alla fine avevano un borsone ciascuna: uno pieno di cose che forse avrebbero avuto una seconda vita e uno pieno di cose di una prima vita di cui disfarsi impietosamente.   

Il personaggio di Nadia: il narcisista

Libera dal controllo – di Nadia Peruzzi

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Sentí sbattere la porta con un colpo secco.  Dalla finestra riuscì, per un attimo,  a vederlo di spalle. Quel suo fisico asciutto e ben curato lo aveva amato.  Non si mosse da dove era nemmeno per controllare cosa avesse portato con sé. Non le importava nulla di nulla. Quella sua sacca di pelle dove riponeva ogni giorno, con gesti lenti e accurati, come in un rito, le cose che considerava necessarie, era arrivata ad odiarla dalla profondità del suo essere! Storia finita, punto . L’ossessività di lui l’aveva frantumata in mille pezzi di un puzzle non ricomponibile in nessun modo.  Erano bastati pochi mesi per rendersi conto che la sua attenzione per il controllo, la sua precisione eccessiva, era qualcosa che stava man mano degenerando e stava passando dalla messa in ordine delle sue cose, ad una forma preoccupante di controllo su di lei, su ogni cosa che faceva o aveva voglia di fare.  La limitava in ogni suo movimento e rapporto con gli altri. L’aveva pian piano allontanata dagli amici e dalle amiche di una vita, per mettersi al centro del suo mondo.  Che era un narcisista pericoloso se ne rese conto pian piano.   Cercò di liberarsi, ma ad ogni tentativo lui riusciva a fermarla, stringendola quasi in una prigione col suo condizionamento asfissiante.  Le discussioni cominciarono ad occupare quasi tutto il tempo che passavano insieme. Lei aveva cominciato anche a provare timore che ad un certo punto potessero precipitare in qualcosa di peggio.  Si fece coraggio una sera quando lui, durante una discussione più accesa del solito, accennò ad alzare una mano per colpirla. Urlava in modo sguaiato, senza freni, come una furia.  Lei trovò la forza di urlare più forte di lui .  Un BASTA BASTA BASTA, che lo gelò. Non si aspettava da lei una ribellione che fino a quel momento non era mai riuscita a manifestare.  Colpito nel suo amor proprio di vincente e sopraffattore sempre e comunque, se ne andò, senza girarsi indietro e senza dire nemmeno una parola.  Lei rimase immobile e stranita.  Era in cucina, vicina alla toppa di legno dove teneva i coltelli più grandi. Quelli del non si sa mai! Le ci vollero giorni per superare quel suo stato d’animo. Domande senza risposta le si affastellavano nella mente. Come poteva essere accaduto? Come poteva esserci cascata? Era stata troppo ingenua? Doveva accorgersi prima che si trattava di un amore malato? Non le fu facile nemmeno ricominciare la vita di prima. Aveva timore del giudizio degli amici che aveva allontanato per colpa di lui, e le mancava del tutto il coraggio di aprirsi per cercare nuove amicizie . Fidarsi di qualcuno era diventato per lei più difficile di un tempo.  Accadde per caso.  Un dépliant di un viaggio in Patagonia per soli single.  Lo lesse in un bar. Lo prese in mano ma più per buttarlo via che per altro.  Lo accartocciò, ma rimasero in bella vista il nome del tour operator e il numero telefonico da chiamare per avere informazioni.  Dieci giorni dopo era su una jeep nella pampa fra cavalli, mandrie di mucche, paesaggi e pianure senza fine, ghiacciai dalla salute precaria.  Si sentiva leggera come una piuma. Poteva osservare quell’angolo di paradiso con animo tornato finalmente fanciullo, spensierato, pronto a stupirsi di tutto.  Si sentiva libera, ed era una sensazione bellissima.

Il personaggio di Rossella G.: la borsa di cuoio

Io sono “ borsa di cuoio” – di Rossella Gallori

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Finalmente libera e vuota, finalmente leggera, pulita dentro e fuori, esonerata da ruoli pesanti, lucida di cera naturale: né coltelli né denaro, residui di cibo non più, anche quell’ odore forte di grappa era svanito, insieme alla fiaschetta metallica con le iniziali intrecciate a mo’ di abbraccio ubriaco.

Era stata importante quella “sacca di cuoio”  anche troppo, era stata un regalo utile per un uomo inutile.

Viveva ora tranquilla sulla mensola intagliata di un legno semplice e robusto, posta sopra un camino acceso, della sua vita passata e recente ricordava il profumo dei petali di rosa, sparsi sul pavimento di una casa non sua ricca di troppo, rivide l’ immenso cuscino a cuore,  pretenzioso  ultimo addio di una vecchia fiamma, fiamma tiepida distratta e rifatta, che aveva sperato di farsi sposare…di ereditare…invece!….

 Sacca di cuoio ricordava con astio il suo padrone: alto, più del dovuto, curato nell’ aspetto, firmato sopra e sotto…girava i suoi” trekking dell’autostima” cosciente di esser notato, felice di essere invidiato.

Poi, quella brutta caduta, della quale forse “ borsa artigianale” si sentiva un po’  responsabile ma non più di tanto.

Si la ricordava bene  quell’ ultima passeggiata, lui: scarponcini giusti, giacca North Face, cappello in tinta, occhiali Rob…qualcosa di simile..

Lei “ cuoio fiorentino” stanca ed appesantita era scivolata dalla spalla atletica, lui per riprenderla, aveva fatto un movimento sbagliato, insolito….ed era ruzzolato giù nel burrone sassoso  e ripido, lasciandola sull’ erba ai margini del  pericolo.

 Non pianse “ sacca di pelle” quando fu raccolta da mani gentili, trovarono “ lei” non i documenti del dandy giramondo, non la sua spocchia, non il suo corpo che sarebbe diventato ben presto cibo per cinghiali affamati  incuranti di firme e borie.

Si era stupita del posto la “ zaina  ritrovata” della semplicità del non apparire, del garbo di quel piccolo rifugio montano, del silenzio burroso invaso a tratti dal profumo della cannella, dei ricordi preziosi messi sulla mensola per farle compagnia, stupori semplici, né gettati, né accumulati, gestiti senza ansie da: gonna di flanella e golf un po’ infeltrito.

Girava, quasi volteggiava   la tracolla di pelle impunturata, guardava dai suoi piccoli occhi bruniti, il passare lento della tranquillità, ricordando senza rimpianti le camminate fatte per esser raccontate alle cene del Rotary, agli aperitivi in Costa Smeralda…

Lei, ora era cuoio bello da annusare, lui fumo da scansare….

Il personaggio di Anna: il camminatore solitario

Camminare – di Anna Meli

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Il camminare era stata sempre la sua passione fin da piccolo. Incuriosiva quel suo passo sicuro e cadenzato e correndo sembrava sfiorare il terreno come un passo di danza. Non era mai stanco.

            Crescendo aveva mantenuto questa sua passione e, stando quasi sempre all’aperto, era abbronzato e sprizzava salute e forza da ogni poro della sua pelle. Non aveva mai posseduto una macchina si era adattato solo alla bicicletta che a volte usava per recarsi al lavoro, ma erano più le volte che la spingeva a mano, quasi fosse un’amica.

            Si era fatto molti amici che all’inizio lo seguivano, ma ben presto si erano stancati e lui si era ritrovato solo con se stesso; non che questo gli dispiacesse più di tanto, perché questo tipo di solitudine gli permetteva di pensare, di osservare, di riflettere e ricordare.

            Era una vita che camminava e, ormai anziano, rimasto senza la sua fedele compagna, quella sua passione lo aveva aiutato ad andare avanti. Nelle sue passeggiate amava soprattutto immergersi nella natura alla scoperta di percorsi dimenticati. Tutto lo incuriosiva e in tutto riscopriva qualcosa di nuovo.

            Nelle giornate invernali, quando il freddo si faceva sentire, ben coperto dalla sua pesante giacca, con sulle spalle il suo zainetto di logora pelle e armato del suo fedele bastone con tanto di punta di ferro, si inerpicava su per la collina, nei boschi dove non esisteva sentiero. A volte si doveva fermare per orientarsi e, così facendo, si abbandonava all’ascolto del vento che inventava rumori: scricchiolii, fruscio di foglie secche, il pigolio di qualche piccolo uccellino.

            Respirava sentendosi soddisfatto e realizzato in così poco che per lui era tanto. Poi riprendeva a camminare…