Rumore di passi di Nadia

Passi notturni – di Nadia Peruzzi

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Passi nella notte.  È una serata normale. Una di quelle di fine lavoro. Il passo è sicuro e calmo, di chi conosce ogni angolo e sa muoversi in quel lungo corridoio dal soffitto altissimo. Ogni passo rimanda un’eco. Più o meno forte una volta che il suono ha la possibilità di disperdersi nei vari saloni che si alternano sulla sinistra. Siamo in un museo. Immagino sia l’Ermitage, a Pietroburgo. Quel passo senza accelerazioni, è routine per Natasha, la direttrice del museo . È una maniaca del controllo, e ogni sera da anni fa in modo di andare via per ultima. Non si fida nemmeno degli addetti alla sicurezza. Ci sono cose troppo preziose in quelle sale, e la responsabilità sarebbe la sua se qualcosa andasse storto.  È diventata ancora più pignola dopo le notizie che sono arrivate da Parigi.  Le piace quando non c’è più nessuno e le grandi sale son vuote. Non ama l’eccesso di folla e i gruppi rumorosi che credono che un quadro di Leonardo si possa apprezzare guardandolo solo attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica. Un click e via .  Ama la quiete delle notti d’estate, quando dai finestroni entra la luce lattiginosa dei giorni che non muoiono mai. Ama sentirsi circondata da tutte quelle opere illustri. Le fanno compagnia e riuscendo a vederle, le accarezza col pensiero mentre passa loro davanti come fossero sue figlie. La sala delle statue di Canova la rapisce sempre. Deve fermarsi. Si emoziona sempre davanti alle Tre grazie. Rimane senza fiato. È un attimo. C’e’ ancora un bel tratto di corridoio prima di arrivare alla porta di uscita. inserisce l’allarme e poi fuori nella immensa piazza. Un altro giorno è finito. Ad accoglierla la luce opalescente di una notte tiepida di giugno e un baluginio rosato in lontananza verso il mare.   Il passo si fa spedito, ora ha fretta di tornare a casa.  Ritrova il vociare delle persone che le passano accanto in un andirivieni continuo. Le fa compagnia.

Rumore di passi di Anna

IL FIACCHERAIO – di Anna Meli

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            Il suono degli zoccoli del cavallo che trainava la carrozzella del fiaccheraio rimbombava, come altri rumori, in quella via del centro stretta fra le mura di antichi edifici in uno dei quali abitava mia figlia col suo compagno, casiere della Galleria degli Uffizi. Molto spesso, andavo a trovarla per darle una mano e, soprattutto per godermi il mio piccolo e tenero nipote. La casa aveva stanze grandi sia come superficie sia come altezza, per cui tutti i rumori risultavano amplificati.

            Quel pomeriggio dopo la pappa, mangiata con appetito, tanto per coccolarmelo un po’, lo accompagnai per il riposino. Stesa vicino a lui osservavo come, pian piano cedeva al sonno… Ma ad un tratto…toc  toc   toc  toc, il suono netto degli zoccoli di un cavallo interruppero quel momento magico e lui, alzando il ditino indice, gli occhi ben aperti sentenziò “Nonna, lallo! ’’. Un attimo, ed il sonno prese il sopravvento.

Rumore di passi di Rossella B.

SCALA DI SICUREZZA – di Rossella Bonechi

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Le scale di sicurezza che spesso sfregiano le pareti dei palazzi non mi sono mai piaciute: grandi, incombenti e spesso incongruenti con quello che c’è intorno. Ma sono utili, indispensabili per la sicurezza e in attesa che qualche architetto sappia coniugare la destinazione d’uso con la bellezza, le tollero. Soprattutto da quando una scala del genere è stata la mia “stella cometa”. Mi ero persa nei meandri di un vecchio ospedale che era tutto un corridoio arzigogolato privo di indicazioni. Sarà stato per il mio animo non sereno dopo la visita ad un amico male in arnese, sarà stata la fretta di andarmene o i miei pensieri incarogniti sulla Sanità,  che mi ritrovai in una parte chiaramente dismessa senza punti di riferimento e nessuno a cui chiedere. Mi ricordai  allora della scala di sicurezza che avevo visto e criticato  da fuori e pensai che imboccandola mi avrebbe portato via di lì. Da una finestra individuali il punto giusto, spinsi un maniglione antipanico e…sìììì mi ritrovai sulla scala all’esterno. Gradino dopo gradino riconquistai la libertà. 

Rumore di passi di Stefano

I passi – di Stefano Maurri

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Sento i passi della vicina che abita al piano di sopra tacchettano forsennati soprattutto quando è tardi per andare al lavoro.

Il tempo passava rapidamente e lei sempre più nervosa si aggirava per la casa imprecando contro il buio che si addensava alle finestre: il temporale stava per scoppiare e lei era ancora lì, mentre nel caldo della notte dei tropici il suo compagno l’aspettava fremente. Ma lei non riusciva a decidersi a muoversi perché l’ultimo ritocchino alle labbra non era venuto come lei si aspettava. Continuava a guardarsi camminare mentre la gonna aderente le saliva lungo i fianchi. Lui le fece uno squillo sul telefono da sotto casa. Si affacciò, gli mandò un bacio e dopo un ultimo passeggio per la casa lungo il fiume si decise a uscire…mettendosi un bel foulard sulla bocca imperfetta.

Il rumore di passi di Stefania

Battere e battere – di Stefania Bonanni

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Il sabato a pranzo Laura ha ospiti.

Noi, dal piano di sotto, non si sentono rumori negli altri giorni. Ma il sabato, fin dal mattino presto, si intuiscono sedie spostate, tavoli strascicati, pentole che sbatacchiano. Il sabato a pranzo Laura cucina per i nipoti.

Mentre si avvicina l’ ora fatale nella quale e’ tutto pronto, più tardi possibile, affinché sia ancora caldo quando sono tutti a tavola, si arriva al momento clou. Quello in cui si inteneriscono le braciole. Penso che Laura usi un tagliere di legno su cui batte, ribatte, stiracchia, braciole che evidentemente per loro natura sarebbero durissime. (Per curiosità, un giorno le chiederò di che animale sono, le braciole che compra).

E si sente una sequenza di toc, splat, toc, toc, prima intensi, colpi sferrati con forza, poi più strasch, splash, ti ti toc, quando le povere braciole sono esangui e sfracellate, e non resta che rendere loro un po’ di dignità cercando di ridare una forma simil-fettina.

Dopo di che si sente odore di fritto, e silenzio. Anche stavolta le braciole sono tenere.

Rumore di passi di Rossella G.

Rumore di tacchi – di Rossella Gallori

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portava i tacchi, sempre e comunque, con la pioggia e con il sole, non cambiava mai niente, che fosse Natale o ferragosto erano” tacchi”.

Li ricordo alti e sottili, diventarono più bassi e più larghi con gli anni, ma tacchi erano e tali restavano: per i matrimoni, i funerali, le messe, gli shabbat, per il mercato, il cimitero, per l’ospedale, per il lavoro, per i giuramenti, per gli amori  il primo e i secondi, per le preghiere e gli improperi, non ricordo né ciabatte, né pianelle,  né babbucce, solo decolté anche in casa, tacchi per le scale di legno che portavano alla “taverna”….ora si chiamerebbe così, era invece una cantina, tre stanze grandi arredate alla “sans facon”

Scendeva ed i suoi passi sembravano martello, poi orologio, poi musica, musica di ricordi, tacchi e tocchi, sulla ripida scala a chiocciola dalla quale non è mai caduta e se l’ ha fatto non l’ha detto, ha medicato le sue ferite con piccoli vezzi:  le calze chiare, gli chemisier e con quella cadenza “ taccosa” che era danza e mai caserma, quel segno di vita bella e passata da quasi sempre.

  Batteva i talloni sul pavimento non si sa se per punirlo o accarezzarlo? Chi lo ha mai capito, chi lo ha mai voluto capire.

Avrà i tacchi anche lassù dove è, tra le stelle, sulla luna o su una nuvola, accanto ad un povero cristo che non ne potrà più del suo  andirivieni.

Fermati Giulia, fermati, togli le scarpe ed a piedi nudi sali su un gradino immaginario ed attacca in cielo  quel quadro con la cornice un po’ liberty ma non troppo, appendi il dipinto che non ci ha viste insieme, ma lo eravamo credimi, credimi…..

Rumore di passi di Lucia

Le scale di prova – di Lucia Bettoni

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Due piani
Dalla camera alla cucina
Ogni mattina
Scendere la scala e’ il mio buongiorno
Ogni scalino una prova
Scendo e ascolto:
Toc  il mio piede fa male
Tac  la caviglia non si piega
Toc  non posso piegare le dita
Tac  non posso scendere
         uno scalino dietro l’altro
Toc  non posso e mi devo
          fermare
Tac  per quanto tempo ancora?

Passano i mesi, e poi:
Toc tac toc tac toc tac …

La meraviglia di un passo sciolto
La grandezza di un’azione alla quale non avevi mai pensato e ringraziato

Toc tac toc tac toc tac …

Scendo le scale quasi volando
Un brivido mi attraversa il corpo e mi fa sorridere
Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!


Quella piccola azione di sempre
Piccola?
Avevo perso i miei passi
Ritrovarli e’ grande
Ringrazio

Tac toc tac toc tac toc ….

Il suono di passi di Luca

Suono di passi – di Luca Miraglia

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Non mi piace per niente essere qui…

Questa branda scomoda, lenzuola che sanno di lavanderia di terz’ordine, coperta che pare un porcospino, odori di sconosciuti che si rotolano nelle rispettive solitudini. E come se non bastasse il continuo andirivieni dello scarpone dello sfigato di turno che deve badare che nessuno faccia casino.

Non mi piace per niente essere qui…

Altri mesi di vita e di notti da sprecare in questa landa abbandonata di stanzoni in comune, cessi in comune, abiti in comune, cibo in comune, in comune la voglia e il bisogno di essere altrove.

Non mi piace per niente essere qui…

Obbligato in un mondo grigio-verde che mi è totalmente estraneo, al quale sono estraneo tra estranei.

Non mi piace per niente essere qui…