….continua la storia……
Incipit: Ticchetta calma l’acqua della tettoia e poi si addensa improvvisa in uno scroscio leggero che scivola per la viuzza avvolta dalla sera (Luca M.) La luna si nascondeva dietro le nuvole minacciose. I nostri passi incerti sulla ghiaia tradivano la paura di quel luogo spettrale (Simone)L’Assassino era nervoso (Stefano)Cercava niente e tutto. La spilla con la pietra smeraldo s’incontrò con le sue mani (Carmela) Tornò ai momenti più lontani quando lei gli aveva mostrato il lungo velo di tulle croccante, tirandolo fuori dalla cassapanca (Stefania) Uscì dal buio della stanza (Stefano) Sui rami di un albero si è impigliato un lembo di plastica che si muove al vento. I raggi della luna lo illuminano: sembra un fantasma che balla (Patrizia).
Troppi fantasmi – di Cecilia Trinci

Eppure di fantasmi ne aveva tanti e se li portava dentro ovunque andasse. Anche lì, in quella casa di caccia dove l’aveva portata. C’erano stati tante volte insieme, centinaia di domeniche allegre dove a quel tavolo ora intriso di muffa avevano mangiato tagliatelle, con quei bei funghi mori che avevano sempre trovato in ogni stagione, annaffiati da quel buon vino rosso che sempre gli regalava Osvaldo. Ogni anno era più intrugliato ma Osvaldo era convinto di essere un enologo fatto e stampato. Il clima comunque era così leggero, allora, che qualsiasi vino li avrebbe dissetati e resi allegri come bambini in gita.
Quando il matrimonio saltò fu una fortuna incontrare lei, così bionda, alta, serena e dolce. Cancellò in un attimo tutto il dolore e la frustrazione di essere stato respinto. Lo ricordava bene.
La cintura era ancora legata al suo collo, ma l’aveva stretta solo per non farla scappare, non voleva che morisse da sola, magari nascondendosi nel bosco, invasa dal terrore. Lei non lo aveva mai tradito, era innegabile, neppure quando era rimasto senza lavoro e non aveva nulla da mangiare, solo qualche pasto della caritas che però aveva sempre diviso con lei. Lei lo amava. Senza rimedio, senza limiti, senza pretese. Ricordò, ora, sul momento le sue belle gambe scattanti quando giocavano a pallone proprio lì, vicino al ruscello, dove poi andavano a tuffarsi nudi tutti e due, senza vergogna. Si asciugavano poi rotolandosi sulla sabbia rada di quel piccolo rivo, a volte con il fazzoletto giallo di sua madre le asciugava il collo sottile, ma lei non voleva, preferiva asciugarsi così, al sole, senza niente tra la sua pelle e il vento. Lo scirocco di settembre riusciva a schiarire quei ciuffi biondi intensi, mentre le unghie affondavano di piacere nella sabbia. Lo sapeva di essere un assassino, un vile, un infame. Come aveva potuto spararle, mentre lei si era fidata di lui, seguendolo come sempre fin lassù, arrancando, ormai perché le forze avevano cominciato a mancarle. Eutanasia, certo. Non aveva speranza, ma questo non lo faceva sentire migliore. Si asciugò una lacrima, poi due, poi si sfinì in un pianto dirotto, mentre finiva di scavare. La depose con dolcezza sotto il terrazzo del capanno da caccia, la ricoprì. La salutò. Poi si incamminò col fucile in spalla verso il fondo valle, piangendo. Ma dopo pochi passì si affrettò a tornare indietro. Trovò solo un rossetto nella tasca del giaccone ma lo volle scrivere a lettere cubitali sul pezzo di legno che aveva posto sulla tomba. “Ciao Lola, mia migliore canina da tartufo che mai abbia avuto. Non ti dimenticherò mai. Il tuo padrone per sempre”
…la lunga frequentazione dei ” corsi” ti ha fatto moooooolto bene, un racconto delicato, triste e sereno al tempo stesso.
Una scrittrice” fatta e stampata” non come Osvaldo..
bravaaaaaaa
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Grande Cecilia..con la sorpresa al finale..scorre come acqua corrente e limpida come quella in cui facevano il bagno.
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