Ispirazione dai rumori: lo zabaione di Nadia

LO ZABAIONE – di Nadia Peruzzi


Se chiudo gli occhi sento arrivare il profumo della punta di Marsala che la nonna aggiungeva nello zabaione. Poco più di qualche goccia, ma per me bambina era come berne un bicchiere che sapeva di proibito.
Ci scambiavamo un’occhiata quando a volte gliene scappava un po’ di più. Come a dirci, su questo manterremo il segreto, altrimenti ci dicono che esageriamo come briachelle.
Le merende di quando ero bambina ,semplici semplici ,erano tutte una gran bontà.
Ricordo pane, acqua, vino e zucchero. Talvolta anche il solo pane ed acqua con una ancor più generosa copertura di zucchero che scrocchiava ad ogni morso, per alzarsi solo col respiro, in bianca nuvoletta.
Nulla a che vedere con le tristi merendine di oggi, rinchiuse in confezioni plasticose con quella linguetta antipatica che invece di aiutare rimane appiccicata al resto .Solo le forbici aiutano, ma quando esce il contenuto è già tutto ammosciato, con la cioccolata mezza sciolta e appiccicosa.
Nessuna gran fatica, nessuna attesa prolungata per arrivare al risultato, con l’acquolina in bocca che cresceva a dismisura ad ogni minuto che passava.
Lo zabaione, il re delle merende di allora, se fatto bene e con cura prevedeva tutto questo ,tanto più se non avevi uno sbattitore elettrico o una frusta.
Era la nonna che rompeva l’uovo in una ciotola e calibrava lo zucchero.
Io quella che teneva in mano il cucchiaio d’argento con le cifre. Era quello di quando mia mamma era piccola ed era un po’ come se ci fosse anche lei ad aiutarmi.
Appena la ciotola passava di mano, la manodopera era tutta a carico mio.
Mi rivedo seduta, schiena curva, testa china e occhi puntati sulla ciotola.
Partivo a razzo a ruotare il cucchiaio per montare zucchero e tuorlo. Man mano il ritmo si riduceva. Il braccio cominciava a farsi sentire. Mentre si indolenziva costringendomi a rallentare ancora, si cominciava a sentire l’aroma del tuorlo e dello zucchero che si amalgamavano insieme diventando una crema spumosa.
A volte dovevo fermarmi. Ma non c’era nessun problema.
Il tempo di allora non era quello incalzante del tutto e subito di oggi.
Era quello della fatica e di parecchio olio di gomito per puntare ad un risultato che odorava sempre più di buono.
Era il tempo della precisione dei maestri artigiani ,non quello dei brokers finanziari che urlano e scalpitano mentre vendono e comprano titoli azionari nelle borse mondiali, circondati da computer.
Lo zabaione fatto con la supervisione della nonna, prevedeva un tempo che ballava il lento, quasi rimanendo sospeso mentre pregustavo il momento in cui, finalmente il primo cucchiaio di quel giulebbe sarebbe arrivato fino alle mie labbra.
Eccolo, montato e sbiancato al punto giusto, con lo zucchero totalmente sciolto. La nonna allora prendeva il Marsala e faceva cadere quelle gocce che sembravano, sotto la luce, piccole pietre di Granata. Affondavano creando vortici mentre la crema si alzava in piccoli zampilli ambrati.
Era il momento tanto atteso. Quello del pancia mia fatti capanna.
A volte lo accompagnavo con qualche Savoiardo, altre anche solo con pezzetti del pane di allora, quello casalingo che durava anche una settimana senza seccarsi.
In tutto questo gran lavorio, nessuna delle due, nonna e nipote guardava l’orologio. A ben pensare non ricordo nemmeno se ce ne fosse uno grande, appeso alla parete.
Si andava a sveglia allora. Era piccola e quasi non ci si faceva caso malgrado il ticchettio martellante.
Poteva quindi essere passata mezz’ora o un’ora.
Il tempo non aveva tempo, allora.
Il bello del fare lo zabaione era anche questo! 

I RUMORI – La piazza del vinaio

Il ciuco e il vinaio – di Gabriella Crisafulli

In tutte le botteghe della piazza compare la stessa foto sbiadita dal tempo: un carro a due ruote, vuoto, piegato sul dietro, un ciuco che scalpita sui sassi, una donna lì vicino che tiene in collo un piccino e lo batte dolcemente in modo ritmico per ninnarlo.

Il ciuco bruca la poca erba che sbuca dal terreno.

Dalla parte opposta il vinaio si aggira fra i tavoli disposti dinanzi alla bottega: sistema le cortine per fare un po’ d’ombra.

Gli avventori seduti dinanzi a bicchieri di vino, giocano a carte.

Le monete corrono sul tavolo tra moccoli e imprecazioni, battute e risate.

In lontananza i sonagli annunciano l’arrivo della diligenza che viene dalla città.

Quando arriva si ferma all’incrocio tra la via e la piazza.

Scende solo un uomo tutto sporco di sangue.

Fa due passi e si accascia a terra.

I RUMORI – Pioggia metallica

Pioggia in trincea – di Stefania Bonanni

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Non aveva mai dimenticato, non era possibile, e quanto un rumore simile lo facesse ancora risprofondare nell’incubo gli faceva sempre male. Era il suono ritmico a farlo sempre sussultare. Fosse tintinnio o fragore, sempre lo riportava in quelle trincee, alla pioggia metallica che picchiava sui ferri, sui fucili, sui cannoni, sulle tettoie di lamiera che erano il povero riparo di giacigli di pietra.

E poi tornava ai momenti appena precedenti, quando lei aveva mostrato il lungo velo bianco di tulle croccante, tirandolo fuori dalla cassapanca. Le brillavano gli occhi, ed anche la bocca, e le promesse volavano intorno a loro come sogni.

Invece, poi, non c’era stato che gelo, paura, fango, fame, e marce , e divise.