Notte di tempesta – di Nadia Peruzzi

Rumori: fruscio del vento, colpi su una porta, l’orlo di un abito di raso colpisce ritmicamente gli scalini, semi rotolanti dentro un bastone della pioggia.
UNA DAMA, UN CASTELLO IN UNA NOTTE DI TEMPESTA:
La notte era di quelle che annunciavano tempesta. Le fronde degli alberi attorno al castello iniziavano a fremere. Prima il vento le accarezzò piano, poi con sempre più forza iniziò a schiaffeggiarle. I fruscii diventarono veri e propri colpi di frusta, che coprivano ogni altro rumore attorno.
Anche la pioggia che aveva iniziato a cadere sembrò silenziosa rispetto al rumore delle fronde delle grandi magnolie, impegnate in una danza vorticosa, fatta di schiocchi e galoppi.
Una dama fasciata in un vestito rosso fluorescente, saliva correndo per lo scalone principale. Il vestito col suo orlo rigido, ad ogni colpo di vento si gonfiava e sbatteva sugli scalini con un rumore strano, cadenzato, sempre più simile al suono ritmico di un tamburello.
Giunta al portone , piccoli tocchi per farsi aprire. Ci volle un po’ prima che un vecchio maggiordomo, evidentemente alticcio, le aprisse.
“Finalmente al caldo “, pensò Mara, anche se la spiacevole sensazione di avere indosso una corazza gelida la riportava a quei dieci passi sotto la bufera che aveva dovuto fare appena scesa dal taxi e alla cascata d’acqua che non le aveva dato tregua.
L’uomo la stava guardando stranito , come a chiederle cosa ci facesse lì a quell’ora e con quel tempaccio.
“C’era una festa in costume”, disse lei.
“Come, non è stata avvisata? I padroni hanno deciso nel pomeriggio di rinviarla ad altra data. L’allerta meteo li ha convinti che era la cosa migliore da fare. Strano che non l’abbiano avvertita!”
Mentre il maggiordomo diceva questo, nella pochette di Mara il cellulare iniziò a vibrare e ad emettere bip su bip. Le chiamate e i messaggi stavano arrivando in quel preciso momento. Strano e spiacevole come imprevisto.
“Accidenti a questi aggeggi”, pensò Mara, ”quando servono attivi e nelle emergenze , vanno in panne! E ora??”
Di tornare indietro nemmeno a parlarne. Decise di chiedere al maggiordomo di poter passare la notte al riparo. Era in condizioni a dir poco pietose.
Il vestito stava rilasciando sul tappeto dell’ingresso l’acqua incorporata e iniziava a formarsi una piccola pozzanghera.
Il maggiordomo sparì nel buio delle stanze del piano terra. Tornò poco dopo con una palandrana di flanella che doveva essere appartenuta ad uno dei trisavoli del conte.
Puzzava di naftalina mista a muffa, ma in una situazione del genere non c’era verso di fare gli schizzinosi.
Mara, in bagno, si cambiò rapidamente. Il vestito lo buttò nella doccia. Solo allora si accorse dei rivoli di colore rosso che stava rilasciando.
L’aveva pagato, pure, un occhio della testa.
“Chissà in quale fetido laboratorio lo avevano confezionato, e che porcherie di colori avevano usato”, pensò.
Guardò di soppiatto lo specchio. Occhi da panda bastonato, per il trucco tutto sbavato, capelli scarmigliati e con più nodi di una rete di pescatori.
Si dette una sistemata e poi si diresse verso la biblioteca, l’unica da cui usciva luce e un po’ di calore. Il camino era acceso. Davanti , il grande divano era stato adattato a letto. Su una sedia erano appoggiati un paio di pantaloni, una camicia , un gilet, una giacca in tono e un cappellino con la tesa.
Era entrata come gran dama, per uscire, l’indomani, come una copia malfatta di Sir Sherlock Holmes!
Dalle parti della cucina le arrivò il russare cadenzato del maggiordomo.
“Dorme già della grossa” , pensò, ” comunque la porta a chiave la chiudo lo stesso, non si sa mai”.
Il letto era accogliente. Sotto le coperte si sentì protetta e al sicuro.
Fuori il grande sicomoro continuava a schiaffeggiare violentemente i vetri della finestra. Vento e acqua non si erano placati nemmeno per un momento, da quando era arrivata.
Mentre cedeva al sonno, ad accompagnarla fu il pensiero di una jungla in cui l’acqua scivolava, creando piccole cascate, su foglie lucide e carnose, piene di linfa e di vita.
Il ticchettio di semi rotolanti dentro una canna di bambù fu l’ultimo rumore che sentì prima di sprofondare nel sonno.
Si ritrovò in una landa desolata e assolata, con la terra tutta crettata e incisa dalla siccità. Uno sciamano girava e rigirava nelle sue mani con movimenti sempre più rapidi e decisi un “bastone della pioggia”da cui usciva ormai un rumore incessante e quasi fastidioso, non il ritmo placido col quale si era addormentata.
Una farfalla dai colori sgargianti comparve accanto ad una bambina dai grandi occhi neri.
La frase che le sentì pronunciare nel sogno, fu la prima cosa che le tornò in mente al suo risveglio.
“ Un battito d’ali di farfalla in Pakistan, può scatenare un uragano in Messico!”
Lame di luce entravano dalle grandi finestre. Fuori c’era il sole.
Chissà in quale sperduto angolo del mondo una farfalla aveva sbattuto le sue ali, per provocare il gran putiferio della sera precedente!!


