Commento di Cecilia sulle piazze

di Cecilia Trinci

Alla fine sono uscite le vostre “piazze”.

Cautela nel dire di voi, nel dire a un Qualcuno astratto, in piazza, appunto, di un pensiero impellente che vi affolla la mente. A questo pensavo quando ho lanciato la scintilla….ma….

A volte le cose prendono una strada imprevista eppure migliore.

Dunque bellissime le vostre piazze personali, che vi rivelano comunque.

Il primo appuntamento rimasto impresso, un desiderio segreto di sapere di più dei nostri giorni recenti, la casa di Mino, la chiazza pugliese….Ma anche lo sfogo di utopie perdute, di solitudini infrangibili, di sagome di persone perdute che si attardano a rimanere ancora un po’ nei ricordi di chi resta….e incontri che sembrano marginali e non lo sono, e corde che ci impediscono di affogare del tutto.

Grazie di questo ventaglio ancora una volta magico.

L’abbraccio della piazza di Rossellina

Piazza – di Rossella Bonechi

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Vorrei una Piazza che si presti a contenere tutti i bisogni più semplici; una Piazza verde circondata da alberi a fare ombra dal Solleone e riparo dalla pioggia, dove sia obbligatorio giocare a pallone e a campana, dove non ci sia copertura wi-fi e piena di sedute: panchine sì, ma anche muretti, alti e bassi, su cui sedersi a giocare a carte o a scacchi; una Piazza che inviti, che rammenti e rammendi, dove le chiacchiere si rincorrono e dove ci si preoccupi se la Signora col bastone non si vede da diversi giorni.

Vorrei in Piazza un gazebo di legno per fare la merenda o la maglia, i compiti o aggiustare col nonno una macchinina che non va più; una Piazza che sia sempre lì, dove si possa contare di trovare sempre qualcuno, anche disteso a dormire con un cartone addosso.

Magari ci può venire in mente, in quella Piazza, di chiedere il suo nome. 

Il cuore di Carla in piazza

Utopie – di Carla Faggi

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Si grazie signora, sto bene. Pure lei vedo.

Sto bene, dicevo, anche se a momenti sono triste. Lo divento a volte all’improvviso senza un motivo, come per un pensiero distratto. Come posso spiegare cos’è  la tristezza, quella improvvisa, quella che ti arriva dentro lo stomaco senza ragione oggettiva, quella che è solo malessere diffuso perché quel pensiero distratto che te l’ha procurata forse non l’hai neppure percepito, è arrivato, si è insinuato ed è svanito, ne è rimasta solo la sua impalpabile ombra.

Credo che si sia provata tutti quella tristezza lì, ogni volta che non hai certezze, a quando pensi a quanto tempo sprecato, all’avrei potuto fare, a quel che succederà.

Mi chiedo a cosa sia servito crederci, imparare, lottare, provare a cambiare.

 A cosa sia servito affrontare, spiegare e cercare.

Come posso spiegare la parola crederci, perché ognuno di noi un tempo, convinti di essere speciali, avevamo la convinzione di poter incidere, che la ragione avrebbe vinto. Che anche le guerre le avrebbero vinte coloro che avevano ragione. Per noi esistevano i buoni ed i cattivi e noi eravamo i buoni e la nostra generazione era quella che si meritava essere la meglio gioventù.

E la parola imparare. Chi è che non ha creduto che solo con la conoscenza si potesse arrivare la dove credevamo esserci l’orizzonte.

E che solo lottando , imparando e credendoci ci saremmo avvicinati a quella fiaccolina che pur non sapendo cosa fosse ci sembrava l’unica che valeva la pena raggiungere.

E pensare che quella fiaccolina non l’abbiamo raggiunta mai.

Abbiamo anche provato a cambiare, sembrava l’unico modo per salvarsi e con noi diversi, sentendosi ancora speciali, avremmo influenzato in meglio il nostro di mondo, questo però viaggiava per conto suo a dispetto di noi. E noi ci siamo adattati.

C’è chi dice che un battito d’ali di una farfalla può influenzare l’intero pianeta.

Io le ho battute tante volte ed insieme a me tanti altri le hanno battute.

Forse è perché le abbiamo battute male che il mondo è così?

Guerre, tante e ovunque.

Sopraffazione, ingiustizia.

Il pianeta che implode.

Si, mi scusi signora, non è divertente quello che dico, ma è stato quel pensiero distratto che mi ha resa triste.

Ma che dice? Aprono un nuovo locale qui in piazza? “La cage au folle”? Che bel nome, si può ballare?! E allora balleremo!

Perché se la piazza, quella piazza a cui affidiamo i nostri soliloqui con la scusa di un vicino di panchina che non conosci, se la piazza dicevo ti crea leggerezza, visto che ci siamo adattati, allora che leggerezza sia!

Però smetterò di battere le ali, perché citando Forrest Gump arriva il momento in cui uno si sente un po’ stanchino.

La “chiazza” pugliese di Carmela

Parole amiche – di Carmela De Pilla

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Da tempo il quartiere si era svuotato, i vecchi troppo vecchi non c’erano più e non c’erano nemmeno i giovani, partiti per lavoro o per studio.

In quelle strade troppo silenziose erano rimaste Rosetta, Grazia, Maria e Antonietta, erano lì da una vita e col tempo avevano imparato a conoscersi e a volersi bene, i ricordi impregnati di tradizioni e affetti avevano tessuto un solido legame, bastava sentire per la strada la voce di una di loro che come calamite si ritrovavano fuori.

Nei pomeriggi estivi dopo la calura soffocante della giornata quando il sole ormai stanco si allontanava, spinte da un tacito accordo s’incontravano in uno dei quattro cantoni, la “chiazza”, la padrona di casa era ben felice di offrire la sedia e iniziava così il resoconto della giornata, si passava di palo in frasca secondo le ultime notizie, le voci si accavallavano tra una risata e una chiacchiera e intanto il tempo passava e loro non si sentivano mai sole.

Quella sera Rosetta non aveva voglia di scherzare, si rivolse a Grazia sapendo che anche le altre ascoltavano:

– Grà, dobbiamo andare a fare un po’ di compagnia a Pina, poverina tutto il giorno da sola con la badante!-

-È vero, dobbiamo andare…da quando sta sulla sedia a rotelle non esce più di casa! In quelle condizioni… al secondo piano non è facile…

-Domani faccio le frittelle, se ci vogliamo andare gliele porto.

-E io le porto un po’ di noci.

-Allora veniamo anche noi…

Quanti momenti belli passati con Pina, i vestiti di carnevale, la festa del patrono, lo struscio sul corso, le giornate al mare…era la più timida, la più buona e ora la più sfortunata.

Non c’erano panchine, nè alberi in quel piccolo spazio, c’era solo una gran voglia di stare insieme e darsi una mano nel momento del bisogno, lì, in quella “chiazza” ogni sera s’incontravano tanti cuori e quella sera c’era anche quello di Pina.

La piazza di Anna e la “casa” di Mino

LA PIAZZA – di Anna Meli

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            Posso dire di aver visto nascere la piazza di fronte a casa mia, al di là della strada provinciale. Prima c’era un muro vecchio quasi antico segnato da ghiri-gori che sembravano eseguiti con  qualche attrezzo speciale forse un grande compasso: cerchi, girandole, archi. Mi è dispiaciuto quando l’ho visto atterrare da una grossa benna.

            Al di là i campi si sono velocemente trasformati in uno spiazzo aperto che lentamente e divenuto piazza: la piazza del mio paese con grandi alberi cresciuti nel tempo e panchine verdi, scivolo e altalena per bimbi. C’è un continuo via vai di persone sconosciute che al capolinea scendono o salgono sull’autobus: per lo più stranieri.

            Qualche coppia un po’ attempata arriva per una passeggiatina e si ferma magari a osservare il panorama seduta sulla panchina centrale, al sole. Una volta, all’uscita della scuola, la piazza si riempiva di bambini e mamme ed era bello essere lì, scambiare due parole e partecipare a quella gioia di vita.

            Una volta chiusa la scuola, la piazza è diventata silenziosa; ci sono solo quelle tre o quattro persone, sempre le solite, che conversano o discutono. Un po’ distante c’è Mino silenzioso, assorto nei suoi pensieri. Uscendo per godermi un po’ di sole l’ho incontrato e l’ho salutato.

“ Buon giorno Mino, come va?”

“ Buon giorno “ (laconica risposta)

Sapendo per esperienza che ai nonni piace molto parlare dei nipoti, ho continuato:

“I nipotini , tutti bene ?”

“ Sì, si sono con la loro mamma”

            La conversazione non ha avuto seguito perché lui, continuando pian piano a camminare si è spostato vicino ai tre seduti sulla panchina che gentilmente gli hanno fatto posto stringendosi fra loro.

            Stavano parlando e facendo delle critiche su qualcuno. Mi sono avvicinata anch’io e………..

“La colpa è del sindaco” diceva l’Argia perché promette sempre e non fa mai niente”

“Non è vero, fa del suo meglio, immaginati quanta gente deve accontentare!” ribatteva Pietro.

“Ma via, non si può vedere una piazza così, coperta di cacche!”

“Ma secondo te, sono del sindaco le cacche, c’è anche un cartello che dice niente cani ma ognuno fa quello che gli pare!”

“Vero, ma è lui che deve far pulire!”

“Noooo, sono le persone sporche e maleducate perché chi porta il cane, deve pulire e avere con sé il sacchettino; se no una bella multa non gliela leva nessuno!

            La conversazione ha continuato cambiando con argomenti vari mentre Mino, seduto accanto, ma distante, guardava altrove perso in pensieri solo suoi accontentandosi forse della sola presenza fisica degli altri.             Questa è la piazza che di solito vedo ma…dimenticavo: Mino c’è sempre e se piove prende l’ombrello l’ importante è non stare in casa.                  

Piazza di gente con Rossella

Piazza, la mia… – di Rossella Gallori

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Nasce una parola, chi la grida, chi la sussurra, chi la mastica o la sputa, chi benedice, chi bestemmia.

Rimbalza da madonna a muro, da muro a portone a finestra, da finestra a fogna…da bar a pisciatoio, da siepe ad albero.

Scappavo

Scappo

Scapperò fino a che le mie gambe avran  fiato.

 Prima sbattevo  la porta, vacillavano i soprammobili, ora è socchiusa, per far respirare le discussioni.

 Fuggo quasi veloce, verso un posto un po’ estraneo, senza negozi, con un verde da soffocare, un silenzio da strangolare.

Gente che non riconoscevo in me, che non volevo conoscere…tanto, mi raccontavo, sarebbe stato per poco e da poco…case basse, aperte sul marciapiede, stessi cognomi dal civico 5 al civico 17…parenti anche per me che quasi non ne ho.

Poi, poi, ora, lascio la porta aperta ed esco, il portachiavi oscilla nella toppa che sembra dirmi: torna.

Ma la voglia di fuggire è sempre la stessa.

Non corro, forse non cammino nemmeno, scanso buche, cercando, occhi, saluti, frasi mozze, canti mezzi, nipoti veri, vecchi sani dentro, animali con la coda bella, in un posto che c’è ed è solo mio.

Le panchine ci sono, solo tre, un tappeto di cicche per terra, frutto di notti che non  conosco, un kilim fra l’ avorio ed il giallo.

C’ è chi c’è da sempre.

“ il solito” che dice: allora?

Ed hai pochi secondi per decidere la risposta, scegli tra:

Allora icchè?

Ciao non ti avevo visto

Scusa è tardi

Tempo per un caffè?

E se “il solito” dice no, c’è un altro che dice si è se non prendi il caffè è uguale, ne senti il profumo, il sapore in bocca…

Passa un cane con la coda mozza

Ti cade l’ acqua addosso, sputata da un vaso di geranei

Stai per pestare un topolino morto, schiacciato da un’ Ape.

Tutto monotono e protettivo, stavamo dicendo?

Non ce la faccio più

ed una mano che non è la  tua, ti scosta i capelli dal viso.

Il respiro torna regolare, ed i miei pensieri restano nelle dita dell’ altro, che le passerà ad un altro ancora che li farà volare…

Ė PIAZZA

FA PIAZZA

LA MIA….

Per Stefania la piazza di chi non c’è più

La piazza – di Stefania Bonanni

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L’ultima volta che mi e’ capitato di pensare di essere in una piazza e’ stato poco tempo fa, quando mi sono accorta di essere circondata da persone conosciute. Volti familiari tutti intorno, dappertutto.

Erano tutti personaggi di un mondo scomparso, animatori di giorni ed ore di tempi passati, quando la piazza era il piazzale davanti alla chiesa del paesino di un tempo. Un paese che adesso risulta estraneo, popolato da estranei, straniero nei modi e nei discorsi, persino irriconoscente, verso la memoria che si sta perdendo, di personaggi strani e particolari. C’era chi parlava in rima, e lo chiamavano strano. Chi passava la vita in chiesa, ed era bigotta, o beghina. C’erano donne belle, alcune disinvolte, e non lo dico come le chiamavano. C’era chi mi chiamava Pasqualina, o più banalmente morina, e sono io che non ricordo i loro nomi. O forse erano conosciuti con i soprannomi. Nomignoli dovuti a caratteri fisici, o  a stranezze.

Forse avrebbe reso giustizia che sotto il nome ed il cognome ci fosse il soprannome, anche se curioso o poco rispettoso, perché comunque era familiare ed affettuoso, e ricordare il motivo per cui era stato inventato, era ricordare la vita di quella persona. Vedere tutti quei volti insieme, tutti intorno, però mi rincuora, me li riporta tutti nel cuore, e forse per la prima volta penso che un cimitero abbia un senso. Se si nasce, e si celebra la vita, si sa anche come va a finire. Ma se poi finirà tra “Chicchirichì” e “Il canterino”, sono sicura che ci sara’ da chiacchierare, in questa piazza. E oggi, proprio oggi, e’ arrivato un personaggio nuovo, ed era l’ultimo a parlarmi ancora del mio babbo, della mamma, dei miei nonni, di me piccina. Allora abitava nella casina accanto alla mia, e si condivideva lo scalino davanti alla porta. La sua era la famiglia dei renaioli di cui mi piace parlare. Non ci sono altri che ci fossero allora. Tocca a me,  ricordare

Un pezzettino di vita nella piazza di Lucia

Piazza – di Lucia Bettoni

foto e disegno di Lucia Bettoni

Difficile
Difficile
Questa piazza per me oggi
Chissà…
Comunque nella mia piazza vorrei incontrare delle donne e a ognuna di loro vorrei chiedere: parlami di un pezzettino di vita, non andate troppo indietro, non voglio la vostra infanzia e nemmeno la vostra adolescenza
Parlatemi di un pezzettino della vostra vita di donne
Perché è così difficile parlare di oggi, di ieri, di un passato non troppo lontano e perché invece è così facile parlare sempre dell’inizio della vita? Perché è anche così difficile parlare del futuro?

Si donne care, vorrei sedermi in cerchio insieme a voi e sentirmi proprio insieme a voi
Vorrei ascoltare dei vostri amori e dolori
Vorrei ascoltare di quello che avete costruito o di quello che avete dovuto distruggere

Guardiamoci negli occhi
Prendiamoci per mano
Sentiamo il calore della nostra pelle e del nostro sangue

Avete avuto un figlio?
Parlatemi di lui
Si, vorrei sentirvi parlare dei vostri figli
e se non avete un figlio parlatemi di amore e di progetti
Oppure
Quale episodio BELLO vi viene in mente di questa lunga vita vissuta?
Per favore però non andare troppo indietro: dieci, venti ,trenta anni fa o anche domani o anche FUTURO

Voglio pensare che tutte , proprio tutte abbiamo una stella dentro
Questo pensiero mi fa sentire MONDO
mi fa sentire mondo caldo
Soffiamo insieme e accendiamo
la SPERANZA

Piccolo scherzo di Cecilia

Un ricordorimpianto – di Cecilia Trinci

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Piazza mia bella piazza qui ci passò una leprina pazza

Le dita leggere passano sul palmo aperto della manina, che aspetta il resto della storia, ogni volta come fosse la prima.

Questo la vide

Il pollice si attorciglia leggermente su se stesso e prova un sottile piacere solleticante, tondo e grassottello, sempre attento e pronto.

Questo le corse dietro

L’indice snello un po’ più lungo del primo si sente importante, più grande, più furbo. Non perde un particolare, indica e giudica, cerca e accusa

Questo l’acchiappò

Tronfio, protetto, il dito medio sa di essere ganzo, di non perdere mai, infallibile e forte, protetto dagli altri in pari misura, si limita a stringere, a lavorare in sincrono..

Questo la cucinò

Eccolo lì l’anulare saggio, il dito degli anelli, fortunato e silenzioso, appartato nei suoi privilegi di dito ricco e adornato. Lui sapientemente  produce, realizza, condivide

E questo più piccino ….la mangiò

L’ingiustizia del fratello minore che strappa via le cose, le mangia, le possiede. Un piccolino solo apparentemente fragile, che vince su tutti, con lo sguardo tenero del furbetto.

La piazza di Patrizia che dice e non dice

Mettere in piazza – di Patrizia Fusi

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Vorrei avere il coraggio di parlare nei gruppi o piazze che io frequento degli arrivi sulle nostre coste dei migranti, vorrei poter capire per quale motivo tanta umanità scappa dai loro paesi, quali sono le cause.

Mi danno fastidio alcuni luoghi comuni e non mi va di accettarli, mi sento in difficoltà perché mi sembra che  la maggior parte delle persone vorrebbe chiuderli tutti fuori.

Mi sento in difficoltà perché forse anche io ho paura del diverso.

Perché non vedo soluzioni.

Perché anche io voglio poter mantenere alcune piccole sicurezza e non divederle con altri?

O perché fanno paura?

Incontro in piazza per Sandra

Incontro – di Sandra Conticini

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Mi siedo sulla panchina a leggere il libro nella piazza vicino a casa sempre ombrosa, tranquilla e fresca in questa estate torrida e afosa.

Ecco che la calma viene interrotta dall’arrivo di una famiglia di peruviani che iniziano a fare un picnic, arrostiscono wurstel, bevono vino e musica a tutto volume. Eh no…e meno male che non c’era nessuno penso, proprio oggi no!!! 

Vado dalla parte opposta e mi siedo su un’altra panchina, ma ecco che, dopo poco, arriva una signora un po’ anziana molto curata, capello bianco ben tenuto, orecchino vistoso che si siede accanto a me.

Penso: ma qui non c’è pace! Percepisco che vuole attaccare bottone.

Non faccio in tempo ad alzare la testa che mi dice:- Ma lei sta in questa zona?

Certo! Rispondo, qua dietro.

Anche io, vengo tutti i giorni a fare una giratina qui, c’è sempre molta pace, ma oggi con questa musica e con questa aria di carne arrostita mi verrebbe voglia di andare a casa, ma poi cosa faccio? Sono sola. Anche se sto da tempo in quel condominio non conosco quasi nessuno. Mi sembra di essere un fantasma perchè i giovani sono  di corsa e, nonostante l’età, li devo salutare io e spesso neppure mi rispondono, ma dov’è finita l’educazione?  Gli anziani, invece, stanno chiusi in casa e non aprono se suonano il campanello, per paura di essere derubati.  Mia figlia la vedo poco, ma meglio, tanto quando viene è tutta una discussione, mi fa sentire una rimbambita, ma lei non lo sa, faccio finta di esserlo, ma ancora non lo sono. I nipoti  li vedo  raramente, sono grandi e non hanno più bisogno di me, forse si sono dimenticati anche che esisto. La vecchiaia è brutta e da soli  ancora peggio.

No signora non deve dire così, lei è una persona fortunata perchè ha una casa, una famiglia che sicuramente, anche se li vede di rado, le vogliono tutti molto bene e quando avrà bisogno ci saranno tutti . Allora rimpiangerà i momenti di solitudine. Perchè anche la solitudine ha qualcosa di positivo, fa quello che vuole e quando vuole senza dover chiedere niente a nessuno… le sembra poco?

Sa che non ci avevo mai pensato? Ha proprio ragione, cercherò di non farmi prendere più dalla malinconia, la ringrazio per avermi ascoltato. Ora torno a casa più serena e  penserò a quello che mi ha detto.

Mi sono avviata verso casa più tranquilla e,  pazienza se del libro avevo letto solo dieci righe in tutto il pomeriggio!

Piazza in ansia per Luca

Appuntamento – di Luca Miraglia

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…è mezz’ora che cammino intorno a questa piazza e sono disorientato… eppure era chiaro che lei mi dovesse aspettare all’angolo tra la piazza e il vicolo… la cerco ma non c’è: incontro solo rari passanti infreddoliti, lampioni dalla luce smorta e panchine vuote… giro in tondo, forse ho capito male le indicazioni…

Sale l’ansia di non arrivare o che lei non arrivi nonostante la dichiarata voglia di regalarci la convivialità di una cena per il piacere di condividere un tempo dialogante e rilassato…

Che ansia…

La piazza è un circolo buio.

Ora provo a girare a destra invece che a sinistra: le luci di un locale, lei sulla porta che sorride mentre mi avvicino con lo sguardo stralunato.

L’ansia si scioglie in un sorriso e la piazza si riaccende, il vicolo si accende, il suo sguardo si accende: stasera sapremo veramente di noi.

L’Uccello Azzurro di Gabriella

C’è un nodo dentro di me – di Gabriella Crisafulli

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Anche io vengo dall’Uccello azzurro.

Lo curo con amore.

Sto imparando a tenerlo a fianco, sempre.

Sto sperimentando come parlargli: abbiamo una storia insieme.

Sto cercando chi vuole dialogare con lui senza spaventarsi, anzi felice di ascoltare quello che racconta.

Sto cercando chi ci sceglie e non ci lascia soli.

La piazza ha un cuore? di Gabriella

Piazza – di Gabriella Crisafulli

Photo by Miguel u00c1. Padriu00f1u00e1n on Pexels.com

La signora era lì, seduta sulla panchina di quella piazza all’ombra di un albero.

Le mani appoggiate in grembo, la testa un po’ abbassata, se ne stava tutta avvolta nel suo mondo.

Si avvicinò.

Stava bene?

Aveva bisogno di aiuto?

Si mise accanto a lei attenta a non disturbare e le rivolse la parola.

Si ridestò dai suoi pensieri e si mise a raccontare di aver accompagnato un’amica al cimitero lì di fronte.

L’avevano salutata in tanti e adesso lei si era fermata a ripensare ai momenti vissuti insieme.

Non era voluta tornare a casa subito, aveva avuto voglia di rimanerle ancora un po’ accanto.

Sapeva che sarebbe rimasta al suo fianco, che non l’avrebbe mai abbandonata e che avrebbe continuato a consolarla.

Per un attimo gli occhi chiari sorrisero brillanti.

“Le amicizie sono per sempre” disse.  

Chiacchiere in piazza di Simone

LA PIAZZA di Simone Bellini

Odio dialogare !

Passo veloce a testa bassa nella diagonale della piazza sviando da chi conosco appena. Il mio massimo è “Ciao, buongiorno , buonasera e basta.

Non mi interessa il calcio, non parlo di lavoro, donne tanto meno, ciacole fasulle senza senso.

“ Simone, Simone è una vita che non ci vediamo”

Oh cavolo è un ex tassista che quando attacca non la finisce più. Sempre i soliti argomenti, il lavoro, ce l’hanno tutti con i tassisti, il sindaco inetto, il governo che ci odia, la pensione che non basta mai ecc. ecc.

-Scusa ma il cane mi sta tirando il guinzaglio, vuole andare a casa, Ciao!!!- Santo cane che mi salva tutte le volte.

Via, via portami a casa e non ti fermare per le canine !

La cannella invadente di Daniele

Cannella e Pino Silvestre – di Daniele Violi

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La cannella è stata un ingrediente fisso nella cucina di mia mamma: 90 anni passati con migliaia di dolci in cui non è mai mancata con la sua essenza  esageratamente invadente, che si diffondeva stanza dopo stanza e che neutralizzava anche il profumo  della brillantina Linetti e del  pino silvestre che mio babbo spandeva più sui nostri capelli che sui suoi. La cannella come mantra di piacere, come stare nello spazio, in aria  e volare in casa su un tappeto profumato, rincorrendo visioni di città arabeggianti e patii, torri di Babele, ascoltando parole dolci e che, come un gioco, avvolge il tuo corpo con sensazioni di benessere, mentre anche lo sguardo diventa morbido verso persone che diventano amabili e gradite. La cannella con il suo profumo riesce a dare un piacere immenso.

Le castagne profumate per Anna

ODORE DI CASTAGNACCIO – di Anna Meli

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            Con l’autunno arrivano le castagne chiuse nel loro riccio verde e spinoso. Calpestandolo escono fuori scure e lucide. Profumano di buono, di bosco, di muschio, di sé.

            Una volta seccate e macinate si trasformeranno in una farina color avorio, dolce e profumata pronta per fare il tradizionale castagnaccio.

            Per me é naturale associare ogni profumo a qualcosa di vissuto e questa sera quando Carmela è arrivata  con un misterioso fagottino, ho intuito che doveva esserci qualcosa di buono.      Un odore antico è arrivato fino alle mie narici ancora prima di essere aperto. Mi sono rivista bambina. La vecchia cucina, il vecchio tavolo pieno di segni, il nonno che mescola in una zuppiera farina di castagne che poi andrà a depositare in una teglia con una pioggia di pinoli e poi…. a cuocere nel forno della cucina economica a legna.

            Un gradevole odore si spande appena aperto il forno e a me viene di pensare al “lupo lupaccio che mangia il castagnaccio”  e già mi preparo all’assaggio del pezzettino che mi gusterò prima di dividerlo col resto della famiglia all’ora di cena.

            Ancora una volta, e mi capita spesso, un profumo mi ha fatto sognare.

Finocchietto profumato per Carmela

Selvatico finocchietto – di Carmela De Pilla

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Quando c’era lui si sentiva, il suo respiro si avvertiva lontano un miglio e il profumo penetrava nella pelle, nell’aria si percepiva un’allegria persistente, di lui non si poteva fare a meno, era apprezzato in ogni stagione della sua esistenza, ancora piccolo ci ubriacava con il suo intenso aroma e se ne stava sdraiato nei campi godendo dei primi raggi di sole, preferiva quelli incolti forse perché lì si sentiva un re, accolto e stimato da tutti.

Il suo profumo inconfondibile avvolgeva le narici con prepotenza e come era felice di accarezzare chi gli stava accanto!

Durante la sua vita si trasformava a seconda del dolce tepore del sole o del suo eccessivo calore,  perfino il colore cambiava! Appena nato era verde tenero, veniva voglia di masticarlo e triturarlo per godere del suo carattere forte e vivace dal sapore dolciastro che perforava la bocca e il naso come la fresca brezza marina, più tardi spuntavano innumerevoli capolini gialli disposti a ombrello e in vecchiaia diventava più serio , ma non per questo meno profumato e festoso.

E quanto gli piaceva mescolarsi e rotolarsi con quelli che, a dire la verità, con lui non avevano niente a che fare! Che ci faceva tra le sarde e la carne di maiale? Di sicuro ne avrebbe esaltato il sapore!

Crescendo diventava più comprensivo e il suo profumo avvolgente si combinava volentieri con l’impasto dolce e fragrante dei piccoli anelli dorati o immerso nell’acqua per insaporire una tisana rinfrescante.

Era felice perché si sentiva utile in ogni momento della sua vita, certo ci voleva la pazienza di chi amorevolmente andava a scovarlo tra i sassi e i pendii contento di portare a casa un tesoro.

Profumo di finocchio per Lucia

Finocchio – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Sei stato il primo
Sei stato l’unico

Non ha importanza il tuo nome
Non ha importanza la tua forma

La tua essenza è dentro di me
La tua essenza il mio bisogno

Profumo antico
Profumo accogliente

Il giusto respiro

Silenzio e profumo
Profumo e silenzio

Uno è tanto
Uno è tutto

Tutto il mio bisogno è UNO.

Il finocchio e la strada – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Sai di strada
Sai di campo
Sai di sassi

Assaggio la polvere
di questo giorno grigio

Arranco in salita
con passi pesanti

Le narici si riempiono di te
Mi sollevi e mi spingi

In cima alla salita mi aspetti
per coprirmi le spalle e
asciugare i miei piedi

Il profumo dei chiodi di garofano per Gabriella

Chiodo – di Gabriella Crisafulli

Photo by Fatih Turan on Pexels.com

Se ne stava rincantucciato nel suo angolino ma aveva una gran voglia di uscire, di mostrarsi, di spargere il suo odore intenso.

La sua presenza evocava il Nord e il Sud, l’Est e l’Ovest, fondendo insieme gli angoli opposti del mondo.

Qualche grano non mancava nel sugo di cinghiale e dalla Maremma emigrava nei biscotti con macis e cardamomo di Salisburgo. Ma dagli Spekulatius precipita nel profondo Sud, in Puglia dentro ai Sasanelli.

La forma a stella decorava col suo bruno le bucce delle arance appese ai rami dell’albero a Natale e il suo profumo marcava il Tempio Bao’an sugli altari di Taipei.

E diventava sensuale nell’unguento per il corpo di olio di argan, patchouli, alloro e una punta di zenzero per prendere le distanze da un qui ed ora così faticoso.

Grazie chiodo.