Conforto impossibile: Patrizia

Vicinanza – di Patrizia Fusi

Piovono bombe e paura sull’Ucraina.

Paura sul mondo e tutti noi.

Angoscia nel vedere persone chiuse nei rifugi che non escono da giorni.

Fuoco che esce dalle finestre degli appartamenti colpiti, sembrano mostri anneriti che sputano fuoco verso il mondo, case distrutte.

Città silenziose, abitanti che non dormono da giorni, tremano di paura.

Sul mondo esplode un pianto per tanta sofferenza procurata agli esseri umani, animali, ambiente.

Vicinanza a questo popolo e alle persone.

Vicinanza a tutte le mamme che perdono i propri figli per la pazzia di potere di alcuni individui senza scrupoli.

Vicinanza a tutti i bambini vittime innocenti di tutte le guerre nel mondo.

Vorrei che tutte le lacrime versate nelle guerre formassero un fiume di saggezza e invadesse il cervello di tutti gli uomini per far inventare un modo di vivere senza guerre.

Mi sento disarmata verso tante atrocità perpetrate a carico di tanti popoli con le guerre.

Non so come dare conforto a me e a gli altri.

Il conforto del coraggio: Sandra

Il conforto e il coraggio – di Sandra Conticini

Quanto coraggio ho avuto nella mia vita.

Non sapevo che ce ne volesse così tanto per vivere una vita normale, ed ogni volta che si prospettava all’orizzonte un nuovo problema  pensavo che non ce l’avrei fatta. Le persone dicono che sono una persona forte, ma bisogna diventarlo, quando non c’è scelta.

Quando entri nel vortice del gioco è difficile tirarsi indietro e lo fai, non  per te, ma  per chi è vicino ed ha bisogno del tuo aiuto.

Il gioco cambia continuamente e  c’è la necessità adeguarsi alle nuove regole. Per me non è troppo semplice e quando penso di essere riuscita a vincere ecco che arriva un nuovo imprevisto ed avanti così, chissà per quanto ancora.  Voglio credere e sperare che riuscirò a ritrovare un po di tranquillità, nonostante gli eventi di questi ultimi periodi che tolgono la pace  mettendo malumore ed ansia.

Il conforto difficile: Anna

CONFORTO – di Anna Meli

            Chiusi la porta e consegnai la chiave a te credendo che sarebbe stato per sempre, che non saresti scappato da me.

            Non fu così.

            Sarà che non esco da mesi, ma sento la tua vicinanza e riesco a vederti muovere nella trasparenza di una tenda sottile.

            Mi vieni incontro, ma non mi raggiungi mai. Uno spazio incolmabile ci divide.

            Le mie mani deboli non riescono a sollevare il mio cuore pesante di rimpianti e fartene dono.

            E piove, piove da luglio…

            Non sento mille violini suonati dal vento né vedo tutti i colori dell’arcobaleno, ma solo pioggia di lacrime su un mondo impazzito che cerca aiuto e conforto vero che da sola non sono in grado di dare.

            Sono stanca.

            Ho il cuore appesantito da forze in contrasto dove rabbia, compassione e amore si fondono. Cerco il coraggio di credere ancora in un Dio che ci guarda dall’alto con occhi bendati sperando ci dia la forza per confortare in modo tangibile chi vive fra mille sciagure.

Collage per confortarsi: Simone

CONFORTO (collage) – di Simone Bellini

Sarà che piove da Luglio,

 sarà che il mondo esplode in pianto,

 sarà che non esco da mesi,

che sono stanca,

che ho finito i sorrisi soltanto. (C. Consoli- T Ferro )

Per questo caro amico ti scrivo

 così mi distraggo un po’

 e siccome sei molto lontano

più forte ti scriverò.

Si esce poco la sera ,

 compreso quando è festa

 e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra. ( L. Dalla )

Ovunque sarai,

ovunque sarò

in ogni gesto io ti cercherò.

 Se non ci sarai,

io lo capirò

 e nel silenzio io ti ascolterò.

 Dove ogni anima ha un colore

e ogni lacrima ha il tuo nome,

 se tornerai qui,

se mai,

lo sai che io ti aspetterò, (Irama )

Riflessione di Vanna Bigazzi su: Il conforto della notte

Il conforto della notte

Bella questa danza fra le parole della canzone ed il tuo soliloquio, integrati in un naturalissimo “continuum” fra le parole della canzone e il sogno, anzi una frammentazione di piccoli sogni, chiari, limpidi, allineati come minuscoli film: pezzi di vita “uno per notte”.

“Allora apparvero i volti amati,

a strusciarsi di corporee infinita`:

ombre, visioni, immagini e forme

in quel luogo di mezzo,

dove il sogno in realta` si trasfigura”.

Vicende vissute cui e` stata stesa una pennellata di tenui pastelli, la pennellata del tempo che sfuma ogni imperfezione: sana difesa della mente nella sua potenza di alleggerire e trasformare. Il ritorno alla realta` e` quasi scomodo:

“Tempo rammenti alla notte danzante

la speranza dell’alba:

il tepore della luce scioglie un buio fioco…

passano giorni, primavere e inverni…”.

Nessuna rottura fra sogno e realta`. Il tempo che sintetizza e trasforma “in musica di cui non saper scrivere le note…”.

La realta` diviene Archetipo: IL BAMBINO, non importa se figlio o nipote, non importa se maschio o femmina anche se rivela  un’identificazione con la tua femminilita`, in quanto “sesso frontale”, che non volta le spalle. Altro Archetipo: LA CASA, una casa pero` con le porte sempre aperte e questa sei tu, cara Cecilia, animo generoso… Poi l’interruzione ma con avviso, da quel momento non si puo` piu` rientrare anche se una voce amica interiore, ti dice “scrivi…” solo cosi` puoi ricongiungere sogno e realta`: la scrittura come “luogo di mezzo”. In questa dimensione non si puo` rinnegare il passato, regna armonia e tutto e` contenuto misteriosamente nella grande brocca dell’accoglienza che ti individua e contraddistingue.   


 

Il conforto della notte: Cecilia

Il sogno e la brocca – di Cecilia Trinci

Sarà che piove da luglio, sarà che il mondo esplode in pianto, sarà che non esco da mesi, che sono stanca, che ho finito i sorrisi, ma da diverse settimane, ormai, mi consola dormire e sogno tutte le notti. E non sono sogni confusi, sembrano al contrario dei piccoli film. La sceneggiatura è tratta dalla mia vita, come se la rivedessi tutta in pezzi, uno per notte. Ho rivissuto persone, case, vicende, nemmeno troppo travisate, solo i colori erano tutti tenui, sfumature di rosa e di grigio, come  evanescenti, da “altro mondo”. La mattina mi sveglio con dispiacere, staccandomi da un film bello che vorrei continuare a vedere. Durante il giorno continua l’eco del sogno, l’eco delle cose belle che ho rivissuto  e resta con me. Mi sorprendo a tratti a ripensare, a fare una riflessione, a farmi domande. E’ un periodo strano, in cui la rottura tra notte e giorno, tra sogno e realtà, non c’è. Sarà perché piove da luglio, sarà che non esco da mesi……

Nei sogni ci trovo conforto. Lo sento così, come avessi fatto pace con tutto e con tutti, come se non avessi né rimpianti né rimproveri, come se tutto si fosse trasformato in una melodia armonica.

 Sogno  mia figlia ma la cosa strana è che ha sempre tre anni e non si sa se è un bambino maschio o una bambina femmina. Di spalle è maschio, di fronte è  una femmina con gonnelline a gale. A volte è i suoi figli. Tutti e due.

Sogno case, le mie, ma non uguali alla realtà. Ne ho cambiate tante, eppure sogno sempre le stesse due, che a volte si confondono pure l’una nell’altra. A volte è inverno e fa freddo, a volte è primavera e le finestre sono grandi. Le porte però sono sempre aperte.

Quando il sogno sta per finire mi chiamano sempre da fuori casa e io esco e non posso poi più rientrare.

Un po’ come è stato.

A volte Qualcuno mi dice “scrivi”.

Lascio le case nel prato, tra i fiori, a volte c’è un sole pallido, a volte è notte e il grigio è molto buio. A volte c’è la legna subito fuori della porta.

Lo zoom si allontana dall’immagine come in un film e  vedo allontanarsi quelle case e diventare irraggiungibili, come fossero dentro capitoli di un libro che per quella notte si chiude.

Ogni sera c’è un protagonista diverso con il suo contorno di storia.

Un collega… un amico… un dolore…un compagno di scuola.

Io vestita in epoche diverse, mia sorella, ….un’amica…..Io piccina, la scuola….

Una ricerca, un progetto,  Tunisi blu,  quella volta che….

Tiziano Terzani letto in Corsica.

Mio padre che se ne va dalla spiaggia d’inverno.

Le onde del mare che sembrano uscire dal letto. Sono belle come  fossero vere.

Mi piace  rivedere le cose, chi sono stata, mi piace ciò che è stato, o almeno quello che sto rivivendo.

Non c’è lontananza, non c’è distacco.

Neppure rimpianto, c’è quasi desiderio di mettere in ordine, capire, lasciare.

C’è armonia, come se tutti i pezzi di vita, che sembrano capitoli staccati,  siano in realtà solo un fluido liquido, unico, contenuto tutto nella brocca che sono io.

Conforto sotto l’ombrello: Rossella

Sarà che piove da sempre… – di Rossella Gallori

No, non è acqua quella che scende, sembra cenere ancora calda, sembra qualcosa che fora il mio grande ombrello, i buchi sono piccole pupille che mi guardano, ed io guardo loro, sguardi e strabici, paralleli, occhi che si incontrano pur puntando altri angoli di mondo, lacrime dal cielo, in un diluvio, che non finisce mai.

Ed io sotto questa pioggia eterna che mi ha sempre bagnata, priva di protezione, vago.

Cerco una mano, un cuore, un sorriso sincero…lo avevano detto, me lo avevano detto ed ancora lo dicono, che ci voleva coraggio…mi ci voleva coraggio!

E l’ho avuto io, l’ho avuto sempre, anche quando non sembrava, anche quando piangevo, gridavo,  mangiavo troppo, mangiavo poco o ridevo di nulla, per nulla, ce l’ ho fatta, perché avevo coraggio, un po’ di inconsapevole  forza, che trovavo in una piccola foto, in un fiore finto di seta sottile, un piumino da cipria, un 45 giri graffiato, credere in un cuore, si un cuore, che poi mi è caduto perché pesava troppo, ed ho affogato il viso in un golf non mio!

Coraggio per chi non c’ era mai stato, per chi  era rimasto a guardare alla finestra, per tutti, ho fatto casini sempre mezza, fradicia di pianto con quell’ ombrello che non mi riparava, ho cercato un porticato, una tenda, una mano più grande della mia che  proteggesse quei pochi pensieri rimasti e se non l’ ho trovata, l’ho immaginata, inventata, sognata, sei dita, otto…venti dita…una mano gigante, salvifica.

Ed ora che ho paura, ed ho finito il coraggio, cosa faccio? A chi chiedo?

Sarà che ricomincia a piovere, sempre più forte….

Cerco una parola, per capire se riesco a leggerla, a capirla, a riscriverla, a trovare le carezze di cui ho sempre più bisogno.

Sarà che piove da troppo, sembra non smetta più, piove anche quando c’è il sole e non cerco riparo, resto ferma immobile, impietrita, mi piego su me stessa, una posizione che sa solo di ansia, mi abbraccio, mi annuso …sono stanca, ho perso le chiavi, la speranza di ritrovarle, quel portachiavi, quella porta, quella casa, quelle finestre senza vetri….

Sarà che piove e non smette più, è un fiume in piena che esonda, inonda.

Nuoto male, vorrei aiutare gli altri, ma forse sto affongando e di quell’ ombrello mi restano solo appuntite stecche ed occhi ciechi nella tela lacerata, occhi che non han più voglia, come me, di guardare. Mi addormento, per quasi morire, sono stanca.

Priva di sorrisi, pesante di silenzi…..

Sarà che piove da sempre….

Poi improvvisa, un’onda tiepida e lenta mi accarezza, mi accorgo che le braccia ce la fanno ancora, trovano “ coraggio” più lente, più doloranti, braccia vecchie e consapevoli, qualcuno si appoggia:

È QUALCOSA CHE HA A CHE FARE CON ME, LONTANO, MA NON DISTANTE…..

Conforto con Napo: Mimma

Il conforto del mio cane – di Mimma Caravaggi

Credo che conforto possa essere dato anche da una sola parola scritta al momento giusto e soprattutto dalle persone giuste. Personalmente trovo molto conforto nel mio dolce Napo; quando in poltrona mi viene in collo e lo accarezzo e gli faccio tanti grattini e lui mi ringrazia con una piccola leccatina sulla mano beh per me è un momento di conforto molto importante perché mi permette di andare avanti appagata. Qualche volta è capitato di lasciarlo a casa quando esco, ma  mi pento subito perché sento che mi manca come uscire senza cellulare o la chiave di casa. La lontananza da lui anche se breve mi fa sentire triste come  se lo avessi abbandonato ma al mio rientro lo trovo lì ad aspettarmi ansioso di farmi le feste e salirmi in collo per due carezzine, se gli chiedo un bacino mi dà una leccatina veloce sull’orecchio. Cosa chiedere di più a un animale? quando sono molto giù di corda io parlo con lui raccontando tutte le mie tristezze e lui sembra capirmi o almeno ascoltarmi muovendo la testa un po’ a destra un po’ a sinistra ed è impagabile: lui è il mio grande conforto! Abbiamo la stessa età per cui spero di andarmene insieme a lui quando sarà il momento, così non soffrirò e non ne sentirò la mancanza.

Il conforto delle relazioni: Tina

Conforto – di Tina Conti

Problemi tecnici non mi hanno permesso di seguire il testo della canzone a cui ci saremmo ispirati, nessun problema, ero nel gruppo e sentivo le vibrazioni e le suggestioni che scaturivano.

Certo il tema era profondo, capace di farci sentire nel momento, nella situazione del mondo e in quella dei nostri cuori.

Non ci sono strade traverse, dobbiamo trovare dentro di noi sempre e nella vicinanza con gli altri il conforto per andare incontro alla vita.

Non siamo sempre pronti a fare questo cammino e a incoraggiarlo nei nostri vicini, ma la nostra esistenza ce lo chiede e noi lo dobbiamo sperimentare, scoprire, accogliere.

Facciamo finta che c’è il sole, dicevo a una mia cara collega quando la vedevo intristita dalla pioggia e dal grigio dell’anima.

E ci aiutava, serviva per comunicarci le vibrazione della nostra vicinanza e dei cuori, faceva uscire suggestioni e muovere  le nostre forze e idee.

Troviamo in questo deserto, arido e ventoso, un sassolino che assomigli a un fiore, usciamo e guardiamo le cose che si muovono, a volte si riesce a farlo.

Se si impara con umiltà ad ascoltarsi, a sentire le energie a volte arriva anche quel conforto  che scalda le nostre giornate.

Il contenitore della nostra vita solleva il nostro vivere, se riusciamo a sentirci dentro.

La nostra piazza, gli edifici, le piante intorno a noi, il torrente, i volti conosciuti ci fanno sentire accolti, vicini, ci sembra che una mano venga vicino a noi.

Ieri mattina in giro per compere, la festa della donna che mi volevo regalare con un bel cappuccino e la visita alla libreria, più una camicetta colorata mi hanno fatto riflettere sulla bellezza delle persone.

  Camminando Sulla strada di casa, davanti a me riflettevo su due oggetti che vedevo: una borsa di stoffa con i colori della bandiera della pace, un sacchetto di carte del negozio C.Bio dove anche io faccio  acquisti. La signora sportiva e vivace che portava quelle cose , si volta, mi sembra di riconoscerla, ah la nonna dei gemellini esclamo.

No, no, i miei nipoti sono grandi e non gemelli bella signora, con questo bel cappottino celeste. Vedo che è stata da cibio, replico, che tristezza pensare che  non incontreremo piu Fabio nella piazza e nei negozi.

Non lo dica a me, che vengo tutti i giorni, mi faccio una passeggiata e compro   quello che mi manc., sono vedova da venti anni  e ho imparato a scaldarmi la giornata con piccole cose. Vedo che anche lei protesta per questa cosa assurda del conflitto in ucraina, siamo proprio in un difficile momento ho detto.

Ci sentiamo impotenti e disarmati, non sappiamo cosa fare, eppure almeno protestare lo possiamo fare ha ribattuto lei

In cinque minuti mentre camminavamo a fianco, ci siamo raccontate la vita, ora che i miei nipoti non hanno bisogno di me  ha replicato lei, faccio compagnia a una cara amica molto anziana con la quale ogni domenica si veniva a san Ambrogio a pranzo dal Picchi, ora non si potrà più, forse cambiano le aperture   e noi dovremo fare altro. Che dolore, ci sentivamo in famiglia per noi era di grande conforto sentire questi odori, il suono delle campane, i discorsi della gente, e quella allegria sorniona di Fabio ,ci regalavano attimi di piacere.

Per noi era il luogo del cuore.

Il conforto siamo noi due: Carla

Il conforto e la rabbia – di Carla Faggi

Sarà che piove da luglio sarà il mondo che esplode in pianto saranno le bombe i cannoni i fucili saranno le mamme ed i bambini che fuggono ed i babbi che ritornano, saranno i morti i profughi, sarà la distanza che è anche lontananza

Ancora una volta non voglio più guardare la televisione

Il mondo ha finito i sorrisi, già da tempo ne erano rimasti molto pochi, non ne erano rimasti per i bambini afgani per la popolazione siriana per le famiglie palestinesi per i ceceni ed ora per gli ucraini e non riesco a mettercene altri di sorrisi finiti perchè la mia memoria ha un limite ….ne ho ricordate forse solo un decimo delle popolazioni che hanno finito oltre i sorrisi anche i respiri nelle guerre di questo nuovo secolo che se il precedente era considerato il secolo breve questo mi sa che sarà quello brevissimo

Sarà che piove da luglio sarà che la mia rabbia esplode in urlo, sarà la follia degli esseri umani che non sopporto più ma sarà anche che non sopporto più neppure lo spocchio degli esportatori del Bene della Verità, di chi scatena guerre per difendere la democrazia, di chi si sente sempre nel giusto ed in nome di questo prepara il terreno alla guerra

Sarà che voglio avere il coraggio di non guardare più la televisione

Conforto? Come dice la canzone…casa nostra vicinanza io e te siamo noi siamo in due, chiudiamo la porta e chiudiamo gli occhi e troppo troppo troppo amore.

Quindi concludendo questo mio sfogo il conforto come suggerisce anche la canzone è la famiglia, è la coppia. Non è più la speranza in un mondo migliore, nel collettivo.

Come più volte ho detto sono convinta che l’homo sapiens meriti solo l’estinzione.

Il conforto dell’aria pulita: Lucia

Il conforto – di Lucia Bettoni

quadro e foto di Lucia Bettoni

Un tempo tanto lungo, dove il respiro è cambiato, dove l’alba ha un altro colore, dove la pioggia sembra un pianto e il sole non ha più calore
Il mondo è più piatto e le persone non hanno profumo
La speranza vacilla e il futuro fa fatica a sbocciare
Cosa è importante? Cosa voglio? Cosa desidero?
Desidero uscire da questo limbo, una prigione senza sbarre che mi soffoca lentamente
Ho bisogno di viaggiare, la staticità mi uccide
Ho bisogno del conforto dell’aria pulita, della pioggia che bagna, del sole che scalda
Il conforto di un pensiero senza nebbia, di un desidero possibile
Lontananza lontananza…
Le tue parole attraversano il cielo e squarciano le nubi, accendono fuochi e guizzano negli abissi, mi cercano in fondo al mare e sulla punta del cipresso, aprono le mie mani e le riempiono di stelle
Hai bisogno di volare donna Lucia, tu lo sai bene!
Quando non voli ti perdi e si perde anche l’alba
Sorridi, non pensare e spera
Voglio lavare i panni al viaio  e sbatterli forte sulla pietra
Voglio prendere un aereo per Nairobi
Voglio andare a Nairobi? Non lo so… Vorrei poterci andare se ne ho voglia !
Questa mano “respingente” mi opprime
Le piccole cose stanno diventando troppo piccole

Il conforto della pioggia: Stefania

L’ombrello sotto la pioggia – di Stefania Bonanni

Sarà che non piove da mesi. Sarà che il mondo è risecchito, spaccato, attraversato da crepacci che scoprono le radici.

Sarà che sembra un deserto. Sarà che non avrei mai pensato di poter vivere in un deserto.

Sarà che l’erba non sembra così verde, quest’anno.

Sarà che i pensieri sono scuri e appuntiti, hanno cambiato dimensione.

Sarà che le nuvole non sembrano angeli, uccelli, animali fantastici, sembrano solo nuvole.

Sarà che non piove da mesi, sarà che gli abbracci da anni sono solo quelli familiari, e non bastano.

Sarà che ho voglia di baciare sconosciuti, e non si può.

Sarà che ho voglia di sagre di paese, e non si può.

Sarà che bisogna chiedere la pace, e non servirà.

Sarà che non piove da mesi, ed il dolore e le lacrime di paura non serviranno a nutrire.

Sarà che sono diventati pesanti i cuori, pesi insopportabili. Non ci sono mani,  braccia, dita, tanto forti da sorreggere un cuore pesante. E un cervello troppo pieno, occhi stanchi, orecchie che non si riempiono di parole perché viene voglia di tapparsele, perché le parole non sono di quelle che fanno bene. Orecchie deserte, che partoriscono pensieri morti, risecchiti,  pesanti come sassi.

Voglia di pioggia. Voglia di bere la pioggia come una margherita, con i petali distesi, aperti e leggeri. Voglia di leggerezza. Voglia di saltare nelle pozze, di stare sotto l’ombrello in due. Voglia di acqua di maggio, che fa diventare belli. Voglia di ombrelli, che basti un ombrello per essere al sicuro, all’asciutto, ad aspettare che torni il sereno.

Il conforto di chi resta: Vanna

Il conforto della rinuncia – di Vanna Bigazzi

Un conflitto di emozioni in questa canzone: riuscire a figurarsi e vivere interiormente il disagio degli altri. In questi giorni vediamo immagini strazianti di chi fugge disperato, persone alla deriva, che non vedono futuro, vivere per sopravvivere, disgrazia, disperazione. E noi, quando ci siamo sentiti, anche minimamente, in stati d’animo del genere? Forse in delusioni d’amore, in crolli economici o emotivi, nel rasentare i limiti della follia o nell’abbandono totale… tutto molto relativo al confronto. Cerchiamo, anche solo per un momento, di vivere questo “status” anche se immaginarlo non potra` mai essere come viverlo concretamente. E in queste circostanze, che spessore vogliamo attribuire al Conforto? Il conforto e` amore, fusione con distacco. Decidere di rimanere con chi soffre e` una decisione coraggiosa e nel coraggio e` implicito il cuore. Chi non ha cuore non ha coraggio, chi ha cuore e coraggio puo` dare conforto, con la propria rinuncia: saper rinunciare a fuggire purche` ti abbia consegnato le chiavi della stanza proprio chi ha chiuso la porta. E` questo un vincolo che difficilmente si scioglie, un vincolo che implica sacrificio, privazione e che puo` essere premiato solo col vicendevole Conforto.

Il conforto: ci vuole coraggio – Laura

Il conforto – di Laura Galgani

Vorrei il conforto di un sole pallido a primavera, di una breve passeggiata per le vie del quartiere quando il cielo si tinge di rosa. Lo vorrei ma non posso, non ho il tempo di andare a cercare la carezza di quel conforto.

“Per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio”. Perché, mi sono chiesta. Forse perché soltanto così lo si soppesa, cioè se ne sente davvero il peso. E allora sì, che c’è bisogno di conforto.

I nostri cuori pesano come macigni. Anche quelli delle donne ucraine che ho incrociato oggi nell’ingresso dell’ufficio, uscendo. I bimbi, piccolissimi, strillavano divertiti perché giocavano a nascondersi e ad acchiapparsi in un ambiente nuovo, pieno di angolini segreti. Ma le madri no. Davano loro merende e succhi di frutta portati da noi, ma i loro occhi non ridevano. I volti tesi, le labbra serrate. Tutte giovani, ben vestite, dall’aspetto curato.

Sono passata attraverso quella piccola folla rumorosa spargendo sorrisi e gridolini di apprezzamento ai bambini, ma con mio grande imbarazzo sono caduti nel vuoto. Non mi hanno nemmeno vista.

So che avranno un rifugio, una casa, per quanto essenziale, e cibo e vestiti ma il loro cuore rimane di cemento, e ci vuole davvero tanto coraggio per pesarlo con entrambe le mani.

E’ un peso collettivo, globale, che va al di là delle responsabilità di ognuno.

Il conforto mi trovo a doverlo distribuire ogni giorno, su più versanti, e continuamente.

E’ difficile che mi occupi del conforto di cui avrei bisogno io.

Cerco di mantenere dentro di me il contatto con quella fonte inesauribile di luce, di pace, di calma e di serenità alla quale attingo per trovare conforto. Ma le giornate non sono tutte uguali e a volte le carte si rimescolano tutte in maniera tale per cui anche io mi sento nel deserto, là dove nessuna pianta cresce. E nel deserto avanzo, nonostante la fatica. Il sole mi abbaglia, il calore mi prosciuga.

Poi però mi fermo dal mio incedere senza posa. Qualcosa mi attrae, è una tenda bianca i cui veli si schiudono al vento. Un’ombra dentro si muove, in una danza armonica e silenziosa. Mi fermo ad osservarla. Mi siedo sulla sabbia calda. Lei è ancora lì, dentro la tenda, e danza, leggera ma decisa. Si direbbe che sia felice. Ora la riconosco, è la mia anima. Non mi ha mai abbandonata …

Il Conforto: Maria Laura

Il Conforto – di M.Laura Tripodi

Credo che ognuno di noi abbia attraversato momenti in cui il proprio passato sembrava lontano milioni di anni e il proprio futuro sembrava bussare urgente senza ricevere risposta.

Sono i momenti della disperazione che tolgono il respiro.

Poi ci si accorge che c’è altro da noi. Il cuore continua  a battere. Il nostro corpo non si arrende come fa spesso la mente.

Il conforto è guardarsi intorno e sapere che siamo piccoli esseri fallibili provvisori e fragili.

Ma nello stesso tempo partecipi di qualcosa che ci è incomprensibile e immenso.

Il conforto è la consapevolezza del tutto e del nulla in una relatività che ogni giorno insegna qualcosa.

Come una mano invisibile che si appoggia sulla spalla e trasmette sicurezza e calore di vita.

Come una caramella mou  che con la sua dolcezza placa il dolore di un bimbo

Incontro 9 marzo 2022: Il Conforto

con Cecilia Trinci

Ascoltiamo una canzone dal titolo Il Conforto, parola di cui abbiamo molto bisogno in questi giorni dolorosi di guerra tra Ucraina e Russia.

dalla strofa evidenziata troviamo ispirazione:

Testo Il Conforto

Se questa città non dorme
allora siamo in due
per non farti scappare
chiusi la porta e consegnai la chiave a te

Adesso sono certa
della differenza tra prossimità e vicinanza
è… nel modo in cui ti muovi
in una tenda in questo mio deserto

Sarà che piove da luglio
il mondo che esplode in pianto
sarà che non esci da mesi
sei stanco o hai finito i sorrisi soltanto
per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e occhi bendati su un cielo girato di spalle
la pazienza, casa nostra, il contatto e il tuo conforto
ha a che fare con me
è qualcosa che ha a che fare con me

Se questa città confonde
allora siete in due
per non farmi scappare
mi chiuse gli occhi e consegnò la chiave a te
adesso sono certo
della differenza tra distanza e lontananza

Sarà che piove da luglio
il mondo che esplode in pianto
sarà che non esci da mesi

sei stanco o hai finito i sorrisi soltanto
per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e occhi bendati su un cielo girato di spalle
la pazienza, casa nostra, il coraggio e il tuo conforto
ha a che fare con me
è qualcosa che ha a che fare con me

Sarà la pioggia d’estate o
Dio che ci guarda dall’alto
sarà che non esci da mesi
sei stanco o hai finito e respiri soltanto
per pesare il cuore con entrambe le mani mi ci vuole un miraggio
quel conforto che ha a che fare con te
quel conforto che ha a che fare con te
per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e tanto tanto troppo troppo troppo… troppo amore.

(Tiziano Ferro, Emanuele Dabbono)

Conversazione e condivisione molto intensa.

Il fuoco e il vento di tramontana: Tina Conti

Il vento di tramontana e i fuochi nei campi – di Tina Conti

Questo pomeriggio, completati i lavori programmati, ho acceso il fuoco nel camino e sono andata al tavolo per scrivere due righe.

Ieri al mattino, mentre salivo per il vialetto vicino all’orto dove il contenitore del compost trasforma gli scarti per il concime, ho pensato che avrei  dato fuoco facilmente alle potature degli olivi, cosi i campi riordinati si potevano passare con il tagliaerba ..sono partiti due grandi fuochi, lingue alte e svettanti mosse dal vento freddo di tramontana. Lo scoppiettare e crocchiare del fuoco si e’ fatto sentire quando ho aggiunto un ramo verde di alloro.

Il profumo si e’ presentato subito, insieme a una folata di vento fumoso.

Ho messo a punto strategie efficaci per far partire il fuoco all’esterno.

Raccolgo pine e pezzetti di scorze di legno, coccole di cipresso e le impacchetto con fogli di giornale, curando l’avvio, con pazienza, la fiamma si alza e si propaga al cumulo .aggiungendo pian piano i rami tagliati, in poco tempo il fuoco diventa potente e gagliardo.

Nei campi in questo periodo e’ necessario liberarsi delle frasche di potatura.

Si vedono girando lo sguardo sul territorio pennacchi di fumo sparsi ovunque. Rispettando le indicazioni  e le regole territoriali è ancora possibile adottare queste pratiche per liberare i campi.

Adoro  fare il fuoco, guardarlo, accudirlo, domarlo.

Ricordo il grande camino di nonna Cesarina nella grande casa del Monastero  che ci accoglieva alla sera riscaldandoci d opo una lunga giornata all’aperto.

Le guance si accendevano, le mani arrossate e screpolate avevano un po’ di refrigerio, ai bambini dopo cena  toccavano anche delle chicche: fette di mele secce ,noci, fichi secchi e un bicchiere di acquerello.

Che bevanda prodigiosa, non so cosa darei per un sorso di quel nettare.

La cosa che mi  piaceva tanto del fuoco erano i profumi che si sprigionavano.

Mi capita anche adesso di riconoscere gli odori della legna bruciata.

Non mancava mai pero’ nella cucina della nonna quel padellino con il lungo manico dove sulla fiamma vivace venivano cotte le nostre frittate, una per ognuno, gonfie e morbide che ci facevano saltare di gioia.

E poi che goduria il fuoco dello scaldino nel letto che fumava vapori di freddo.

Non si voleva mai che ce lo togliessero, ci ripagava di tutto quel freddo che nei campi per la raccolta delle olive si pativa di giorno.

Il veggio  o scaldino di coccio oppure di metallo, veniva preparato con sapienza 

Il fuoco doveva scaldare, durare, non bruciare.

Sopra i tizzoni immersi nella cenere, si spargeva ancora un velo protettivo di cenere e si infilava nel letto appeso al trabiccolo.

Il fuoco che scoppietta: Nadia

IL FUOCO di Nadia – di Nadia Peruzzi


Il fuoco, motore decisivo nell’accelerazione dello sviluppo umano e oggetto di dibattiti accaniti fra i primi filosofi della storia dell’umanità, nei miei primi anni di vita era una semplice, ma utilissima fiamma che cercava in tutti i modi di farsi vedere e sentire da dentro la cucina economica,  strumento essenziale nelle case di allora.
Era un fuoco ristretto e costretto da quei cerchi di ferro, con un suono più o meno scoppiettante a seconda del tipo di legna che ci si metteva.  Un suono particolare venato di sfrigolii che facevano da contraltare al sobbollir lento dei fagioli che spesso la nonna cucinava.
Il fuoco è famiglia, per me.
Racconta di calore , e di una tavola apparecchiata attorno a cui ritrovarsi, parlare, mangiare mentre una vecchia radio trasmetteva notizie con la sua voce un po’ gracchiante e le canzoni erano cantate da ragazze con le passate e le cinture di stoffa attorno a vitini che avevano l’obbligo di essere di vespa. Non potevi vederle attraverso la radio , potevi immaginarle visto che le ritrovavi prima o poi in qualche rotocalco di allora.
Sarà per questo collocarlo in questa dimensione domestica, che quando penso ad un fuoco un po’ più grande e libero di mostrarsi tale,  l’immagine che subito si fa strada è quella di un bel camino con la parete annerita , dei cuscini bassi e colorati lungo le sedute , con la cenere ancora viva e pronta a riprendere forza in qualsiasi momento.
Quando mi è capitato di partecipare a qualche vendemmia poi si finiva li, ad occhieggiare quelle fiammelle che poi diventavano fuoco impetuoso e braci ardenti. Fin troppo caldi davanti e tutti con le guance rosse, freddi alla schiena,  ce ne stavamo li a guardare le scintille che si rincorrevano e quelle grandi griglie piene di bontà da leccarsi i baffi.
Spesso era tutto un fuoco , perché anche la cucina economica era in funzione, con attorno le donne che davano gli ultimi ritocchi alla salsa per i crostini e al sugo di carne che diceva mangiami.
Gli uomini arrivavano dopo aver sistemato all’esterno, accaldati e con le mani ancora appiccicose per la tanta uva toccata.  Qualche gallina impertinente arrivava fino alla porta di ingresso per farci sentire un coccodè a cui nessuno prestava ascolto.
Si pensava ad altro.
La tavola era già apparecchiata , lo sguardo di noi bambini vagava fra pane casalingo e olio bono e formaggio pecorino , non disdegnando un’occhiata vogliosa verso l’acquerello in bella vista nella nostra parte di tavolo.
Era la tavola di una festa. Una festa scoppiettante, vivace, vitale. Una festa di comunità.
Il grande camino non mancava di far sentire ogni tanto anche la sua voce.

Il fuoco e le scintille: Simone Bellini

FUOCO – di Simone Bellini

Crepita nel caminetto il fuoco

Diffondendo chiarore

Scoppiettano scintille

S’inseguono per gioco

Alimentate da un dolce calore

Fiamme  ‘si belle

Rapiscono gli occhi

Tornano alla mente

Incanti di mille novelle

ardono dentro, il resto è niente.

Volti dimenticati

Riaffiorano nella penombra

Sorridono si commuovono narrano

Si abbandonano gli occhi al tuo tepore

E tutto quel che sembra scompare.

I fuochi di S. Antonio: Carmela De Pilla

I fuochi di S. Antonio – di Carmela De Pilla

Già da qualche giorno c’era aria di festa in paese, i ragazzini e i più giovani erano quelli che si divertivano di più, le loro voci portavano allegria per le strade del paese che fino a poco prima sembrava dormisse, per vincere la gara dovevano procurarsi molta legna perché il falò risultasse il più grande e il più bello così partivano in gruppo e tra una risata e l’altra bussavano a tutte le porte per racimolare quanta più legna possibile.

-Andiamo da Senza nas, lui ha il bosco chissà quanta ce n’ha!

I più piccoli scoppiarono in una risata fragorosa e non si accorsero che il povero Senza nas era sulla porta, ma lui era ormai abituato a quel nomignolo che gli stava appiccicato addosso da generazioni e non se la prese più di tanto anzi donò una carriola piena di legna già pronta sulla soglia.

Avevano lavorato fino a tarda sera e c’era abbastanza legna per fare un grande falò, tutto era pronto per la festa di S. Antonio  e l’indomani, 17 gennaio, si sarebbero radunati dopo il tramonto nella piazzetta del rione.

L’attesa per il grande evento aveva portato in ogni casa un’atmosfera particolare, tra il sacro e il profano e ognuno trascinato da un intimo desiderio di allegria si avvicinava alla grande catasta portandosi dietro la propria sedia  e qualche coperta.

Gli uomini avevano completato con maestria il lavoro e dopo che le donne e i bambini si erano accomodati in cerchio intorno al grande cono, avevano dato fuoco alle fascine partendo dal cuore, all’improvviso giochi di luce incominciarono a danzare nell’aria, scintille scoppiettanti si rincorrevano scherzosamente e qua e là nel cielo della notte s’intravedeva il chiarore giallo-arancio delle fiamme che si liberavano verso l’alto. Un turbinio di voci, di risate, di gesti s’insinuava tra i presenti trascinandoli in una spensieratezza quasi dimenticata, quel rito che si ripeteva tutti gli anni li univa, non c’era distinzione tra il ricco e il povero quella sera perché il fuoco apparteneva a tutti, per una notte erano tutti uguali.

Come d’incanto arrivavano le note di una fisarmonica e un gruppo di anziani intonavano una canzone, il ritmo diventava sempre più incalzante così altri si univano al coro e i più intraprendenti si lasciavano andare nel ballo cadenzato della pizzica, un trionfo di allegria era entrato nei loro cuori e nessuno pensava più alla malasorte, l’inverno stava per finire e l’arrivo della primavera faceva sperare in un raccolto più abbondante e metteva di buon umore tanto più che il carnevale era alle porte, come diceva il detto “S. Antonio, maschera e suono”.

Quelle fiamme bruciavano le sofferenze, le delusioni dell’anno appena passato e tutti si preparavano a cacciar via gli aspetti negativi della stagione fredda e quindi della vita con una grande voglia di rinnovamento…

I bambini si erano accovacciati ai piedi delle nonne che si dilettavano a raccontare le fiabe, quelle stesse che anch’esse avevano ascoltato dalle loro mamme e intanto mani grandi e stanche s’intrecciavano amorevolmente con quelle piccole e cicciottelle e una piacevole armonia s’infiltrava tra loro mentre in un angolo della catasta qualcuno abbrustoliva i ceci nella sabbia rovente con grande piacere di tutti.

Il fuoco, principe assoluto di quella sera, continuava a scoppiettare fino a notte inoltrata e a poco a poco ognuno ritornava a casa con la propria sedia ebbro di gioia, i più coraggiosi aspettavano che lentamente si addormentasse fino a diventare cenere raccontandosi storie di fatti quotidiani.

L’indomani avrebbero saputo il vincitore della gara perché più grande o più accogliente, ma ogni fuoco rimaneva  per tutti simbolo di rispetto, di amicizia e di buon auspicio.

Ancora oggi la luce del fuoco custodisce gelosamente questo antico rito che si ripete a dispetto di una vita moderna che tenta di dimenticare.