Prigioniera di un dono – di Stefania Bonanni

Sono stata una bambina che “indovinava l’acqua”. Lo sento ancora nel vento, quel sentore. Lo chiamo ” vento d’acqua”, ma non ha a che fare con le previsione metereologiche. E’ come se sentissi il sentimento del vento, che si commuove e comincia a piangere. Si commuove per noi, che non riusciamo a stupirci, e per se stesso, perché altro non può che piangere.
Lo sento cambiare, il vento, proprio nelle intenzioni. Comincia ad essere “solido”, come se non solo l’odore della terra e dell’erba portasse con sé, ma anche la loro materia. Profuma di zolle, ha il sapore dell’Arno, è il momento in cui si mescola, nel quale nasce la sua anima. L’anima non esiste, nelle cose, e forse nemmeno nelle persone, ma nasce quando gli esseri si toccano con i sentimenti, quando si combinano, atomi con atomi e non scoppiano, e formano materia e sentimenti.
Sento ancora le intenzioni del vento, anche se da tanto tempo non piove, e mi manca quel solletico al cuore, insieme alla certezza che io sono sempre io, se il vento è sempre quello che porta l’acqua. E mi fa ridere, mi scatena una ridarella gorgogliante e senza senso che mi fa sentire stupida e leggera, e nello stesso tempo potente come la natura, che mi abita e mi conosce. Quelli nei quali “sentivo l’acqua” erano i giorni nei quali il mio babbo diceva che stare con me era stare sempre al sole, anche mentre pioveva. Me lo sono ripetuto tante volte, quando non avevo motivi per ridere, ho provato con forza a rischiarare, intorno. Adesso sono stanca. Aspetto il vento d’acqua.
Altri sentori ho avuto nella vita, spesso. Li ho chiamati umori, sensazioni, atmosfere. Credo di avere questa caratteristica appiccicata con forza agli organi di dentro, perché, senza riuscirci, ho cercato con molti mezzi di cancellare dai miei istinti quello che mi faceva sentire la gente star male anche quando lo nascondeva, che mi ha fatto capire di amori finiti prima che finissero, che mi ha fatto vedere le tragedie di casa mia anni prima che si compissero. Così ho iniziato a star male prima, e basta. Vedevo quello che non si vedeva, notavo dettagli, ascoltavo voci che si sforzavano di aver voce, ed altre che bisognava aguzzare l’udito, per captare. E aspettavo. Non ho fatto altro che aspettare, non ho illuminato di certo nessuno.
Se è un dono, non l’avrei voluto. Ho molto sofferto a sentire i “sentori”. Non ho mai nutrito speranze che le cose andassero in altro modo: l’avevo “sentito”.
Un giorno avevo discusso forte con Paolo. Non ricordo certo il motivo, ma tra di noi le scintille sono sempre incendi, che si tratti d’amore o di rabbia. Era comunque tutto passato, tutto tranquillo, ed in casa non c’era nessuno mentre si discuteva, siamo sempre stati attenti.
Rientra la Francesca, avrà avuto cinque, sei anni, e dalla porta comincia a dire: “C’è uno strano odore di rabbia. E’ rimasto nell’aria. Dovete sapere che io sento quando l’aria cambia.”
Questo ho tramandato, ed avrei preferito regalare una leggerezza più leggera.