Incontro 9 marzo 2022: Il Conforto

con Cecilia Trinci

Ascoltiamo una canzone dal titolo Il Conforto, parola di cui abbiamo molto bisogno in questi giorni dolorosi di guerra tra Ucraina e Russia.

dalla strofa evidenziata troviamo ispirazione:

Testo Il Conforto

Se questa città non dorme
allora siamo in due
per non farti scappare
chiusi la porta e consegnai la chiave a te

Adesso sono certa
della differenza tra prossimità e vicinanza
è… nel modo in cui ti muovi
in una tenda in questo mio deserto

Sarà che piove da luglio
il mondo che esplode in pianto
sarà che non esci da mesi
sei stanco o hai finito i sorrisi soltanto
per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e occhi bendati su un cielo girato di spalle
la pazienza, casa nostra, il contatto e il tuo conforto
ha a che fare con me
è qualcosa che ha a che fare con me

Se questa città confonde
allora siete in due
per non farmi scappare
mi chiuse gli occhi e consegnò la chiave a te
adesso sono certo
della differenza tra distanza e lontananza

Sarà che piove da luglio
il mondo che esplode in pianto
sarà che non esci da mesi

sei stanco o hai finito i sorrisi soltanto
per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e occhi bendati su un cielo girato di spalle
la pazienza, casa nostra, il coraggio e il tuo conforto
ha a che fare con me
è qualcosa che ha a che fare con me

Sarà la pioggia d’estate o
Dio che ci guarda dall’alto
sarà che non esci da mesi
sei stanco o hai finito e respiri soltanto
per pesare il cuore con entrambe le mani mi ci vuole un miraggio
quel conforto che ha a che fare con te
quel conforto che ha a che fare con te
per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e tanto tanto troppo troppo troppo… troppo amore.

(Tiziano Ferro, Emanuele Dabbono)

Conversazione e condivisione molto intensa.

Il fuoco e il vento di tramontana: Tina Conti

Il vento di tramontana e i fuochi nei campi – di Tina Conti

Questo pomeriggio, completati i lavori programmati, ho acceso il fuoco nel camino e sono andata al tavolo per scrivere due righe.

Ieri al mattino, mentre salivo per il vialetto vicino all’orto dove il contenitore del compost trasforma gli scarti per il concime, ho pensato che avrei  dato fuoco facilmente alle potature degli olivi, cosi i campi riordinati si potevano passare con il tagliaerba ..sono partiti due grandi fuochi, lingue alte e svettanti mosse dal vento freddo di tramontana. Lo scoppiettare e crocchiare del fuoco si e’ fatto sentire quando ho aggiunto un ramo verde di alloro.

Il profumo si e’ presentato subito, insieme a una folata di vento fumoso.

Ho messo a punto strategie efficaci per far partire il fuoco all’esterno.

Raccolgo pine e pezzetti di scorze di legno, coccole di cipresso e le impacchetto con fogli di giornale, curando l’avvio, con pazienza, la fiamma si alza e si propaga al cumulo .aggiungendo pian piano i rami tagliati, in poco tempo il fuoco diventa potente e gagliardo.

Nei campi in questo periodo e’ necessario liberarsi delle frasche di potatura.

Si vedono girando lo sguardo sul territorio pennacchi di fumo sparsi ovunque. Rispettando le indicazioni  e le regole territoriali è ancora possibile adottare queste pratiche per liberare i campi.

Adoro  fare il fuoco, guardarlo, accudirlo, domarlo.

Ricordo il grande camino di nonna Cesarina nella grande casa del Monastero  che ci accoglieva alla sera riscaldandoci d opo una lunga giornata all’aperto.

Le guance si accendevano, le mani arrossate e screpolate avevano un po’ di refrigerio, ai bambini dopo cena  toccavano anche delle chicche: fette di mele secce ,noci, fichi secchi e un bicchiere di acquerello.

Che bevanda prodigiosa, non so cosa darei per un sorso di quel nettare.

La cosa che mi  piaceva tanto del fuoco erano i profumi che si sprigionavano.

Mi capita anche adesso di riconoscere gli odori della legna bruciata.

Non mancava mai pero’ nella cucina della nonna quel padellino con il lungo manico dove sulla fiamma vivace venivano cotte le nostre frittate, una per ognuno, gonfie e morbide che ci facevano saltare di gioia.

E poi che goduria il fuoco dello scaldino nel letto che fumava vapori di freddo.

Non si voleva mai che ce lo togliessero, ci ripagava di tutto quel freddo che nei campi per la raccolta delle olive si pativa di giorno.

Il veggio  o scaldino di coccio oppure di metallo, veniva preparato con sapienza 

Il fuoco doveva scaldare, durare, non bruciare.

Sopra i tizzoni immersi nella cenere, si spargeva ancora un velo protettivo di cenere e si infilava nel letto appeso al trabiccolo.

Il fuoco che scoppietta: Nadia

IL FUOCO di Nadia – di Nadia Peruzzi


Il fuoco, motore decisivo nell’accelerazione dello sviluppo umano e oggetto di dibattiti accaniti fra i primi filosofi della storia dell’umanità, nei miei primi anni di vita era una semplice, ma utilissima fiamma che cercava in tutti i modi di farsi vedere e sentire da dentro la cucina economica,  strumento essenziale nelle case di allora.
Era un fuoco ristretto e costretto da quei cerchi di ferro, con un suono più o meno scoppiettante a seconda del tipo di legna che ci si metteva.  Un suono particolare venato di sfrigolii che facevano da contraltare al sobbollir lento dei fagioli che spesso la nonna cucinava.
Il fuoco è famiglia, per me.
Racconta di calore , e di una tavola apparecchiata attorno a cui ritrovarsi, parlare, mangiare mentre una vecchia radio trasmetteva notizie con la sua voce un po’ gracchiante e le canzoni erano cantate da ragazze con le passate e le cinture di stoffa attorno a vitini che avevano l’obbligo di essere di vespa. Non potevi vederle attraverso la radio , potevi immaginarle visto che le ritrovavi prima o poi in qualche rotocalco di allora.
Sarà per questo collocarlo in questa dimensione domestica, che quando penso ad un fuoco un po’ più grande e libero di mostrarsi tale,  l’immagine che subito si fa strada è quella di un bel camino con la parete annerita , dei cuscini bassi e colorati lungo le sedute , con la cenere ancora viva e pronta a riprendere forza in qualsiasi momento.
Quando mi è capitato di partecipare a qualche vendemmia poi si finiva li, ad occhieggiare quelle fiammelle che poi diventavano fuoco impetuoso e braci ardenti. Fin troppo caldi davanti e tutti con le guance rosse, freddi alla schiena,  ce ne stavamo li a guardare le scintille che si rincorrevano e quelle grandi griglie piene di bontà da leccarsi i baffi.
Spesso era tutto un fuoco , perché anche la cucina economica era in funzione, con attorno le donne che davano gli ultimi ritocchi alla salsa per i crostini e al sugo di carne che diceva mangiami.
Gli uomini arrivavano dopo aver sistemato all’esterno, accaldati e con le mani ancora appiccicose per la tanta uva toccata.  Qualche gallina impertinente arrivava fino alla porta di ingresso per farci sentire un coccodè a cui nessuno prestava ascolto.
Si pensava ad altro.
La tavola era già apparecchiata , lo sguardo di noi bambini vagava fra pane casalingo e olio bono e formaggio pecorino , non disdegnando un’occhiata vogliosa verso l’acquerello in bella vista nella nostra parte di tavolo.
Era la tavola di una festa. Una festa scoppiettante, vivace, vitale. Una festa di comunità.
Il grande camino non mancava di far sentire ogni tanto anche la sua voce.