Il fuoco e le scintille: Simone Bellini

FUOCO – di Simone Bellini

Crepita nel caminetto il fuoco

Diffondendo chiarore

Scoppiettano scintille

S’inseguono per gioco

Alimentate da un dolce calore

Fiamme  ‘si belle

Rapiscono gli occhi

Tornano alla mente

Incanti di mille novelle

ardono dentro, il resto è niente.

Volti dimenticati

Riaffiorano nella penombra

Sorridono si commuovono narrano

Si abbandonano gli occhi al tuo tepore

E tutto quel che sembra scompare.

I fuochi di S. Antonio: Carmela De Pilla

I fuochi di S. Antonio – di Carmela De Pilla

Già da qualche giorno c’era aria di festa in paese, i ragazzini e i più giovani erano quelli che si divertivano di più, le loro voci portavano allegria per le strade del paese che fino a poco prima sembrava dormisse, per vincere la gara dovevano procurarsi molta legna perché il falò risultasse il più grande e il più bello così partivano in gruppo e tra una risata e l’altra bussavano a tutte le porte per racimolare quanta più legna possibile.

-Andiamo da Senza nas, lui ha il bosco chissà quanta ce n’ha!

I più piccoli scoppiarono in una risata fragorosa e non si accorsero che il povero Senza nas era sulla porta, ma lui era ormai abituato a quel nomignolo che gli stava appiccicato addosso da generazioni e non se la prese più di tanto anzi donò una carriola piena di legna già pronta sulla soglia.

Avevano lavorato fino a tarda sera e c’era abbastanza legna per fare un grande falò, tutto era pronto per la festa di S. Antonio  e l’indomani, 17 gennaio, si sarebbero radunati dopo il tramonto nella piazzetta del rione.

L’attesa per il grande evento aveva portato in ogni casa un’atmosfera particolare, tra il sacro e il profano e ognuno trascinato da un intimo desiderio di allegria si avvicinava alla grande catasta portandosi dietro la propria sedia  e qualche coperta.

Gli uomini avevano completato con maestria il lavoro e dopo che le donne e i bambini si erano accomodati in cerchio intorno al grande cono, avevano dato fuoco alle fascine partendo dal cuore, all’improvviso giochi di luce incominciarono a danzare nell’aria, scintille scoppiettanti si rincorrevano scherzosamente e qua e là nel cielo della notte s’intravedeva il chiarore giallo-arancio delle fiamme che si liberavano verso l’alto. Un turbinio di voci, di risate, di gesti s’insinuava tra i presenti trascinandoli in una spensieratezza quasi dimenticata, quel rito che si ripeteva tutti gli anni li univa, non c’era distinzione tra il ricco e il povero quella sera perché il fuoco apparteneva a tutti, per una notte erano tutti uguali.

Come d’incanto arrivavano le note di una fisarmonica e un gruppo di anziani intonavano una canzone, il ritmo diventava sempre più incalzante così altri si univano al coro e i più intraprendenti si lasciavano andare nel ballo cadenzato della pizzica, un trionfo di allegria era entrato nei loro cuori e nessuno pensava più alla malasorte, l’inverno stava per finire e l’arrivo della primavera faceva sperare in un raccolto più abbondante e metteva di buon umore tanto più che il carnevale era alle porte, come diceva il detto “S. Antonio, maschera e suono”.

Quelle fiamme bruciavano le sofferenze, le delusioni dell’anno appena passato e tutti si preparavano a cacciar via gli aspetti negativi della stagione fredda e quindi della vita con una grande voglia di rinnovamento…

I bambini si erano accovacciati ai piedi delle nonne che si dilettavano a raccontare le fiabe, quelle stesse che anch’esse avevano ascoltato dalle loro mamme e intanto mani grandi e stanche s’intrecciavano amorevolmente con quelle piccole e cicciottelle e una piacevole armonia s’infiltrava tra loro mentre in un angolo della catasta qualcuno abbrustoliva i ceci nella sabbia rovente con grande piacere di tutti.

Il fuoco, principe assoluto di quella sera, continuava a scoppiettare fino a notte inoltrata e a poco a poco ognuno ritornava a casa con la propria sedia ebbro di gioia, i più coraggiosi aspettavano che lentamente si addormentasse fino a diventare cenere raccontandosi storie di fatti quotidiani.

L’indomani avrebbero saputo il vincitore della gara perché più grande o più accogliente, ma ogni fuoco rimaneva  per tutti simbolo di rispetto, di amicizia e di buon auspicio.

Ancora oggi la luce del fuoco custodisce gelosamente questo antico rito che si ripete a dispetto di una vita moderna che tenta di dimenticare.

Il fuoco delle paure: Patrizia Fusi

Il fuoco e il fantoccio – di Patrizia Fusi

Quando ero piccola nel borgo dove abitavo, si fece una festa.

Prepararono dei festoni con delle lunghe corde dove incollarono dei triangoli di carta velina di tutti i colori, che misero attraverso la strada legandoli dalle finestre delle abitazioni agli ulivi del campo di fronte, formando cosi un tunnel colorato e festoso.

A noi bambini tutti questi preparativi  piacevano: vedere le donne mentre formavano come per magia quelle roselline di carta crespa di tutti i colori, mentre noi continuavamo i nostri giochi.

 Fu fatto anche un fantoccio di paglia a forma di uomo vestito con pantaloni, giacca e un cappellaccio a falda larga.

 Le donne abbellirono le loro finestre con quelle roselline di carta crespa colorata formando dei disegni, ad una finestra c’era una falce e un martello fatto da roselline rosse (per me senza nessun significato a quel tempo)

 Il giorno della festa in mezzo alla strada alla fine dell’edificio fu fatto un cumolo di fascine di legna, dove fu posizionarono il fantoccio.

 Noi bambini la sera eravamo tutti fuori in attesa che venisse bruciato il fantoccio con tante altre persone, l’aria era tiepida.

Quando gli dettero fuoco tutto si illuminò intorno a noi, la fioca luce del lampione all’angolo del fabbricato dove ci radunavamo nelle serate estive sparì per l’intensità delle fiamme del falò.

Il crepitio che facevano le fascine nel bruciare veniva accompagnato dai canti degli adulti a dalle nostre grida festanti alla vista delle fiamme, le scintille saltavano come piccoli coriandoli di luce.

Quando le fiamme si abbassarono alcuni uomini iniziarono a fare dei lunghi salti da una parte all’altra delle braci rimaste, noi bambini guardavamo con meraviglia, continuammo a giocare mentre gli adulti cantavano e parlavano fra loro.

Il gruppo della festa piano piano dolcemente si spense come il fuoco e ognuno tornò alle  proprie abitazioni.

Gli adulti dando fuoco al fantoccio avevano cercato di bruciare le proprie paure.

In questo periodo il fuoco che non riesco a togliermi dalla testa sono le immagini di case che bruciano in Ucraina, dietro ogni casa una storia una vita.

Pazzia dell’essere umano.


Il fuoco passione: Stefania Bonanni

Il fuoco – di Stefania Bonanni

Il fuoco non esiste. Va cercato e voluto, come un desiderio che viene dal profondo e non si può evitare. È affascinante, caldo, suadente, infiamma e rasserena. È pericoloso, come tutto quello che nasce dentro e trascina, consapevoli, ma incapaci di resistere. Non si può distogliere lo sguardo, dalla fiamma che ipnotizza. Accendere un fuoco è scatenare una forza immensa, è avere potere, perché da solo il fuoco non esiste. Per nascere, per esistere, ha bisogno di inghiottire qualcosa che si lasci bruciare, nel deserto non c’è fuoco. Per crescere, lascia ceneri.

Il fuoco è rosso, come il sangue, come il cuore. È il sangue che scorre nelle vene al centro della terra, tra i sassi. Nacque dai sassi e forse dalla curiosità di qualcuno che sarà sembrato matto, quando per giorni e giorni, accovacciato nella grotta, continuò a strusciare sassi l’ uno contro l’altro, e non sapeva cosa cercava. Poi, una scheggia di sole, o forse la coda di un fulmine, ma non c’ era il temporale. Da allora la notte non fu più solo buio, ed il buio non fu più un destino. La curiosità del matto aveva inventato stelle private. Da quel momento ognuno ebbe la sua stella privata. Quella che rischiarava la grotta ed intorno alla quale sedevano i cuccioli aspettando di mangiare.

Il fuoco ha creato il focolare, ed il focolare la casa, la famiglia. Nella notte quando vedo luci in lontananza, penso che sia una cucina, che qualcuno sia intorno ad un tavolo, davanti ad un piatto cucinato sul fuoco, o con le mani vicine ad altre mani, aperte sul piano del tavolo, davanti a un camino, insieme per parlare, per guardarsi, mentre gli occhi luccicano di scintille che volano in alto e si riflettono, moltiplicandosi, negli occhi e nei ricordi.

Fuoco è passione. L’amore è passione. Il fuoco è amore. Tra amati, amanti, genitori, figli, nipoti, amici. Per lavorare, leggere, scrivere, sognare, cucinare, giocare, sperare, vivere, ci vuole passione.  L’esempio di giornate vissute con passione è eredità preziosa. Si rischia molto, si vive.

Il fuoco benedetto: Anna Meli

FUOCO BENEDETTO – di Anna Meli

            Sabato Santo. Sono circa le 23 e noi stiamo andando verso la chiesa. E’ un buio veramente nero e la strada in salita. Abbiamo solo una piccola torcia ad illuminare i nostri passi. Il vento fresco ci accarezza il volto trasmettendoci profumi di erbe e fiori primaverili. Passo dopo passo siamo arrivati.

            La chiesa è affollata di gente che partecipa ad alcune letture preparate da un gruppo cui seguono riflessioni, preghiere e canti in un clima di grande serenità. Fuori, al lato della chiesa, c’è un ampio spazio dove è stata preparata una piccola catasta di legna e arbusti secchi, è lì che mio marito accenderà il fuoco. Lui vorrebbe che raggiungessi gli altri, ma io mi rifiuto con la scusa di tenergli compagnia e poi… la notte è magica e ti avvolge come un abbraccio e ti senti straordinariamente viva!

            Un po’ di carta, un accendino, un soffio di labbra e il fuoco si accende, prima timido e dubbioso poi, più vivace e crepitante, si alza verso il cielo in lingue danzanti e faville che si dissolvono velocemente lasciando il posto ad altre in un gioco continuo. Il mio sguardo stregato da quella scena si sposta all’immensità del cielo, alle migliaia di stelle che risplendono come tanti piccoli fuochi lontani e mi stringo a mio marito. Ci sono emozioni che si esprimono solo in silenzio di fronte a tanta bellezza!

            La gente sta uscendo dalla chiesa insieme al parroco in ordinata processione: ognuno ha in mano una candela spenta, il parroco il cero pasquale. Ancora preghiere e canti poi a seguire la benedizione del fuoco culminante con l’accensione del cero. La fiammella brilla vivace, candele si accostano prendono fuoco ne accendono altre ed è un tripudio di piccole fiammelle. E’ una notte di luce che riscalda il cuore!

            Ora tutti si dirigono in chiesa, rimasta la buio, a seguito del parroco che innalza il cero pasquale. Le candele vacillano, qualcuno inciampa, ma non c’è la minima possibilità di cadere tanto siamo stretti e vicini.

            Un attimo ancora e la luce centrale si accende mentre il suono dell’organo si mischia con quello festoso delle campane annunciando la Resurrezione. Ognuno spegne la propria candela che viene riposta per l’anno a venire mentre il cero viene collocato sul candelabro.

            Questo avveniva fino allo scoppiare del covid e spero che si ripeterà ancora, anche se il fuoco verrà acceso da altri. Sentirò comunque in quel momento vicino a me una presenza amorevole. Guarderemo ancora il fuoco e le stelle insieme.