di Cecilia Trinci
Anche se i “Regali” non sono stati ancora tutti inviati (perchè le Matite sono così, chi arriva prima, chi dopo, chi ha impegni e rimanda, chi si riduce all’ultimo minuto….e ormai le conosco tutte e ci sorrido, su tutte queste modalità) mi sento di farvi anche io un regalo.
Pagine dolcissime queste su questo “gioco”, inattese, nonostante mi sia abituata alle vostre sorprese. Quelle spinte a scrivere che ora chiamiamo “giochi” voglio che restino così, quasi carezze non troppo impegnative, un sussurro in un orecchio, per ricordare che il cuore non è solo un muscolo, che i nostri incontri non sono abitudini, che vedersi e cercarsi non è obbligatorio.
Qualcuno ha detto che per conoscere noi stessi occorre il confronto con gli altri, come se la nostra immagine ci apparisse dall’impronta che lasciamo su chi ci sta accanto, da come ci aiutano, loro, a vederci. Nessuno più di me ne è convinto: il confronto, l’incontro ci fa specchio, ci rende consapevoli, oltre che “non soli”.
Non è stato facile raggiungere Rossella, trovarla attraverso i rovi che lei stessa ha per tanto tempo messo a sua “difesa”, come dice Nadia e come ognuno di noi può confermare. Ma nessuno, in questo gruppo è facile da trovare, comprendere senza sapere tutto della sua vita. Abbiamo condiviso profondità da abissi oceanici. Questo unisce.
Vorrei regalare a Rossella un paio di occhiali rosa. Ieri mio nipote piccolo si è messo i miei occhiali da sole e mi ha chiesto “perché ti vedo nera, nonna?” Ecco io vorrei trovare occhiali con le lenti rosa perché Rossella si guardasse intorno e un paio di forbici da giardino per potare i rovi dietro cui si nasconde. Un rossetto fucsia per camminare al sole e essere orgogliosa di sé.
Vorrei regalare a Carla un sacchetto di biglie di vetro, per giocare come fossimo tornate bambine in un giardino della mia infanzia. Vorrei giocarci a “campana” e a palla prigioniera come facevo da piccola con una certa Gianna, che non ho più rivisto e che cerco da 60 anni.
Vorrei regalare a Carmela una gonna a ruota di seta blu perché indossandola facesse volare la stoffa e il blu in un girotondo felice, confondendo passato e presente, e vorrei che anche il suo collegio si colorasse di blu, e con quella gonna ci potesse tornare a volare, lungo i corridoi, cantando canzoni antiche.
Vorrei regalare a Sandra una chiave che apra tutti i cassetti e che da uno di questi saltasse fuori, come una magia da prestigiatore, la potenza dei suoi anni più belli. La chiave dovrebbe aprire anche gli altri dove ha riposto il suo passo veloce, l’ottimismo, lo sguardo sereno e i capelli rossi del primo giorno.
Vorrei regalare a Stefania un bastone nodoso di legno di faggio. Di faggio era la camerina di mia figlia, un legno chiaro, solido, ottimista, costruttivo e sereno. Il legno delle foreste con le foglie dentellate, profilate, gentili. Il legno delle foreste abruzzesi, di gente generosa e sincera, che sa ascoltare e capire e ricambiare qualsiasi piccolo piacere con sorgenti di riconoscenza e calore.
Vorrei regalare a Gabriella un cappello di paglia, con ampie tese, piene di ogni bellezza: veletta, uccellini, frutta rigogliosa e colorata, perché so che la sua enorme femminilità reggerebbe il peso di decorazioni mai troppo cariche per lei. Una donna con tante donne dentro, misteriose e sconosciute, una matrioska di donne emozionanti e passionali. Una veletta per l’educazione, uccellini per il suo canto in gabbia, frutta per la passione che nasconde.
Vorrei regalare a Tina il cestino da lavoro di mia nonna, con le forbici da ricamo di gusto liberty, gli aghi di tutte le fogge per ogni tipo di filo e per cucire qualsiasi stoffa, vera, cercata o inventata, aghi per seta volante, aghi per lana amorosa, per canapa grezza, per lenzuola di lino, per tende, o per attaccare bottoni e ferite aperte, per cucire dolori o paure, per ricomporre fratture, per costruire ponti e case e villaggi e piccole tane sicure.
Vorrei regalare a Patrizia una finestra sul mondo, senza tende, dove soltanto affacciandosi, potesse vedere sentieri e case, ponti e oceani, città, storie passate, prati e spiagge, grandi famiglie riunite e panchine con mamme e vecchi, con bambini e passeggini, e con tutti e a tutti lei parlasse di pace.
Vorrei regalare a Nadia una macchina del tempo perché potesse passeggiare in su e in giù per la sua storia rivivendo a suo piacere qualsiasi attimo o periodo della sua vita, viaggiando in un luogo dove è difficile andare senza un biglietto speciale. Con la sua valigia minimale, con le carte su cui ha segnato i punti più importanti, con il suo sorriso rarissimo e le sue lacrime ancora più segrete. Ma con l’obbligo di tornare sempre perché la vogliamo qui.
Vorrei regalare a Vanna un diario con la copertina verde prato e una penna d’oca del Giardino delle Esperidi perché ci racconti chi è, chi vorrebbe essere, e, da esperta di ascolto, si dedicasse a se stessa e alla gioia di una vita lucida, “verde” di fiori e di erba bagnata, profumata di fieno e di mare.
Vorrei regalare a Simone un megafono per raccontarci, a tutta voce, davvero Firenze, in tutti i modi e in tutti i cieli, in tutte le ore e con tutti le stagioni. La “città più bella del mondo” come sempre ci dice e un piedistallo su cui potesse salire per sovrastare la media dei cantori e dei narratori. Da lì tutti lo ascoltaranno. Anche lui stesso si ascolterà.
Vorrei regalare a Mimma una collana di perle. Bianca come la sua anima bimba, ogni pallina un desiderio realizzato e primo fra tutti tornare a ridere di pancia, con la testa indietro, gli occhi brillanti e la sua curiosità saziata, con la generosità nelle mani. Il suo ridere senza invidia, senza conoscere malizia, senza rimpianto, senza paura del futuro. Il ridere dell’amicizia non contaminata dal dovere.
Vorrei regalare a Anna una lampada a petrolio di mio nonno. Un oggetto raro, antico, molto bello, che illumina con discrezione, che sta su un tavolo di legno massiccio come la sua storia, che rischiara la via davanti a noi, per andare sempre, per non fermarsi, ma con garbo, con delicatezza, con l’immortalità di un oggetto d’arte che viene dalla vita vera, vissuta, dalla vita guadagnata.
Vorrei regalare a Lucia il mio mazzo di tarocchi perché sono immagini simboliche dipinte, sono personaggi e segni, numeri e presagi. Sono carte piene di anni e anni di divinazione fatta di buon senso e fantasia, di ascolto e sostegno. Sono ciò che resta di tante storie, racconti e cammini. Sono lo sguardo vicino e quello che si ha.
Vorrei regalare a Laura la mia piramide di cristallo. Spande intorno una luce multipla, prismatica, che si divide in mille linee colorate, ognuna va per la sua strada, toccando e tornando indietro. Il centro resta immobile, osservatore, dispensatore di un sicuro punto di vista incrollabile. Il cristallo pieno di minerali, ma purificati da un fuoco vivace, che trasforma gli spigoli in luce.
E a chi ci ha lasciato per vari motivi regalo le nostre parole e il mio ricordo grato.