I guanti – di M.Laura Tripodi
Non amava i guanti. Come i cappelli le ricordavano la signora Regina, benestante della posta accanto che non sarebbe mai uscita senza quegli accessori.
Quando la vedeva apparire nello specchio della porta i suoi occhi si riempivano di stupore: la signora era sempre molto elegante e lasciava dietro di sé una scia di profumo che poco aveva a che vedere con l’odore del sapone con cui sua madre la strofinava energicamente.
Guanti e cappello rappresentavano simboli di un mondo diverso e sconosciuto.
Irraggiungibile.
Invece no.
FORSE NO.
Forse fu per quello che crebbe con una gran voglia di bello, con un gran bisogno di eleganza, con l’entusiasmo di dover raggiungere obiettivi apparentemente impossibili.
Non volle guanti nemmeno il giorno del matrimonio. Eppure era un gran freddo!
Semplicemente non ci aveva pensato e stranamente nessuno glielo aveva suggerito.
Poi accadde che durante una lunga passeggiata sulla neve fu sorpresa da una tormenta.
Aveva le mani intirizzite e quasi non riusciva più a stringere i bastoncini.
Una sua amica, sempre prudente ed equipaggiatissima, le prestò un paio di North Face.
La sua antipatia per i guanti non se ne andò però rimase la riconoscenza per quel tiepido involucro che non fu mai restituito alla legittima proprietaria.
Guanti che proteggono, ma impediscono il tatto
Guanti che rappresentano un mondo antico di feste luminose e gran bella gente.
Guanti da lavoro simbolo di fatica
Guanti da chirurgo simbolo di vite salvate
Guanti da armatura
Guanti di una vecchia pubblicità: Petrus Boonekamp, l’amarissimo che fa benissimo.
L’immagine era quella di un pugno inguantato nell’acciaio che si abbatteva violentemente su un tavolo.
Niente a che vedere con i guanti di velluto della signora Regina.