Vivere come una piuma – di Laura Galgani

Le piaceva moltissimo lavorare ai complicati strumenti di bordo volteggiando da una consolle all’altra così, senza peso, con le gambe tirate su, in orizzontale, come se stesse galleggiando su un fluido invisibile.
Gli anni di studio, poi di duro addestramento, si erano condensati in un modo di essere che faceva parte di lei con naturalezza. Conoscenza e volontà si erano fuse insieme e la sostenevano in ogni istante. E poi c’era l’amore. Quello per la più piccola particella e quello per l’infinito, che da lassù sembrava di poter abbracciare.
Pensava a sé stessa come ad un minuscolo granello di polvere, insignificante eppure prezioso. Stava lassù, nella stazione spaziale, a studiare procedure e a svolgere esperimenti, con un entusiasmo che solo da bambina aveva provato, giocando con tutto ciò che trovava, in soffitta o in giardino.
Fin da allora trattava ogni oggetto, pianta, animale, con la leggerezza di una piuma portata dal vento che all’improvviso si stanca e si posa, senza ferire. Sentiva di portare in sé qualcosa di ogni creatura e tutte le parevano animate da un soffio, da una luce.
Tenacia e pazienza l’avevano portata fin lassù. Fra i riccioli biondi teneva ancora tre piccoli fermagli a pinza di quando era adolescente, con buffe facce di orsetti e uccellini che facevano capolino fra un ciuffo e l’altro. Si sentiva ancora un po’ ragazzina, in fondo. Anche dentro alla goffa tuta che indossava durante le passeggiate nello spazio. In quei momenti solo un filo la teneva legata alla stazione spaziale, alla vita, paradossale e normale al tempo stesso, che si era scelta.
L’ultima volta che si era lanciata nel vuoto aveva pensato per un attimo che in fondo sarebbe stato bello se il cavo non avesse retto; si sarebbe lasciata andare e avrebbe potuto nuotare nello spazio, fluttuare e rotolarsi fra le stelle sopra di lei, sotto e ovunque. La Terra lì davanti a lei ancor più bella, azzurra, l’avrebbe amata ancor di più, e si sarebbe data con un ultimo slancio al suo abbraccio materno. Poteva esserci un modo più bello di morire?
Il sole balenato all’improvviso da dietro la Terra l’aveva riportata come con uno schiaffo alla sua parte più razionale. Aveva completato rapidamente la procedura di reset di alcuni strumenti e aveva dato l’ok per il rientro.
Quella notte sia era addormentata senza paura, perché aveva intuito che non era mai nata e mai sarebbe morta, che tutto esisteva in lei come nell’universo, che niente aveva inizio e niente aveva fine, che tutto ciò che è, è perfetto e continuamente si trasforma. Almeno nel precario istante dell’intuizione.

