LA NORMALITA DEL MALE – di Roberta Morandi

Un gusto amaro, un torchio allo stomaco, come se avessi evocato chissà quale schifezza ed invece ho solo pensato alla cattiveria, quella in astratto, non concreta e tangibile, ma quella impalpabile e talvolta fumosa, quella che ti si appiccica addosso come il fumo di sigaretta che non te lo togli più.
Ed eccola lì, ce l’hai davanti e la vivi tutti i giorni, anzi ci convivo. È fatta di attimi, di quando ci rimani male di qualcosa e ti scatta subito un senso di cattiveria: che ti hanno fatto? Che vorresti fare? Quello mi ha guardato torto, cosa gli ho fatto? Cosa ho detto? Perché? Cattiverie. Mezze parole, parole non dette e dette sottovoce per non farle sentire, dette ad altri e non davanti, perché? Parole cattive? Senza dubbio cattiverie. Cattiverie di tutti i giorni che cattiverie non sono e mai saranno vere cattiverie.
Eppure…un pensiero s’insinua.
Siamo tutti cresciuti all’ombra delle cattiverie, queste parole che fin da piccoli ci siamo sentiti ripetere 10, 100, 1000 volte in varie modalità per 10, 100, 1000 occasioni:
non fare il cattivo/a!
Se continui a fare il cattivo/a
Se mi fai arrabbiare sei cattivo/a
Brutto/a cattivo/a
Sei stato proprio cattivo/a
Ci portiamo appresso questo fardello di aura cattiva ed ogni volta cerchiamo di colorarla e camuffarla, non per nasconderla agli altri ma per non vederla noi stessi perché sappiamo che non siamo così.
Ne siamo pervasi, circondati, avvolti e non per questo ci sentiamo cattivi, anzi, siamo così certi che non lo siamo che rimaniamo allibiti quando qualcuno ci dice che lo siamo.
Allora mi viene in mente il personaggio del film Forrest Gump: cattivo è chi il cattivo fa. Già. Il paragone. C’è sempre una cattiveria maggiore con cui misurare la propria.
Credo che il secolo scorso abbia avuto il suo cazzotto nello stomaco in fatto di cattiveria, anzi malvagità, a quello ci riferiamo quando parliamo di cattiveria…e poi ci assolviamo.
Allontaniamo da noi ogni forma di male sia come azioni che come pensieri, ma con le reti sociali non possiamo sfuggire, lì possiamo riversare tutte le cattiverie che abbiamo in noi e quelle del mondo, lì vengono vomitate e lì rimangono oggi, poi domani le abbiamo già dimenticate, le abbiamo affidate alla rete e così ce ne siamo liberati e non ci paiono più così cattive. È poi tutti lo fanno! Già in nome del così fan tutti ci sentiamo autorizzati e forse anche benedetti, e ci assolviamo.
Di voce in voce , piano piano, di orecchio in orecchio si installa la cattiveria sempre più detta e mai fatta apertamente, tanto che siamo sempre più pervasi, avvolti contornati dalla cattiveria che è quasi la normalità.
Quando Roberta racconta il suo retrogusto amaro delle cose
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