L’Isola

L’Isola che non c’è – di Cecilia Trinci

I vecchi di Maremma la chiamavano semplicemente  “l’Isola”. Dalla mia finestra si vede bene: un drago addormentato sul pelo dell’acqua all’orizzonte, la gobba più alta con Marciana che nelle giornate limpide fa vedere i suoi tetti illuminati dal sole.  Nell’insenatura che si nasconde in mare si indovina Portoferraio e lì si immaginano i traghetti che vanno e vengono, scambiando felicità e malinconia di chi va e di chi torna. La coda del drago si perde dietro Baratti, lasciando volare l’immaginazione. Una soffice nebbiolina sale su dal mare avvolgendola di una coperta di sogni. L’Isola d’Elba, che due sere fa, a cena abbiamo evocato in più modi, in più tempi, piena di immagini, di mandorli e mimose fiorite ora è qui davanti. Chiama in lontananza, come se salisse dal bosco un canto di sirene. Ritornano le parole scambiate a cena. Marciana, Capoliveri , Porto Azzurro, le spiagge della Biodola e di Cavoli, le prime a riscaldarsi sotto il sole di primavera, e il carcere, le miniere scure, i fiori e il mare grosso, le stradine, il vento e il carattere degli isolani. Un modo strano e stralunante di stare con i piedi in terra e in mare, la testa sempre nel vento che straccia  capelli e  idee, un’incertezza che va con le vibrazioni delle corde che battono contro i pennoni  e le reti che salgono e scendono lontano da riva, mentre gli orti si coprono di verdure aride e salate.  Marinai agricoltori o agricoltori marinai….chissà, strani, imprendibili, sempre lontani. Elbani. Un po’ folli, un po’ artisti, un po’ sognatori, un po’ giocolieri sotto la luna di mare, che non è  mai dello stesso bianco di quella di terra ferma. Una luna che si tuffa nelle pieghe del mare, quando non la vede nessuno, quando è nuova e giovane e si mimetizza nel buio con le stelle. La mattina presto l’Elba la potresti toccare da qua, diventa vicina, sembra di poterla raggiungere facendo solo un passo verso il blu. E ritornano allora le parole, i ricordi di età diverse: la supplenza di ragazza, il periodo di lavoro al carcere, le vacanze con la bimba piccola e su tutto sale dal pensiero un mare limpido, una gioia infinita, una bimba che ride con i bracciolini rossi e che mangia il gelato “puffo” sul lungomare di Marina di Campo. Una carrellata di secondi, brevi parole in cui in un attimo si avvolge tutta la vita. La bella Elba mi guarda dalla finestra, sognante sul mare di maggio.

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Il barattolo

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Il barattolo – di M.Laura Tripodi e il figlio Enrico Zanieri

Stava su quello scaffale da tempo immemorabile.

L’etichetta era sbiadita e mezza accartocciata, ma si  intuiva  che un tempo doveva esserci stata la figura di due pomodori pelati.

Nello spostare altre cose Luisa fece cadere il barattolo di latta che rotolò in un angolo nascosto del garage.

Qualche tempo dopo Marco, che cercava il suo pallone, vide il barattolo, lo raccolse, lo osservò e poi si divertì a sperimentare un lancio al di là del fossato che delimitava la strada del garage.

Passò ancora qualche anno, l’etichetta non c’era quasi più e la latta si era arrugginita.

Andrea vide il barattolo e cominciò a prenderlo a calci, così, per divertimento, come fosse stato un pallone. Calcio dopo calcio il barattolo, da quella bella forma cilindrica che aveva,  divenne una cosa informe e finalmente si fermò rompendosi contro il muro di cinta di un  orto. Ne uscì un liquido marroncino che si sparse nel terreno rilasciando un odore acre, non meglio definito.

Stava per piovere.

Caterina, impegnata nel suo jogging quotidiano, si fermò di colpo. Anche il liquido aveva cessato di uscire, ma lei rimase lì, affascinata, come se si aspettasse che da un momento all’altro accadesse qualcosa.

Intanto si era formata una macchia nel terreno. Il contenuto della lattina era penetrato in profondità e il pomodoro pelato di nonsisaquando era tornato nel suo elemento naturale, finalmente libero dopo essere rimasto conservato per più di  cinquanta anni.

Anzi, guardando meglio, su quel pezzetto di etichetta rimasto Caterina intravide una scritta:

“Pomodori  Maria Laura –  Raccolti e confezionati il 18 maggio 1952.” (M.Laura)

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Accanto al barattolo rotto adesso c’è una grande pianta di pomodori. Non ha alcun cartellino perché fortunatamente è nata libera in un campo e non ha quelle indicazioni di provenienza che si trovano nei vivai.

E’ cresciuta senza antiparassitari né fertilizzanti. Porta solo qualche inevitabile segno dell’inquinamento ambientale al quale purtroppo non ha potuto sottrarsi.

Non c’è etichetta , ma il campo e la natura sanno quando da quel liquido penetrato nel terreno si è formata la prima piantina:  17 ottobre 1977.

Forse qualcuno fra qualche anno si chiederà come mai in quel campo ci sono così tante piante di pomodori che crescono liberamente. La cosa certa è che all’origine di tutto c’è quel barattolo “Pomodori Maria Laura – Raccolti e confezionati il 18 maggio 1952.” (Enrico)