
Padre e babbo – di Nadia Peruzzi
Ti sentivo arrivare prima di vederti. Avevi un passo che avrei riconosciuto fra mille. In vecchiaia un po’ più pesante ma era rimasto il tuo, inconfondibile.
Eri un bell’uomo da giovane, e hai fatto girare la testa a tante. Hai sempre raccontato delle tue fidanzate prima della mamma, in un periodo ne avevi addirittura due contemporaneamente. Hai giocato a calcio, come portiere, di quelli con parecchia voglia e maestria ma poco fisico , tanto è vero che, per apparire robusto, ti dovevi mettere più di una maglia. Nelle foto in effetti, eri fra i più mingherlini.
Poi è arrivata la guerra che ti ha costretto in un altro mondo e lassù in montagna , nessuna distrazione era possibile, ne andava della vita. Anche se come Astro , il tuo nome di battaglia, non ti sei fatto mancare, tu operaio metalmeccanico, belle chiacchierate con il Prof Ramat a suon di versi dei Sepolcri del Foscolo, di filosofia e del mondo del futuro per cui combattevate fianco a fianco.
Quanto ti piaceva la poesia. Leopardi sopratutto. Quando in casa c’era solo la radio, a fare compagnia erano le letture di versi di Leopardi e di Garcia Lorca. La tua bella voce suonava bene, cadenzata, accompagnando i versi. In seguito, con i primi dischi a 45 giri fu Arnoldo Foà a prendere il tuo posto. Declamava “Alle cinque della sera” di Lorca in una maniera che non scorderò mai! Ma non ho mai scordato nemmeno le tue letture appassionate .
Belle mani, capelli scuri. Solido nell’aspetto, e anche in principi e valori. Eri capace di orientarti subito, senza esitazioni, nelle situazioni più complicate e in politica, la grande passione della tua vita.
E’ una qualità per cui ti ho sempre ammirato e di cui per fortuna qualcosa mi è arrivato. Lo considero un dono.
Eri modesto. Hai fatto come tanti, per costrizione, cose che la letteratura racconta come appannaggio degli eroi. Eppure non le hai mai raccontate. Solo quelle che sentivi di poter raccontare come quando hai minato, insieme a Orazio Cappelli, la linea telegrafica principale della tratta fino a Roma, ma non eravate bravi abbastanza: all’inizio i candelotti uscivano fuori dai pali esplodendo, piuttosto che abbatterli come sarebbe stato necessario. Per le altre è stato pudore di racconti evitati e domande non fatte. Non ti sei mai vantato di tedeschi uccisi , né io volutamente ho mai chiesto.
La guerra per chi la pensava come te e come me oggi, era ed è la bestia che costringe a fare cose immonde e anche se sai di stare dalla parte giusta, nessun vanto è possibile.
Eri anche timido, quello tanto, visto che arrossivi anche in tarda età.
Eppure quando facevi quei comizi appassionati, senza cedimenti di voce per l’emozione, seguito sempre dal massimo di attenzione in chi ti ascoltava, non sembrava che tu fossi tanto timido.
Eri il mio babbo, il babbo degli affetti, ma da un certo punto in avanti, qualcosa in più. La mia guida e il mio punto di riferimento anche in politica. Compagno di impegno e di passioni, così come lo è stata la mamma.
Occhi talvolta severi ed esigenti, mannaggia la storia della diversità e del dare sempre il massimo di impegno in quello che si faceva! Ma anche occhi giusti, che sapevano trasmettere forza e solidità. E sapevano anche ridere .
E come ti piaceva canticchiare per prendere le distanze dalle arrabbiature spigolose della mamma. Era il tuo modo di schivare, fischiettando, e la facevi arrabbiare anche di più.
Ti piaceva vestirti bene. Elegante senza fronzoli, tendente allo sportivo, con una gran passione per i cappelli a tesa larga. Avevi gusto per le cose fini e belle. Un gusto quasi femminile per le porcellane. Eri cresciuto in una famiglia certo non ricca, ma il gusto del bello non si sposa necessariamente col denaro dei ricchi. Tornasti dal tuo primo viaggio a Londra con un servizio da dessert. Porcellana fine, che non ci aspettavamo, perché era quasi più da mamme che da babbi. Anche se le tue soste al negozio di Bartolini in via de’ Servi avrebbero dovuto lasciarci immaginare, alla mamma e a me, che eri capace anche di sorprese di questo genere. Eri unico!.