La casa sul lago (ancora dal gioco del Dòmino)

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La casa sul lago – di Mimma Caravaggi

Arrivò, posteggiò la macchina, lasciando il borsone sul retro. Non voleva prenderlo ora, lo avrebbe fatto più tardi, per ora era abbastanza agitato di presentarsi alla porta. Si accostò meglio la sciarpa al collo e finalmente bussò. La governante, che lo aveva già visto dal finestra scostando solo leggermente la tendina, era già in attesa di sentir suonare il campanello. Lo fece entrare e lui si ritrovò in questa casa rivedendola come sempre era stata, nessun cambiamento negli anni l’aveva sconvolta. Era identica a come l’aveva lasciata, persino la poltrona, di stampo vissuto, era sempre lì al suo posto. Mentre guardava con ansia e avidità girando testa ed occhi in ogni dove, ecco scendere Eva, leggera con la sua lunga coda di cavallo che, ad ogni scalino, sembrava danzare. I loro occhi s’incontrarono finalmente e si fissarono impari, ansiosi e una massa di ricordi affollò le loro menti. La governante intervenne per aiutarlo a levarsi il pesante cappotto e se ne andò in cucina  a preparare un the caldo per tutti; avrebbe sicuramente fatto bene. Lui si tenne la sciarpa  come coperta di Linus per avere qualcosa tra le mani che lo facesse sentire meno in imbarazzo. Eva è la prima a parlare: “Alfredo come mai sei tornato? Andasti via dicendo che non avresti più messo piede in questa casa. Cosa ti ha fatto tornare?” Alfredo abbassò gli occhi e con un filo di voce disse: ”I soldi”. Fuori intanto si sentiva cigolare la porta del pollaio e il suono di  passi attutiti sembravano venire dal piano di sopra. Le due donne non erano sole anche se tutto lo faceva pensare. “Come un lupo affamato ti affacci nuovamente a questa casa dopo anni di silenzio e senza alcuna vergogna chiedi dei soldi. Chi ti ha detto che il babbo è morto? E sei sicuro ti abbia lasciato qualcosa? O addirittura pensi che ti spetti qualcosa dell’eredità?” “ Eva credimi, non sono qui per me ma per la mia famiglia. Ho due figli e la piccola è malata e deve essere curata al più presto e questa è la sola ragione per cui sono qui a pregare per ottenere qualcosa”. L’istinto femminile di Eva iniziò subito ad ammorbidirsi e cercò di farlo parlare e spiegarsi. Non poteva e non voleva cacciarlo nuovamente di casa, non in questo momento. Ci sarebbero stati altri giorni per  chiarirsi e magari perdonarsi. La governante portò il tè che tutti e due in piedi sorseggiarono lentamente, guardando fuori dalla finestra. Eva per non perdere le bellezze del giardino e del paesaggio per lei sempre uguale ma pur sempre emozionante e Alfredo, con i suoi tanti ricordi che  affollavano la mente, si beava di queste meraviglie che pensava non avrebbe mai più avuto occasione di vedere.

La casa sul lago (dal Domino delle parole)

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La casa sul lago – di Stefania Bonanni

Avevano bussato alla porta della villa sul lago qualche sera prima. La governante, unica rimasta ad abitare le stanze antiche, aveva aperto con timore sporgendosi con il lume nella nebbia. Non li vedeva bene, non riconosceva i volti degli uomini davanti alla porta, ma capì bene il senso del tono perentorio con il quale le si rivolsero: non era possibile dire di no. La sera seguente avrebbe dovuto essere pronta ad ospitare una persona importante e scomoda. E che nessuno lo avrebbe dovuto sapere, nessuno. E basta. Se ne andarono strascicando gli scarponi fangosi, e portandosi dietro echi di metalli sbatacchiati.

Cominciò subito a pensare a chi potesse essere l’ospite da ricevere, ma qualunque congettura la inquietava. Lei era là, distante dal paese, da sola, a custodire una casa antica e misteriosa di per sé, non aveva possibilità né di andarsene, per non abbandonare tutto, né di chiedere che qualcuno le facesse compagnia. Fu un istinto, forse. Per prima cosa puli’. Puli’ per terra, spolvero’ la vecchia poltrona davanti al camino, sistemò la frutta in un bel cesto, tirò fuori le tazzine di ceramica inglese, perché fosse tutto pronto nel caso qualcuno volesse un the. La notte dormi’ poco. In compenso non poté farà meno di sorridere, al pensiero che si era messa a pulire. Da non credere: non si smette mai davvero di fare la serva.

Arrivò pian piano il giorno, lei resto’ sempre alla finestra, spiando ansiosa nella nebbia. Venne il tramonto, servì il lume acceso per guardare fuori. La tensione la faceva stare con tutti i sensi all’erta e fu per rinfrancarsi che si fece un the bollente e profumato. Proprio mentre lo sorseggiava, si accorse della figura massiccia di un uomo non tanto alto, avvolto da un cappottone  scuro, con la testa bassa ed una sciarpa scura a coprire quello che della faccia poteva emergere dal bavero del cappotto rialzato.

La governante strizzò gli occhi. Nulla, non lo riconosceva.

Dietro di lui, un’altra figura usciva dalla nebbia e veniva avanti nel vialetto. Sicuramente era una donna. Forse giovane, probabilmente magra, con i capelli rialzati sulla nuca. Nulla, neanche questo servì a farle venire in mente chi potessero essere. Ma non era tutto. Dietro di loro, distanti ma capaci di tenerli d’occhio, gli uomini del giorno prima. Si accorse allora, dell’auto scura nascosta dietro la siepe. Sicuramente l’avevano spinta a mano, perché non c’erano stati rumori.

L’uomo col cappotto, il primo della fila, bussò. Un solo colpo, secco, ma imperioso. La governante aprì, ed entrarono lui e un gran gelo. Non sembrava neanche più primavera. Non era il freddo: era paura, o, se fosse possibile, qualcosa di peggio della paura.

Non parlo’ nessuno, entrarono tutti ma non fecero caso alla pulizia, né alla frutta nel cesto, né alla poltrona davanti al fuoco.

L’uomo col cappotto rimase  in piedi, al centro della stanza, e si capì che aspettava una risposta che poteva essere la vita, nonostante sembrasse già morto.

La governante ora li vedeva bene, alla luce delle fiamme del camino. Vedeva che era sporco e fangoso, che non si cambiava, e lavava, e radeva, sicuramente da tempo. Era intirizzito e legnoso come un pezzo di quercia marcio, dava l’impressione di potersi sbriciolare da un momento all’altro.

L’aveva riconosciuto, adesso. Con terrore, l’aveva riconosciuto.

E anche la donna con lui, che si era sciolta i capelli e seduta nella poltrona davanti al fuoco.

“Posso pagare. Vedrai, con i soldi si compra tutto, quelli nella borsa in macchina basteranno. “Bisbigliò l’uomo col cappotto vicino alla poltrona. Lei disse, ancora più piano: “ho gioielli e diamanti, addosso” “Non voglio ti tocchino, nascondili” Con un gesto minimo e velocissimo, come se si rassettasse la gonna, tirò fuori un sacchettino che sparì rapido sotto al cuscino della vecchia poltrona.

Fu in quel momento che si fece vicino a loro uno dei ragazzi con gli stivali fangosi ed il fazzoletto rosso con le cocche annodato intorno al collo. “Non c’è più tempo…dovete uscire”

“Ho molti soldi, vi cambieranno la vita. Lasciateci andare. Spariremo, nessuno saprà più nulla di noi”

“Non è questo che abbiamo deciso. Uscite”

La governante aveva visto e sentito, dal pianerottolo del primo piano da cui poteva vedere senza essere vista. Aveva capito che la storia si faceva in quella casa, ma che la storia ha bisogno di sangue, e non avrebbe voluto essere lì.

Portarono l’uomo col cappotto e la sua donna in giardino.

La governante non li vide più.

Quando si decise ad uscire, molto tempo dopo che fu sparito l’eco delle fucilate, tutto le sembrò a posto. Come non fosse successo.

Poi, con uno strano pensiero di faccende quotidiane, pensò di rimettere in casa la torta che aveva messo a raffreddare sul davanzale. La lasciò cadere con un urlo, quando si rese conto che quegli schizzi rossi, non venivano dai suoi mirtilli.

La casa sul lago

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La casa sul lago – di Sandra Conticini

Aveva deciso di andare a trascorrere quei pochi giorni di vacanza in quella casa ai confini del lago di Bracciano, lontano dalla città e dalla confusione. Tutto quel verde e quell’acqua, praticamente ferma,  più volte l’avevano rilassata…aveva solo bisogno di stare sola con se stessa e con i bei ricordi di quel luogo. La pace durò poco perché, a poche ore dal suo arrivo, sentì un  rumore lungo il vialetto di ghiaia e, spostando le mezze tende, vide fermarsi una macchina tutta battuta, graffiata e fangosa…non si immaginava chi potesse essere entrato dal cancello a quell’ora….

Quando aprì la porta si trovò davanti, sulle scale, un signore con il volto coperto da una sciarpa nera, malvestito e dall’odore sembrava che non si lavasse da molto tempo. Con quel buio ebbe paura e non lo riconobbe…forse era meglio se non avesse aperto….

Intanto in cucina la governante iniziò a preparare il thè con dei pasticcini, chiunque fosse potevano sempre servire.

Poi con la luce di casa vide che era lui…suo marito che iniziò a inveire verso di lei dicendo che se si era ridotto sul lastrico era colpa sua, comprava sempre scarpe vestiti borse di grandi firme, gioielli, brillanti, viaggi, alberghi a cinque stelle  e non ultimo il vizio del gioco che lo aveva rovinato definitivamente.

Cercò di rabbonirlo un po’  offrendogli il thè con i pasticcini e  una bella fetta di  torta di mirtilli con panna….la sua preferita, ma lui continuò a urlare, così lei dovette riconoscere che aveva ragione…  L’aveva sposato solo per i soldi e se ora li aveva finiti meglio trovarne un altro per farsi mantenere, non era il tipo di poter vivere in povertà…..

Lui, rosso di rabbia, andò via sbattendo la porta e urlando: – Possibile che tutto il mondo giri intorno ai soldi?

La casa sul lago

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La casa sul lago – di M.Laura Tripodi

La notte era fredda e buia. Pioveva fitto fitto e la casa era illuminata da tante piccole luci che nell’oscurità del bosco la facevano sembrare un albero di natale. L’uomo fermò la macchina, guardò verso la casa, sospirò, poi si fece coraggio e scese. Prese il borsone appoggiato sul sedile posteriore e una smorfia di dolore gli deformò le sembianze .

Si coprì il viso con la sciarpa in un gesto protettivo senza senso. Là dentro sapevano chi era e lo stavano aspettando e fuori sembrava esserci solo il nulla. Ma ecco, la governante aveva aperto la porta e i suoi occhietti curiosi scrutavano l’uomo  pregustando un evolversi goloso e succulento, come le pietanze che stavano sulla tavola imbandita.

L’uomo entrò senza salutare. Si tolse con fatica il pesante cappotto. Sul maglione  una  macchia di sangue sembrava allargarsi a vista d’occhio.  Provò a salire le scale, ma cadde pesantemente sulle ginocchia. La ragazza gli si precipitò incontro. Un odore sgradevole di poco pulito la investì, ma il sangue che intanto era colato sul pavimento la fece inorridire.

Lui la guardò con occhi innamorati e nostalgici. Stava morendo, ma aveva portato a termine il proprio compito: l’ostaggio era stato liberato e dopo lo scontro a fuoco era riuscito a recuperare anche il denaro.

Il padre di lei sarebbe arrivato di lì a poco al posto di polizia del vicino paese, accompagnato dalle forze dell’ordine.

Mentre seguiva il proprio rantolo, sempre più debole lo sguardo gli si posò e si spense per sempre su un cesto pieno di buona  frutta.

La casa sul lago (dal gioco del Dòmino)

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La casa sul lago – di Mirella Calvelli

La casa vicino al lago attendeva il suo ospite.

Sarebbe stata una serata importante quella, perlomeno per Maria, che era salita al piano superiore per rinfrescarsi. Si tolse il cappottone pesante , di un peso non dato dalla stoffa, ma dal fardello del suo passato. Si in fondo era tornata lì  per quello, per sgomitolare le trame di un “ieri”, di cui conosceva solo pochi particolari.

Si raccolse i capelli in uno chignon che la rendeva più ordinata.

Il suo viso ovale e quei capelli nerissimi, riflessi nello specchio di nonna Agata, lasciavano presagire come sarebbe stato lui.

Intanto Agnese, la governante, aveva preparato un bel cesto di frutta fresca sul tavolo del soggiorno.

L’aveva acquistata in uno dei tanti orti che incorniciavano il lago.

Anche lei era impaziente, anche lei voleva sapere…sapere di chi? Di cosa?
La sera ammantava con le sue ombre il lago e la campagna circostante, una pioggerellina sottile, mista alla fitta nebbia, sembrava salisse direttamente dalle acque.

Le stradine silenziose e scure si animarono leggermente di passi incerti che facevano scricchiolare i sassi rotondi e chiari del percorso.

Una figura esile, debolmente claudicante avanzava avvolta nella sua grossa sciarpa, trascinando  una valigia troppo pesante.

Le luci delle case intanto iniziavano ad accendersi, come piccole fiammelle di un presepe.

Anche davanti all’atrio della casa di Maria, ogni passo che si aggirava, faceva accendere il lampioncino davanti alla porta, illuminando a dovere l’entrata, anche se gli avventori erano solo cinghiali o conigli selvatici e non erano ospiti attesi. Il dovere delle luci, li faceva scappare via, creando un gran trambusto.

Agnese si spostò velocemente dalla sala da pranzo in cucina, dopo aver dato un fuggevole sguardo alla pendola all’ingresso.

Tutto era pronto, una cena semplice, ma fatta di tutti quei prodotti buoni e che la stagione regalava a chi come lei con mani esperte riusciva a preparare con poco dei manicaretti.

Ma stasera era una sera speciale. Si apprestò a preparare la sua postazione vicino al caminetto, sulla seggiolina di paglia, dove anni prima, quando Maria era piccola, si accovacciava e canticchiando con la bimba sulle ginocchia…cavallino arria arrò, prendi la strada…..

All’improvviso, si accese la luce esterna, il campanello emise il suo suono conosciuto ed Agnese andò ad aprire.

Il suo stupore fu immenso, quando la figura abbassò la sciarpa lasciandosi scoprire il volto, e…. buonasera Agnese.

I suoi occhi si sbarrarono come se avesse visto un fantasma…tu? disse flebilmente.

Sì, rispose, stai tranquilla.

Non riuscì a dire nient’altro, si voltò per chiamare Maria , che nel frattempo era scesa e si parava dietro di lei.

Eh sì stessa figura slanciata, stesso viso ovale, stessa linea e stesse ombre.

Non ci fu bisogno di aggiungere altro, Maria aveva in mano una vecchia cartolina.

Lui posò la valigia, si tolse il cappotto e si accomodò al tavolo rotondo nel soggiorno, apparecchiato.

Le voci si alternavano alle risate, alle pause, allo scalpitare delle forchette e al tintinnare dei bicchieri.

Agnese cercava di capire da dietro la porta, ma non c’era niente da capire, nulla da ascoltare.

Le loro figure avevano già parlato per loro.

Mangiarono la torta di mirtilli e bevvero il the a conclusione di quella sera, non proprio inaspettata.

 

La casa sul lago (suggestioni dal gioco del Domino)

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La casa sul lago – di Carla Faggi

Nessuno sapeva che sarebbe arrivato.

Aveva paura di essere respinto quindi non aveva comunicato il suo ritorno.

Uscito di galera un anno prima per buona condotta, Rocco camminava a testa bassa e con le spalle ricurve.

La valigia che aveva con sé era semivuota ma pesantissima di ricordi e di rimpianti.

Quanto dolore si portava  dietro e quanta vita perduta.

Un pesante fardello di momenti non vissuti gli pesava sulle spalle.

La casa vicino al lago era illuminata, sentiva profumo di cibo, di vita familiare, di serena quotidianità.

Intravide dietro la finestra una figurina leggera di ragazzina.

Era certamente Clara, sua figlia, portava ancora i capelli legati come quando era piccola, quando giocavano insieme per ore ed ore, prima che la prigione li separasse.

Voleva bussare, ma esitò, aveva paura.

Si tolse il pesante cappotto, lo piegò e poggiò sulla valigia.

Tutto il suo passato era lì.

Lo getterò, pensò, voglio riuscire a perdonarmi ed a dimenticare.

Alzò le spalle, lo sguardo fiero e bussò.

Incantesimo

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La bella addormentata – di Gabriella Crisafulli

Il giardino in letargo viene percorso solo in parte dai raggi che lo scaldano. È il momento di quella gioia verde che scandisce l’anno con feste e ricorrenze.

Il 24 marzo si è fermato tutto.

Come ne “La bella addormentata” ognuno è rimasto sospeso al suo posto in un eterno fermo immagine. Solo io mi muovo tra i personaggi, li guardo e li riguardo da tutti i punti di vista, ci giro intorno.

Il fabbro è a ferrare il cavallo rimasto con la zampa a mezz’aria, il cuoco tiene il mestolo nel paiolo circondato da pentole e marmitte fumanti, le dame siedono compunte ad ascoltare una di loro che legge intanto che altre sono nell’atto di ricamare. I cavalieri stanno sull’attenti nella sala del trono al passaggio del re che sorride benevolo, mentre la regina in giardino indica all’ancella le rose da cogliere.

 È ancora presto per rompere l’incantesimo?

Lascia che mi penta.

Lasciami pensare.

Occorre ricredersi e navigare fuori dalla bolla di gelo per traghettare altrove.

Pollice verde

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Il pollice verde – di Tina Conti
Avere il pollice verde è come avere una malattia contagiosa.
Quando si è contagiati non si guarisce più.
Con gli anni peggiora e dal pollice la malattia si estende a tutta la mano.
Si comincia con un vasino  di terracotta  con dentro una talea di geranio  dono della vicina di casa e poi non si sa dove si va a finire
Iniziano le.visite ai giardini botanici, gli scambi di semi e piante con gli altri contagiati,
Intanto la casa si riempie di piante.
Poi cominciano le collezioni: piante succulente, agrumi, ortensie ognuno secondo la passione del momento
Intanto in famiglia arrivano le minacce: se vedo ancora una pianta nuova ….ti chiudo fuori di casa.. Poi per fortuna non si passa ai fatti.
L’abbonamento alla rivista specializzata è atteso con trepidazione, quante idee, e che suggerimenti, quanti sogni….
Certo una piccola serra mi servirebbe, però se fosse grande ci starei anche a dipingere in inverno.
Un piccolo orto mi piacerebbe, ma chi mi aiuta?
Lo farò risparmiando energie.
Ma quando ho lavorato fuori poi in casa mi prende una stanchezza mortale.
L’orto vuole l’omo morto anzi la donna morta.
Credo che imparerei bene l’inglese in quei soggiorni a giro per giardini  organizzati dalla mia rivista di giardinaggio, prima o poi ci andrò.
Intanto arrivano i primi segni della primavera, la magia è già qui.

Immagine verde

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Foglia di magnolia – di Lorenzo Salsi

Affacciata alla finestra, quasi bestemmiante, Angela guardava in basso, imbelvita perché il tappetino che aveva messo sul davanzale per prender aria  era scivolato giù in strada e …… era sparito.

” Pezzi di mm…. imbecilli ma guarda te ‘sti ladri a tutto s’attaccano anche ad un tappetino consunto e vecchio ! “.

Rimuginando così rimaneva affacciata.

” Uno scendiletto di moquette pelosa e verde, …… bastardi …teste di …..”.

” Mamma icchè tu ci fai con codesta foglia sul capo tu mi pari la vestale della natura …… oddio che ridere mamma … e poi cosa dicevi teste, testardi ?” la piccola curiosa continuava a ridere fino alle lacrime. Come aveva fatto Angela a non accorgersi che quella bella foglia di magnolia le si era piantata in testa come  una penna da pellerossa, scatenando il riso della bimba.

Ursula la bambina di 8 anni aveva preso questo fatto della foglia in maniera così divertente che , come succede il suo riso aveva contagiato la mamma .

Ora erano abbracciate e ridevano.

La pagina del grano

Ivana e la “pasta madre” – di Ivana Acciaioli

Per quasi quarant’anni era stato il mio pane quotidiano, con quel pane e con quella schiacciata avevo cresciuto i miei figli. Avevo sempre pensato di essere fortunata ad avere vicino a casa quell’antica bottega di fornaio, lì avevo visto due  generazioni impastare e sfornare un pane davvero speciale,  ed adesso la terza, che l’incanto purtroppo aveva rotto. Ho cercato di capire ed anche di chiedere cosa fosse sopraggiunto a cambiare il sapore e l’aspetto che ben conoscevo,  però da quei giovani, della stessa età dei miei figli, avevo avuto rassicurazione che tutto era come prima; il mio messaggio di infelicità era caduto in un’ annoiata risposta:-Sei l’unica che trova il pane diverso.
Mi sarei voluta convincere, ma si può non conoscere il pane che mangi da quasi una vita? Masticarne un boccone e non coglierne il sapore perfetto, la consueta giusta umidità.
Avrei voluto credere, ma non vedevo più la gente che riempiva il piccolo negozio, non c’era più l’usuale lunga fila davanti al banco.
Mentre tagliavo la solita bozza toscana, la tovaglia si riempì di briciole di crosta che si frantumava in modo  improprio, provai una leggera sofferenza, pensai che magari era davvero tutto come prima ma forse non  la passione; l’amore per quella professione di famiglia esisteva davvero in quei giovani cuori?
Penso che tali ingredienti non si possono ereditare, non si cedono come un’attività, si conservano gelosamente e si tramandano solo a coloro che sono pronti per riceverli.
Negare un’abitudine è difficile, provai ad insistere ancora per mesi, poi mi offrirono della pasta madre e così mi  incamminai sul percorso del pane fatto in casa, strada difficile fatta di tentativi, prove più o meno riuscite, ma sentivo nascere in me una fragrante passione ed in bocca un sapore genuino che mi ricordava l’infanzia.

La pagina del grano

Chiara e il pane – di Chiara Bonechi

“Non si può vedere mangiare senza pane!”diceva la mia nonna. E io ho sempre amato il pane. Era la mia nonna che a merenda mi preparava pane burro e zucchero, pane e marmellata, pane burro e miele, pane e olio, pane vino e zucchero, tanto zucchero.

Semplici e meravigliose quelle merende!

Ricordo le fette di pane posate sul piatto e il piatto sul tavolo ed io seduta che mordendo e gustando quel pane condito, prima che la fetta scomparisse dalle mie mani nella  bocca, chiedevo: ”ancora nonna, preparamene un’altra!”

Non resistevo a quella delizia allora come adesso. Quando rientro col pane fresco mi affretto a tagliare il guanciale o il filone a metà e poi ancora a metà nell’altro verso perché la fetta sia giusta di misura, la adagio sul piatto, un pizzico di sale e poi l’olio, l’addento ed è quel primo morso che mi fa decidere se ho scelto un buon pane. Sì, la scelta del pane è molto importante, ci piace toscano, a lievitazione naturale, basso, croccante fuori, morbido e compatto dentro, la parte sotto liscia e magari appena incavata, sono esigente ma il pane giusto mi mette di buon umore e l’ acquisto del pane è una mia prerogativa, mio marito difficilmente mi accontenta.

Per tradizione di famiglia spendiamo volentieri del tempo a fare la coda dal fornaio. Quando aiutavo la mamma per la spesa, il pane era ordinato in un negozio di alimentari, lo compravamo solo lì e proveniva da un  forno di Bagno a Ripoli che oggi non c’è più. Capitava spesso che dovessi prendere anche quello ordinato dalla zia e dalla nonna, a tutti piaceva con le stesse caratteristiche e immancabilmente qualcuno rimaneva insoddisfatto. Quel pane del sabato mattina lo desideravamo perfetto, se giusto di altezza e di cottura sarebbe stato buono anche il giorno dopo. Il tempo è passato e il pane è rimasto importante, si sono sperimentate farine diverse, tipologie che mai avremmo immaginato. Ricco di carboidrati fa ingrassare e questo dovrebbe limitare il suo consumo, ma i forni aumentano e molti provano a farlo in casa, chi è a dieta non è certo aiutato!

Un semplice proverbio dice: ”La neve di febbraio riempie il granaio”.  Quest’anno la neve non è mancata, il grano sarà abbondante e le farine pure, i fornai avranno la materia prima per tanto buon pane.

Un uomo di oggi

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Tempi moderni – di Ivana Acciaioli

La sua mascolinità era stata messa a dura prova prima dalle tutine rosa lasciate in eredità da sua sorella che la mamma sosteneva  non potevano andare sprecate, poi dai giochi di trucco e travestimento a cui sua sorella lo sottoponeva. Forse il suo segno zodiacale lo aveva salvato ed era cresciuto duro e forte, proprio un vero torello. Però le prime due donne della sua vita gli avevano piantato nel profondo il germe della gentilezza e di un altruismo infinito. La sua scorza apparentemente dura nascondeva un animo dolce e sensibile che però teneva saldamente a freno.
Era stato educato al rispetto e alla comprensione delle necessità e bisogni del mondo femminile. Attendeva la sua donna mentre si preparava per uscire senza mostrare nessun segno di impazienza.   Amava il calcio e lo sport in genere, ma vi rinunciava mettendo al primo posto le esigenze di coppia. Si prendeva cura delle persone con grande disponibilità e in tal direzione aveva mosso anche la sua vita lavorativa.
Non aveva particolari doti fisiche ma neppure difetti, era un uomo normale, con una bellezza normale, la barba leggermente rossastra  dava al volto una nota particolare ma la cosa che lo distingueva era un dolce sorriso e le sue mani che possedevano un tocco speciale morbido e saldo insieme. Non gravava sulla sua compagna in nessun modo, si occupava da solo dei suoi abiti e delle sue proprie cose materiali, si preoccupava del pranzo , della cena e si faceva carico di varie faccende domestiche. Instancabile lavoratore cercava di guadagnare senza sprecare , il lusso che si concedeva erano delle comode vacanze in luoghi lontani poiché era curioso di realtà diverse dal proprio paese. Non amava le donne italiane, fisicamente italiane, infatti le sue ragazze erano sempre state straniere o nate in paesi stranieri come la sua attuale compagna.

Allegria

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Allegria è un modo di comprendere la vita – di Ivana Acciaioli

Allegria basta poco per trasformarla in allergia; ecco forse per questo nella mia vita  sono stata allergica all’allegria o forse solo un po’ intollerante.
Non so perché ma sono più propensa a ricordare i momenti di allergia, quelli in cui ti manca il respiro e ti si chiude il cuore, l’intasamento dei pensieri si fa opprimente e l’antistaminico si chiama antidepressivo, ma non sai come si chiama ancora e cosa sia perché hai quindici anni ed è morta la tua amica del cuore dopo un male che pensavi non potesse colpire una giovane vita, così cominci a sentirti sola e a pensare che la morte non è poi così lontana.
Non cerchi neppure  di guardare dietro di te l’infanzia, perché neppure i tuoi  primi anni dei quali dovresti ricordare solo i giochi sono stati poi così spensierati, ti sei trovata offesa ed abbandonata, hai perso la presenza della madre e hai conosciuto una nuova malattia e nuova solitudine, hai dovuto imparare a difenderti a capire che intorno non sempre trovi comprensione ed affetto.
Eppure risate e divertimento ce ne sono stati ma non li considero il mio patrimonio di allegria.
Credo di non averla saputa comunicare nemmeno ai miei figli ai quali avrei voluto dare tutto il bene del mondo.
Vorrei conoscerla bene, scoprire il suo profumo e riempirmene, il suo colore che mi dicono sia verde, sentire il suo calore e saperlo trasmettere, nutrirla nel profondo e non doverla cercare, essere libera di farmi invadere da lei senza timore.

L’ape che distribuisce miele

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Come un’ape distribuisci miele volando- di Carla Faggi

Nell’azzurro del cielo la piccola ape laboriosa, gialla con macchie nere, il musino ocra scuro, le alette nerissime, vola.

Giù al villaggio, un borgo di bianche case con tetti rosso fuoco stagliato nel verde dei prati, la conoscono tutti e l’hanno soprannominata  Giallina l’acrobata apina.

Un doppio salto mortale su un fiore, discesa a picchiata su di un altro, slancio con recupero laterale su un altro ancora.

I fiori dei prati li conosce tutti ed ora li saluta mentre vola.

Ha avuto tanto da quei fiori che la circondano e quel tanto lo ha fatto trasformare in miele.

Ora sta a lei donare quel suo tesoro così prezioso.

E’ stato emozionante prendere il loro dono e li ringrazia per la gentilezza con cui glielo hanno dato.

Ora è ancora più bello rendere il frutto del suo lavoro alla natura che  sta attorno.

Vola, distribuisce miele e medita.

Prendere per dare. A volte è armonia . Ma non sempre.

A volte dai: polline, colori, profumi, matita e cielo, mercoledì di lettura alla coop.

E a volte ricevi: la sala non era giusta, c’era troppo rumore e non si sentiva nulla, non c’era quasi nessuno…..

Povera apina, distribuisce miele ma c’è chi a volte non se ne accorge.

Speriamo non smetta mai e non sia permalosa perchè il suo miele è tanto…tanto buono!

Come l’acqua di un fiume

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Ispirato a: “Come l’acqua di un fiume sei sonora” – di Tina Conti

Una donna così è da amare, si muove silenziosa, pacata, prudente, misurata.
Sembrerebbe non toccare terra al suo passare. È lieve, rassicurante, prudente.
Sarà sempre così?
Sicuramente no!
Ecco che, con un forte temporale il fiume brontola, rotola, scalpita, sarà così anche lei.?
La natura delle acque nelle sue sfumature, calme e  calde in estate, con il muschio che ondeggia sul fondo portato dalla corrente, tumultuose  e  aggressive in inverno che con impeto trasportano e travolgono ogni cosa.
Ecco, anche lei proverà alterni stati d’animo, sarà irruenta, aggressiva  e rumorosa e a volte, lieve rassicurante.,e pacata .
Anche l’Arno era d’argento, incantava turisti  e cittadini al tramonto con i suoi riflessi e colori, rendeva la città romantica e dolce al levarsi del sole .
Quando però è  esondato travolgendo ogni cosa, provocando danni alle cose e alle persone, è apparso nella sua forza incontrollata e abbiamo iniziato a guardarlo con circospezione e sospetto.
Lo sorvegliamo in giorni di piogge intense, misuriamo il livello di piena passando sui  ponti,
Più informati e con tecnologie  all’avanguardia  ci sentiamo più protetti, ma sempre guardinghi  rimaniamo …  Però lo   amiamo.

Pioggia

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Pioggia – di Maura Corazzi

Ignorando tutto sono stata nel prato, la pioggia cadeva e con il suo tin tin tin scandiva il tempo, il tempo di quella piccola goccia che uscendo lentamente dal flacone della flebo per entrare nel mio corpo, stravolgendolo; così, seguendo il rumore della pioggia e di quella minuscola goccia della flebo, ho preso il mio arco ed ho iniziato a tirare, tenendo gli occhi chiusi  ed immaginando tra una freccia e l’altra  di girare (stando su un solo piede) su me stessa! quando ho aperto gli occhi le frecce erano sparse ovunque nel paglione: dal bianco al giallo, …..forse il mio stare sola, il mio sentirmi stordita dai farmaci ha reso il paglione sensibile e le frecce sono state l’espressione palese di me! c’era però, nella confusione della freccia, della pioggia, anche un centro giallo! che rappresenta la forza, la resistenza di andare avanti!!

Perdersi tra i cespugli di ogni verde

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Ispirato a “perdersi tra i cespugli di ogni verde mentre i pensieri vagano sereni” – di Chiara Bonechi

Giovane, innamorata, con lui in una splendida giornata di primavera, fuori da mattina a sera.

-”Dove andiamo?” gli chiesi.

-”Verso il mare, sarebbe bello il mare della Maremma dove abbiamo fatto la nostra prima vacanza”.

Ci piacciono i luoghi meno conosciuti, quelli quasi irraggiungibili ma in quella zona ce ne sono pochi. Noi ne conosciamo uno e là vogliamo andare. La macchina posteggiata sul ciglio della strada e via a piedi lungo il sentiero che porta al mare. I cespugli sono alti e si fanno sempre più fitti prima di diradare verso la spiaggia, i corbezzoli e le ginestre si intrecciano con il mirto e il ramerino, i profumi sono intensi, i verdi tanti e diversi. Mano nella mano andiamo avanti colmi del verde di quelle piante mediterranee e dell’azzurro del cielo, stiamo bene. Nessun pensiero ci riporta indietro. I pensieri di quel momento sono solo per noi, per il nostro futuro e vagano sereni.

 

Cespugli di ogni verde

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Ispirato a: “PERDERSI TRA I CESPUGLI DI OGNI VERDE MENTRE I PENSIERI VAGANO SERENI”   – di Sandra Conticini

Il verde di questi cespugli e questo prato mi danno tanta tranquillità e pace….il suo verde intenso, dopo la pioggia degli ultimi giorni, mi trattiene. Qui riesco a rilassarmi ed i pensieri che mi si affacciano si modificano e diventano positivi….E’ dove andavo da bambina pieno di ricordi, di risa, di giochi e di amicizie…. Il prato della spensieratezza e della felicità!!!!!

Pezzi di lana contro la violenza

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Ma….sono solo pezzi di lana? – di Rossella Gallori

VILLA FRANCA (VERONA) …..un tappeto di lana  contro la violenza sulle donne….

…..Un patchwork dai mille colori….appare al mio cuore prima che ai miei occhi.

Si , perché le donne colorano i sogni.

Lane grosse, sottili, pregiate, economiche, uncinetti magici.

Si perché noi siamo magiche, sempre, comunque.

È un po’ tappeto ed un po’ cielo questo immenso telo di lana.

Si perché siamo pronte, a scaldare, a proteggere, coperte per ogni stagione.

Il rosso dei nostri rossetti attaccato al blu dei nostri sogni, un bianco di bucato rincorre un verde senza età, il grigio di certi giorni che trova pace abbracciando un viola che non è lutto, il  nocciola di certi occhi miopi agli  anni che passano, si appoggia ad un verde che è speranza, un glicine che non è un fiore sposa un tabacco che non è fumo……

Una piazza, una piccola città, un segno di pace, in un mondo in guerra.

Ma siamo sicure che siano solo pezzi di lana?