
La casa sul lago – di Stefania Bonanni
Avevano bussato alla porta della villa sul lago qualche sera prima. La governante, unica rimasta ad abitare le stanze antiche, aveva aperto con timore sporgendosi con il lume nella nebbia. Non li vedeva bene, non riconosceva i volti degli uomini davanti alla porta, ma capì bene il senso del tono perentorio con il quale le si rivolsero: non era possibile dire di no. La sera seguente avrebbe dovuto essere pronta ad ospitare una persona importante e scomoda. E che nessuno lo avrebbe dovuto sapere, nessuno. E basta. Se ne andarono strascicando gli scarponi fangosi, e portandosi dietro echi di metalli sbatacchiati.
Cominciò subito a pensare a chi potesse essere l’ospite da ricevere, ma qualunque congettura la inquietava. Lei era là, distante dal paese, da sola, a custodire una casa antica e misteriosa di per sé, non aveva possibilità né di andarsene, per non abbandonare tutto, né di chiedere che qualcuno le facesse compagnia. Fu un istinto, forse. Per prima cosa puli’. Puli’ per terra, spolvero’ la vecchia poltrona davanti al camino, sistemò la frutta in un bel cesto, tirò fuori le tazzine di ceramica inglese, perché fosse tutto pronto nel caso qualcuno volesse un the. La notte dormi’ poco. In compenso non poté farà meno di sorridere, al pensiero che si era messa a pulire. Da non credere: non si smette mai davvero di fare la serva.
Arrivò pian piano il giorno, lei resto’ sempre alla finestra, spiando ansiosa nella nebbia. Venne il tramonto, servì il lume acceso per guardare fuori. La tensione la faceva stare con tutti i sensi all’erta e fu per rinfrancarsi che si fece un the bollente e profumato. Proprio mentre lo sorseggiava, si accorse della figura massiccia di un uomo non tanto alto, avvolto da un cappottone scuro, con la testa bassa ed una sciarpa scura a coprire quello che della faccia poteva emergere dal bavero del cappotto rialzato.
La governante strizzò gli occhi. Nulla, non lo riconosceva.
Dietro di lui, un’altra figura usciva dalla nebbia e veniva avanti nel vialetto. Sicuramente era una donna. Forse giovane, probabilmente magra, con i capelli rialzati sulla nuca. Nulla, neanche questo servì a farle venire in mente chi potessero essere. Ma non era tutto. Dietro di loro, distanti ma capaci di tenerli d’occhio, gli uomini del giorno prima. Si accorse allora, dell’auto scura nascosta dietro la siepe. Sicuramente l’avevano spinta a mano, perché non c’erano stati rumori.
L’uomo col cappotto, il primo della fila, bussò. Un solo colpo, secco, ma imperioso. La governante aprì, ed entrarono lui e un gran gelo. Non sembrava neanche più primavera. Non era il freddo: era paura, o, se fosse possibile, qualcosa di peggio della paura.
Non parlo’ nessuno, entrarono tutti ma non fecero caso alla pulizia, né alla frutta nel cesto, né alla poltrona davanti al fuoco.
L’uomo col cappotto rimase in piedi, al centro della stanza, e si capì che aspettava una risposta che poteva essere la vita, nonostante sembrasse già morto.
La governante ora li vedeva bene, alla luce delle fiamme del camino. Vedeva che era sporco e fangoso, che non si cambiava, e lavava, e radeva, sicuramente da tempo. Era intirizzito e legnoso come un pezzo di quercia marcio, dava l’impressione di potersi sbriciolare da un momento all’altro.
L’aveva riconosciuto, adesso. Con terrore, l’aveva riconosciuto.
E anche la donna con lui, che si era sciolta i capelli e seduta nella poltrona davanti al fuoco.
“Posso pagare. Vedrai, con i soldi si compra tutto, quelli nella borsa in macchina basteranno. “Bisbigliò l’uomo col cappotto vicino alla poltrona. Lei disse, ancora più piano: “ho gioielli e diamanti, addosso” “Non voglio ti tocchino, nascondili” Con un gesto minimo e velocissimo, come se si rassettasse la gonna, tirò fuori un sacchettino che sparì rapido sotto al cuscino della vecchia poltrona.
Fu in quel momento che si fece vicino a loro uno dei ragazzi con gli stivali fangosi ed il fazzoletto rosso con le cocche annodato intorno al collo. “Non c’è più tempo…dovete uscire”
“Ho molti soldi, vi cambieranno la vita. Lasciateci andare. Spariremo, nessuno saprà più nulla di noi”
“Non è questo che abbiamo deciso. Uscite”
La governante aveva visto e sentito, dal pianerottolo del primo piano da cui poteva vedere senza essere vista. Aveva capito che la storia si faceva in quella casa, ma che la storia ha bisogno di sangue, e non avrebbe voluto essere lì.
Portarono l’uomo col cappotto e la sua donna in giardino.
La governante non li vide più.
Quando si decise ad uscire, molto tempo dopo che fu sparito l’eco delle fucilate, tutto le sembrò a posto. Come non fosse successo.
Poi, con uno strano pensiero di faccende quotidiane, pensò di rimettere in casa la torta che aveva messo a raffreddare sul davanzale. La lasciò cadere con un urlo, quando si rese conto che quegli schizzi rossi, non venivano dai suoi mirtilli.
Racconto U N I C O !!!!!!
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Un thriller mafioso. Bello. Brava
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Mi ha intrigato. Brava!
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